Pochi lo sanno, sebbene molti lo immaginino: prima di un incontro al vertice tra stati, si svolgono lavori preparatori, tavoli diplomatici, sessioni riservate cui partecipa un mix di politici (in genere i ministri degli esteri), funzionari delle pubbliche amministrazioni e lobby in rappresentanza di interessi privati. Sono loro a definire l’agenda e i contenuti da sottoporre al vertice che poi si terrà qualche mese dopo. Così funziona in ogni caso e in particolar modo per incontri come il G20, dove i grandi capi di stato si riuniscono per bere, mangiare, chiacchierare e infine ratificare ciò che i loro uffici hanno già concordato, ovviamente sotto le loro direttive (ma non sempre, dipende dall’autorevolezza del ministro), negli incontri più o meno informali avvenuti nei mesi precedenti. Consessi dove, ormai da molto tempo, da quando la politica ha ceduto il proprio primato agli interessi economici, a tirare i fili come burattinai sono soprattutto le lobby private, le corporate o i gruppi di pressione organizzati in ONLUS o similari. Tra le tante organizzazioni del genere si è impiantato ormai stabilmente anche il W20 – Women 20, un gruppo misto di politiche, funzionarie e lobbiste determinate a portare le proprie istanze femministe sul tavolo dei “grandi”.
Qualche giorno fa si è tenuto il W20 italiano, a Santa Margherita Ligure, con tutto il peggior gotha del femminismo politico nazionale: il Ministro Elena Bonetti, la nota attivista femminista (incidentalmente anche dirigente ISTAT) Linda Laura Sabbadini, più altri soggetti di altri paesi, dalla femministissima Spagna all’Indonesia, passando per Giappone e Messico. Tutte unite per parlare di “empowerment femminile”, inteso come migliore qualità del lavoro delle donne, valorizzazione del talento e della leadership femminile, lotta alla violenza di genere (immancabile) e poi diritti, diritti, diritti come non ci fosse un domani. Il tutto per preparare le carte da mettere sotto il naso al G20 che si terrà in ottobre a Roma. Le cronache non lo riportano, ovviamente, ma oltre ai nomi istituzionali citati, è certo che nel cuore del W20 abbiano ronzato come mosche sul letame tutti i vari interessi connessi alla “questione femminista”, che oggi significa semplicemente due cose sole: come arraffare quanto più possibile del PNRR, a livello europeo, e a livello mondiale come spingere in modo più efficace la criminalizzazione maschile e la distruzione dell’istituzione famiglia, nell’ottica di un transumanesimo di cui si intravede già la lugubre alba pallida.
Quanto siete contenti da uno a dieci?
A benedire la riunione lobbistica è il grande sacerdote del transumanesimo in persona: Mario Draghi. «L’Italia è pienamente impegnata nella lotta contro le disuguaglianze di genere», ha dichiarato. Non illudetevi, con “disuguaglianze di genere” intende solo quelle a danno delle donne. Anche perché quelle a danno degli uomini non esistono, giusto? Lo dimostrano bene i dati delle morti sul lavoro… Ad ogni buon conto il Presidente del Consiglio si impegna a ridurre del 25% entro il 2025 i divari di genere nel tasso di partecipazione al lavoro delle donne. Forse vuole mettere ai lavori forzati quel gran numero di donne inattive (il doppio degli uomini), a cui non interessa trovare un lavoro. Facile che si inventerà un “Pink Pass”, riservato alle donne impiegate, per accedere a numerosi servizi essenziali, in modo da poter discriminare senza assumersene la responsabilità. Ormai su questo ci ha fatto la mano… «Ogni perdita di talento femminile è una perdita per tutti noi», conclude così il suo intervento di saluto alla lobby “Ro$a No$tra International” nascosta sotto le spoglie del W20, sottintendendo che invece la perdita di un talento maschile è del tutto irrilevante. Ma perché, poi, gli uomini che talenti avrebbero mai?
Importanti, a introdurre questa riunione ufficiale della Cupola, sono anche le parole del Ministro Bonetti, che non sono mai poco misurate o dette a caso. Parlando della situazione afgana, si mostra ovviamente preoccupata soltanto per le donne. Che sì, stanno indubbiamente subendo un’oppressione terrificante (a cui tra l’altro non si sono minimamente opposte, confidando forse nei nerboruti patriarchi a stelle-e-strisce), ma restano vive. Gli uomini invece stanno morendo come mosche, passati per le armi senza pietà, su numeri da strage. Ma anche in questo caso, è noto, la vita di un “maschio” vale meno, per definizione. Sempre riferendosi alla condizione delle donne in Afghanistan, la Bonetti parla poi del «rischio di violenze, di abusi e di violazioni dei diritti umani». Notate come si passi da crimini orridi su un genere solo a un crimine universale? Non è casuale. Il messaggio subliminale è che una violenza contro una donna è anche una violenza contro tutta l’umanità. Concetto che è uno dei pilastri fondanti di porcherie internazionali come, tra le altre, la Convenzione di Istanbul e che, naturalmente, rende “speciali e specifiche” solo un tipo di vittime, trasformando in ordinarie o irrilevanti tutte le altre. La violenza a un bambino, a un anziano, a un disabile o (non sia mai!) a un uomo non sono mica violenze contro tutta l’umanità. Sono violenze di serie B o C. Queste sono la mentalità e la visione del mondo che qualche giorno fa, durante il W20, ha impregnato le carte destinate in ottobre a finire sotto gli occhi dei 20 leader più importanti del mondo. Quanto siete contenti da uno a dieci?