La Fionda

William Pezzulo: la discriminazione istituzionale delle vittime maschili (3)

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William Pezzullo e Lucia Annibali: vittime di uno stesso reato, ma per il Quirinale conta il genere. Nelle aule universitarie non ci hanno insegnato che la Giustizia può essere surreale, poi abbiamo imparato che spesso lo è. L’aggressione subita da William Pezzullo, sfregiato con l’acido dalla ex fidanzata che non accettava la fine del rapporto, ne è una prova. Che diventa inconfutabile con ciò che accadde due anni dopo l’aggressione, nel 2014. Già avevamo rilevato l’assordante silenzio sull’episodio: nessuna copertura nazionale da parte di stampa e tv, nessun approfondimento, oscuramento totale non solo nei TG ma anche in quei programmi pomeridiani e serali che fanno audience rimestando nel torbido dei casi di cronaca. William non interessa a nessuno, il suo dolore e il dolore della sua famiglia non trovano spazio sui media. Non solo, non trovano spazio nemmeno nella considerazione istituzionale.

Il Presidente Napolitano, infatti, aveva conferito l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica a Lucia Annibali, anche lei sfregiata dopo aver lasciato il fidanzato. Il caso Annibali ha avuto enorme risalto mediatico, tanto all’epoca dei fatti quanto il 25 novembre e l’8 marzo in occasione dei ricevimenti al Quirinale. Attenzione istituzionale e mediatica sicuramente dovute ad ogni vittima di violenza; saltava comunque agli occhi la vistosa disparità di considerazione rispetto ad altre vittime aggredite con l’acido, in particolare il solito William dimenticato, trascurato, snobbato da tutti. Per questo, ai tempi, decine di associazioni avevano aderito all’iniziativa dell’avv. Paola Tomarelli, che scriveva al Presidente Napolitano questa lettera. A cui poco dopo dal colle risposero. Comica, per alcuni versi, e scandalosa, per altri, la risposta della Dr.ssa Zincone, responsabile per il Quirinale dei problemi per la coesione sociale.

risposta quirinale william pezzulo

Elena Perotti dalle suore, invece che in carcere.

L’avv. Tomarelli ha puntualmente rispose (riporteremo domani la sua replica) e ancora oggi è in attesa di una risposta. In attesa della risposta, che probabilmente non arriverà mai, è arrivata la sentenza di primo grado per l’aggressione all’avvocato Annibali: 20 anni a Luca Varani in qualità di mandante, 14 anni agli esecutori. Riconosciuti inoltre a Lucia Annibali 800.000 € di provvisionale. E William? La stampa non è imparziale, la tv non è imparziale, il Quirinale non è imparziale, possiamo sperare che almeno la giustizia lo sia? Nemmeno per sogno, poveri illusi! L’agguato a William Pezzullo ha avuto esiti clamorosamente diversi rispetto al caso Annibali: 10 anni di reclusione a Elena Perotti e Dario Bartelli. La metà esatta. Eppure la Perotti ha diverse aggravanti rispetto a Varani: lui ha commissionato l’aggressione ma non vi ha preso parte, lei oltre ad averla organizzata l’ha anche materialmente eseguita. Varani ha – involontariamente, dice lui – causato danni estetici e psicologici gravissimi, ma almeno non ha menomato le funzioni vitali di Lucia, fortunatamente non l’ha resa invalida. La tesi difensiva sostiene che Varani abbia commissionato solamente un’azione intimidatoria, degenerata in lesioni permanenti senza una reale volontà del mandante. Ovviamente non gli ha creduto nessuno. Il Tribunale ha riconosciuto che, pur se indirettamente, Varani ha causato alla vittima danni permanenti che avrebbero anche potuto avere esiti peggiori. La pena quindi deriva dal reato contestato: nulla esclude che Lucia avrebbe anche potuto restare uccisa, pertanto il capo d’imputazione è tentato omicidio.

Elena Perotti ha causato nella propria vittima danni fisici e psicologici estremamente più gravi di quelli subiti dalla vittima di Luca Varani, eppure non era imputata di tentato omicidio. Abbiamo già visto come non si sia limitata a commissionare l’aggressione: il processo ha accertato che è stata lei, mentre il complice immobilizzava la vittima, a versare l’acido sul viso e sul corpo di William. La pena dimezzata deriva dal capo di imputazione più blando rispetto al tentato omicidio. Il Tribunale – evidentemente – è certo che William non avrebbe potuto subire nulla di diverso da ciò che ha subito, è certo che non avrebbe potuto restare ucciso, è certo che Elena non aveva la volontà di uccidere. Ecco perché la Perotti è riuscita a sgusciare via dall’imputazione di tentato omicidio ed è stata condannata per lesioni. Nulla di imprevedibile, quale sarebbe stato lo sviluppo del processo si è intuito da subito. Già da tempo la madre di William aveva anticipato l’intenzione del PM di edulcorare il capo d’imputazione. Alla richiesta del legale di parte di configurare il tentato omicidio aveva risposto testualmente: «ma cosa dice, non vorremmo mica costruire un mostro?». Guanto di velluto anche per le modalità di espiazione della pena: la madre di William ci riferisce che Elena Perotti non è in carcere, sta effettuando un percorso di recupero presso una comunità gestita da suore, insieme ad altri ospiti da recuperare psicologicamente per motivi diversi, tossicodipendenza e altro.

Giovanna Zincone
Giovanna Zincone, con l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Un trattamento istituzionale che grida vendetta.

A quell’epoca William come stava? Che danni aveva riportato, quali erano le conseguenza dell’agguato? La fonte è ancora Fiorella Grossi, la madre di William. È l’unico modo per avere notizie vista la perdurante indifferenza mediatica: «William non migliora affatto, anzi sta peggiorando, siamo disperati. Un occhio era perso del tutto ma almeno con l’altro riusciva a distinguere delle ombre, dei movimenti. Ora non vede più nulla, l’hanno operato più volte ma fino ad oggi non sono riusciti a recuperarlo. Anche la plastica ricostruttiva non riesce ad ottenere risultati; lo abbiamo portato in parecchi altri ospedali, anche a Torino dove hanno provato a ricostruire muscoli e tessuti del collo, ma sta peggio di prima. William ha penato tre mesi prima di uscire dal reparto di terapia intensiva, non erano sicuri di salvargli la vita. Ora sono 16 mesi che è chiuso in casa, usciamo solo per portarlo in qualche ospedale o da qualche specialista. Il morale è  a pezzi, non è autosufficiente, non lo sarà mai più, è questo l’aspetto più drammatico». E per quanto riguarda il risarcimento per i danni subiti? «I soldi? Quali soldi? È giusto che a Lucia abbiano dato 800.000, ma al mio William fino ad oggi nemmeno un centesimo. Parlavano di una casa dal valore di 53.000 euro, ma alla fine non gli danno nemmeno quelli perché mi pare di aver capito che c’è un pignoramento e il primo creditore è la banca. Comunque di queste cose capisco poco e mi interessano ancora meno, al primo posto ci sono la dignità e la salute e l’autonomia che hanno rubato a William».

Insomma, sotto tutti gli aspetti due pesi e due misure, ormai uno standard nei nostri tribunali, come scriviamo spesso su queste pagine. Quante volte ancora lo scriveremo, prima di poter pensare di nuovo ad una Giustizia con la G maiuscola? È inaccettabile che due delitti sulla persona, simili sia nel movente che nell’esecuzione (ma quello in cui è stato vittima William ha avuto conseguenze fisiche ancora più gravi), vengano “interpretati” a seconda del sesso dell’autore e alle vittime venga riconosciuta, simmetricamente, differente dignità a seconda del loro genere.  È altrettanto inaccettabile che, sempre a seconda del proprio sesso, chi commette un tentato omicidio sa di poter farla franca all’ombra di un chiostro benedetto da Dio. Questa molteplice umiliazione di una vittima maschile accadeva nel 2014, due anni dopo l’aggressione di Elena Perotti contro William. Da allora ad oggi quest’ultimo ha migliorato le proprie condizioni di vita, sebbene le menomazioni e le invalidità restino. Molte di esse sarebbero superabili con costosi interventi chirurgici per cui però William e la sua famiglia non hanno le risorse. Elena Perotti, come già detto, si è fatta qualche mese di carcere, tra gravidanze e motivi di salute. Poi è stata scarcerata e ha avuto problemi anche con il nuovo compagno. A seguito della condanna le avevano tolto la prole, salvo poi riconsegnargliela poco dopo. Sommando tutto, è possibile immaginare un’umiliazione più grande per una persona vittima di un’aggressione così feroce? E dal tutto, restiamo focalizzati sul punto istituzionale: quanto grida vendetta la risposta del Quirinale alla richiesta di patrocinare la causa di William? Tanto. Lo dirà l’avv. Tomarelli nella sua replica, che riporteremo domani. E lo diciamo forte anche noi, ancora oggi.



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