La Fionda

Youth for love. E le aule di scuola diventano camere a psico-gas

Ci siamo già occupati in passato dell’attivismo a senso unico di ActionAid, la onlus asseritamente schierata per i diritti umani e per la “parità di genere” intesa al modo femminista, ovvero più diritti per le donne divorando quelli degli uomini con il pretesto che si tratta di “privilegi”. Al di là di qualche statistica farlocca o di qualche comunicato stampa ideologico, però, ActionAid non era mai andata. Ora ha decisamente passato il segno, andando oltre ogni limite tollerabile. E il grave è che non è da sola in questo: ad accompagnarla c’è addirittura l’Unione Europea. È quest’ultima infatti ad aver finanziato il progetto chiamato “Youth for love”, nome romantico per indicare una strategia sfacciatamente ideologica per imporre alle scuole, a partire dalle elementari, l’ideologia femminista, nella sua versione “intersezionale”. Che non è tanto diversa dalle altre versioni, il teorema di partenza è lo stesso: odio verso l’uomo, lotta per distruggere la maschilità e tutto ciò che ne consegue, accompagnato dalla liquefazione di ogni elemento identitario delle giovani generazioni. A differenza di altri “femminismi”, infatti, quello intersezionale ficca nel discorso un po’ tutte le disuguaglianze che si possono registrare all’interno delle società (razziali, religiose, economiche e così via), con la pretesa di rappresentare un veicolo di giustizia e riequilibrio per tutti.

L’esito del progetto, cui ha partecipato una partnership di cinque soggetti, è un “toolkit” (scaricabile qui con le nostre evidenziature), cioè una sorta di cassetta degli attrezzi utile per studenti e insegnanti affinché possano introdurre nella didattica alcuni dogmi ben precisi. Si tratta di un vero e proprio manuale finalizzato a modificare i metodi di insegnamento e apprendimento in modo da instillare l’ideologia femminista nel processo d’apprendimento e affinché tutti i teoremi collegati possano pervadere le menti e i comportamenti delle giovani generazioni. Il manuale si divide in quattro moduli, di cui i primi tre vengono considerati come obbligatori per raggiungere lo scopo (vedremo poi qual è), mentre il quarto è facoltativo, ma fortemente caldeggiato. Per capire la carica eversiva del documento prodotto sotto l’egida (e con i soldi) dell’Unione Europea occorre leggerlo tutto, ed è davvero difficile selezionare gli aspetti più gravi, quelli che con più violenza tendono a voler sovvertire la realtà e l’intero istituto dell’umano, con l’aggravante di volerlo fare a partire dalla gioventù. Proviamo a focalizzare oggi alcuni elementi dei primi tre moduli, rimandando a domani e lasciando alla penna di Santiago Gascó Altaba l’analisi di dettaglio del quarto, il più grave sotto ogni punto di vista.

genderbread person
Lo schema della “Genderbread person”.

La criminalizzazione del maschio-bianco-etero come metodo d’insegnamento.

Il primo modulo si appoggia a tre pilastri. Il primo è detto la “Genderbread Person”, un caposaldo della cultura queer e del femminismo intersezionale. È quell’idea secondo cui occorre dividere nettamente tra sesso (l’aspetto biologico dato dalla nascita), il genere (il sesso cui un individuo percepisce di appartenere) e l’orientamento sessuale (da chi l’individuo è attratto). Una teoria che ha origine dalle elaborazioni e dagli esperimenti criminali del sessuologo americano John Money, ampiamente smentita dal lato sia teorico, etico e filosofico che da quello scientifico, ma estremamente di moda oggi. In base a quella teoria, ad esempio, se hai prostata e pene ma ti senti donna, a tutti gli effetti sei donna, anche se hai pulsioni sessuali verso altre donne, il che ti rende a tutti gli effetti lesbica e per questo, ad esempio, vai incercerato/a in una prigione femminile (con tutti i problemi reali che poi però ciò comporta). Follia? Indubbiamente. Ma è una follia utile per chi, come il femminismo intersezionale, vuole farsi portavoce di innumerevoli sofferenze e ottenere straordinari repulisti: è chiaro che con una visione di quel tipo gli agganci per denunciare discriminazioni si moltiplicano a dismisura. È in base a quelle teorie che può diventare discriminatorio sostenere che un bambino nasca solo dall’unione di gameti femminili e maschili. Una verità affermando la quale molti hanno perso il lavoro, talvolta la vita e molto spesso la libertà. Leggi come il DDL Zan, in cui la “Genderbread person” è la vera e propria ratio, mirano a quest’ultimo aspetto: criminalizzare la verità fattuale delle cose per poter affermare follie teoriche prive di fondamento e asservite a molti diversi interessi. Follie che il progetto “Youth for love” mirerebbe a rendere organiche all’insegnamento nelle scuole.

Gli altri due pilastri del primo modulo sono la Convenzione di Istanbul e la “Power Walk”. La prima la conosciamo bene: una vera e propria certificazione internazionale della discriminazione maschile. In questo senso l’indottrinamento sui suoi contenuti si inserisce perfettamente nel progetto “Youth for love”, laddove si intende “violenza di genere” solo quella degli uomini verso le donne, e dove la criminalizzazione verso il maschile emerge potentemente da ogni pagina sia del Toolkit stesso, sia dai suoi strumenti correlati, compreso il sito web d’appoggio e al “serious game” che vi è contenuto. La seconda è un giochetto che viene fatto spesso nelle piazze dove si svolgono manifestazioni femministe. Si mettono in riga delle persone cui si dà un’identità biografica dove siano presenti aspetti di asserita debolezza (essere di colore, essere donna o madre, essere poveri e così via). Dopo ciò il burattinaio di turno fa domande ben pensate, chiedendo a chi non vi si riconosce di fare un passo indietro, e uno avanti a chi invece vi risulta conforme. Ad esempio: «sei mai stato molestato sessualmente?». Il profilo femminile farà sicuramente un passo indietro, quello maschile lo farà avanti. Finite le domande si avranno alcune persone più avanzate altre più arretrate: il messaggio sotteso è che le prime sono quelle “privilegiate” dal sistema, le seconde quelle “discriminate”. Si tratta di un giochino farlocco e truffaldino costruito apposta per generalizzare le condizioni di sistema, vittimizzare determinate categorie, criminalizzarne altre e soprattutto svilire le potenzialità di riscatto di ogni individuo, schiacciate da una richiesta di livellamento sociale di tipo totalitario. Nel Toolkit di ActionAid questo giochino si richiede che venga realizzato tra docenti e studenti, in modo che ogni maschio bianco eterosessuale senta su di sé la colpa atavica di essere ciò che è, con tutti i suoi “privilegi” e, implicitamente, accetti ogni disposizione che lo penalizzi per “riequilibrare” gli sbilanci con gli altri.

Patrizio Bianchi
Patrizio Bianchi, Ministro dell’Istruzione.

Il Ministero dell’Istruzione approva tutto questo?

I moduli 2 e 3, infine, si concentrano sull’ossessione dei movimenti femministi: l’eliminazione degli stereotipi e delle condizioni che favoriscono la violenza di genere (intesa sempre solo come maschile contro il femminile). Per farlo si utilizzano casi di studio, giochi di ruolo, dove sempre invariabilmente è l’uomo la personificazione di ogni male e di ogni crudeltà, mentre il bene è sempre la donna, nella sua oppressione e nel suo impegno sociale (tendenzialmente rappresentato come anarcoide) ostacolato dal “patriarcato”, concetto che viene sviscerato con tutta la falsità storica di cui il femminismo è capace. I casi di studio portati sono pericolosissimi perché molto astutamente immersi nella cultura giovanile: accompagnati da figurine accattivanti, favoriscono l’immedesimazione e dunque la persuasione ideologica. Ricordano le raffigurazioni eroiche dei soldati negli abbecedari fascisti in uso alle classi maschili durante il Ventennio. La finalità in fondo è la stessa: l’indottrinamento. In tutto questo non manca l’accento messo non sull’oggettività della violenza, ma sull’importanza della sua “percezione”, che è un’altra chiave della sovversione femminista. Conta ciò che “senti”, non ciò che “è”. E se hai dubbi, dice il Toolkit, rivolgiti ai centri antiviolenza, che ti chiariranno subito le idee. Un endorsement che già dice tutto sull’obiettivo finale di un documento del genere: far sì che in tutte le scuole l’approccio unilaterale alla realtà prenda il sopravvento e plasmi il futuro. In quell’approccio tutto ciò che è maschile (bianco ed eterosessuale) è il male, qualcosa che va abbattuto affinché i suoi privilegi vengano più equamente distribuiti a chi oggi risulta oppresso e discriminato. Se possibile con strumenti come la “leadership femminista”, di cui si parla in quell’incubo distopico che è il quarto modulo del toolkit e di cui si occuperà domani il nostro Santiago.

In questa fase di inquadramento generale del Toolkit non resta che registrare alcuni aspetti. A leggerlo tutto, il documento appare come un tentativo estremo di garantire una più diffusa equità. Il suo afflato non appare malvagio, in superficie: il sistema crea degli squilibri e occorre impegnarsi per eliminarli. Sacrosanti sono taluni richiami, per esempio quello a imparare a cooperare, ad aiutarsi vicendevolmente, a dialogare, a condividere. Il problema è che tutto è esposto da un punto di vista di parte, in base a cui il riequilibrio deve passare attraverso la criminalizzazione di alcuni (uomini-bianchi-etero), cui è giusto sottrarre diritti, e la loro umiliazione (uno degli esercizi previsti per gli allievi è di obbligarli a «piangere come una ragazza», pag.73). Il femminismo intersezionale qui si mostra in tutta la sua mostruosa ambizione di essere strumento di una palingenesi universale, a metà tra il vecchio comunismo sovietico e una sorta di nuovo culto purificatore, che passa attraverso la violenza psicologica e ideologica verso le nuove generazioni proprio là dove queste dovrebbero essere più protette e indirizzate verso il pensiero critico: la scuola. Sul piano sperimentale, le follie del Toolkit di ActionAid sono già state messe in atto in ben 12 scuole. Iniziativa prontamente documentata dall’agenzia di stampa femminista D.I.Re. con un filmato dove dei poveri ragazzi sono evidentemente costretti a dire ciò che dicono, seguendo un copione. L’esistenza del Toolkit in sé, questo esperimento già attuato nelle scuole, ma soprattutto il pericolo che qualcuno imponga la sua diffusione in tutti gli istituti dovrebbe essere a nostro avviso oggetto di un’interrogazione parlamentare al Ministro dell’Istruzione. È opportuno sapere se questa strategia, avvallata dall’Unione Europea, di insegnare alle future generazioni a odiare, colpevolizzare e criminalizzare tutto ciò che è maschile, negando contestualmente la verità fattuale di ciò che la (crudele ma immutabile) biologia decide, faccia parte del programma politico di questo governo e di questo Paese per l’istruzione dei ragazzi di oggi e del futuro. È indispensabile affinché le persone si facciano un’idea precisa di cosa qualcuno sta cercando di preparare per i loro figli e magari prendano una posizione in merito.



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