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Se la vittima si chiama William e il carnefice Elena, la vicenda non fa notizia. Questo scrivevano i giornali il 22 settembre 2012, quando un ragazzo veniva aggredito e sfigurato in provincia di Brescia: «Elena ha parlato di maltrattamenti e di violenza anche psicologica ma è distrutta e pentita – assicura il suo avvocato, Laura Schiffo – perché non voleva arrivare a tanto. E, soprattutto, era innamorata di lui». Ah, vabbè, allora si spiega tutto, era innamorata… Facciamo un esercizio, proviamo a spersonalizzare l’evento e analizzarlo senza dare connotazioni di genere ai protagonisti. Vediamo se l’impatto sull’opinione pubblica e sulla magistratura è lo stesso. Una persona rincasa da sola, è notte. Ad attenderla nel buio ci sono due figuri incappucciati, appostati da ore in attesa di aggredirla. Uno dei due colpisce la vittima alla testa, la getta in terra per metterla alla mercé dell’altro. Gli incappucciati inzuppano la vittima con l’acido, quindi si danno alla fuga. Non è una rapina, non uno stupro, non una bravata da bulli, è un evidente episodio punitivo, roba da malavita organizzata. Lo sgarro a un boss di quartiere? La lezione a un pentito? Una partita di droga non pagata? Un debito con gli usurai? Un patto di omertà infranto? Niente di tutto questo, è una storia di ventenni che si lasciano. Pazzesco. L’episodio arriva immediatamente dopo che il Senato ha approvato una mozione unitaria sul contrasto alla violenza sulle donne. Almeno i criminali avranno la giusta sanzione, qualche anno in galera per capire che la gelosia, anche la più morbosa, non può mai giustificare vendette sanguinarie. Però c’è qualcosa che non quadra.
Togliamo il velo ai protagonisti: la vittima è un ragazzo di 26 anni, chi ha organizzato tutto è la sua ex fidanzata 23enne. Ma come: gli uomini gelosi che non sopportano di essere lasciati, gli uomini violenti che lavano le offese col sangue, quelli che non sanno accettare il rifiuto, quelli che sanno reagire solo aggredendo… tutti questi luoghi comuni che fine hanno fatto? Molti aspetti sono da approfondire, speriamo che la magistratura sia in grado di farlo e la vicenda di Travagliato non finisca nei casi irrisolti o compromessi da errori giudiziari, tipo Simonetta Cesaroni, Emanuela Orlandi, i fratellini Pappalardi e tanti altri ancora. Per ora non c’è la versione della vittima, se sopravvive si potranno avere altri elementi La cronaca infatti riferisce che la vittima «non intendeva riconoscere il nascituro», ma anche che «diceva di non essere il padre del bambino». Qual è la verità? La ragazza dice di aver subito maltrattamenti e ripetuti tradimenti, ma una gravidanza controversa è frutto eventualmente dei tradimenti di lei, non certo di lui. Insomma, era un padre che non voleva riconoscere il figlio, o un uomo tradito che non voleva essere costretto ad assumersi responsabilità altrui? Qual è la verità? Il complice sembra essere coinvolto da un movente sentimentale (da tempo aveva un debole per lei) ma anche da un sorprendente senso di giustizia («io queste cose non le sopporto»). Qual è la verità? Altro chiarimento necessario: il trattamento di favore legato alla gravidanza è una coincidenza fortuita o è frutto di un calcolo? Chi delinque da puerpera ha mille vantaggi rispetto a chi non lo è, la Polizia di Stato riferisce di persone che sfornano figli a ripetizione per rimanere sostanzialmente impunite. Credono che in alcuni casi si tratti di una vera e propria tattica, messa in atto perlopiù da donne non italiane. Razzismo anti-ROM o cruda realtà? Qual è la verità?
Quando la vittima è un uomo la parola d’ordine è dimenticare.
Sarebbe importante approfondire parecchi aspetti, poiché la cronaca giudiziaria ci dice che il mandante ha sempre avuto pene superiori agli esecutori materiali del delitto. Totò Riina ordina un omicidio: ergastolo. I picciotti lo eseguono: 30 anni. Vi sono delle eccezioni quando il mandante è di genere femminile. Giudici particolarmente distratti, particolarmente incoerenti o particolarmente cavalieri? Non so. Però so che Patrizia Reggiani (caso Gucci) per aver commissionato l’omicidio del marito ha avuto una pena inferiore a quelle inflitte ai sicari da lei assoldati. Il mandante è la mente criminale senza la quale l’omicidio non sarebbe avvenuto, inoltre la Reggiani è colei che intendeva trarre i maggiori benefici dall’evento delittuoso: ha pagato 200 milioni ai sicari per ereditare un impero plurimiliardario. Però a lei una pena inferiore, giustizia è fatta. Forse era innamorata? Chissà cosa accadrà nella vicenda di William Pezzulo… Il complice culturista la pena se la sconta tutta, non ha il pancione per ottenere i domiciliari; e se ce l’ha è per la birra, non per un feto. La ragazza va a casa prima del parto, poi da neomamma dovrà allattare e non potrà lasciare il bimbo, poi nei primi anni di vita è impensabile separarli…. chissà se vedrà mai una cella? Intanto c’è un ragazzo che, se riuscisse a cavarsela, nella migliore delle ipotesi sarà privo di un occhio e sfregiato a vita.
Il sentire comune non accetta che una donna possa architettare un piano criminale, non accetta che possa metterlo in atto con modalità violente erroneamente considerate una prerogativa maschile. Che un uomo sia aggressivo è considerato normale, quando aggressiva è una donna ci si affanna a cercare le attenuanti. Infatti lei era tanto innamorata. È la “cortina di pizzo”, quando un uomo commette un reato l’attenzione si concentra sull’efferatezza del gesto, quando lo commette una donna l’attenzione si concentra sulle cause che potrebbero averla “costretta” a delinquere, lo spiega bene Warren Farrell in “The Mith of Male Power”. L’avvocata Schiffo fa benissimo il suo mestiere, che in questo caso è quello di offrire delle scappatoie a chi la paga per evitare la pena. Nulla di illegale per carità, è il sistema che lo consente. Per fortuna stabilire cosa è giusto e cosa no spetta ad altri. Vediamo se da noi certezza del Diritto significa ancora qualcosa. Nel frattempo, dopo un mese e mezzo dall’aggressione, qualcuno aveva letto due righe sugli sviluppi? William era uscito dall’ospedale? Qualcuno si era preso il disturbo di intervistarlo? Cosa era accaduto ad Elena e al complice Dario? Telecamere e giornalisti stavano seguendo il processo? Qualche salotto televisivo aveva ospitato l’avvocato Schiffi? No, naturalmente. E allora la domanda era ed è: perché si fa passerella in TV nei casi con vittime femminili, ma quando la vittima è un uomo la parola d’ordine è dimenticare? Perché parlarne poco o non parlarne affatto?
Se lui avesse sfregiato lei, sarebbe stato diverso?
Melania, Yara, Meredith e le altre fanno notizia, anche Simonetta Cesaroni dopo 20 anni, anche Emanuela Orlandi dopo 30. Poco dopo l’attacco a William imperversava su tutti i TG la vicenda di Federica, una povera 15enne morta nel lago di Bracciano; ogni testata aveva degli inviati, ogni rete un troupe sul posto. Non ci sia alcun mostro, si trattò di un decesso a causa di un malore senza alcun risvolto violento. Però la caccia al mostro è rimasta aperta a lungo: criminologi, opinionisti vari e giornalisti non hanno mollato l’osso, interviste allo zio, ai genitori, agli inquirenti, ai carabinieri. I fatti di Brescia, dove il mostro c’era, non erano degni di uguale attenzione mediatica La stampa nazionale non ha pubblicato nulla, le TV non hanno mandato un inviato, aperto un dibattito, dedicato una trasmissione, nemmeno il solito plastico con il luogo dell’agguato. Qualcosa è apparso sui media locali: bresciatoday, bresciacorriere.it, giornaledibrescia.it. Dopo due giorni nemmeno la stampa del posto pubblicava più alcun approfondimento. La vittima si chiamava William quindi non faceva notizia, a chi vuoi che interessi una vittima maschile? Se lui avesse sfregiato lei, avremmo assistito a qualcosa di diverso?