L’altro ieri sul sito “Lecce Prima” è apparso un interessante articolo a firma Viviana Muscara. Vi si racconta di come la stessa Muscara sia arrivata in fondo a un difficile percorso giudiziario, dopo essere stata vittima di atti persecutori. Tormentata dalle attenzioni ossessive e morbose di uno stalker, si è trovata ad attraversare nove anni di procedimenti giudiziari, dal primo grado fino alla Cassazione, un vero e proprio calvario che si è concluso con la condanna del criminale, individuato in un suo ex collega di lavoro. Com’è giusto che sia, Muscara non dà dettagli della vicenda, non spiega perché l’uomo l’avesse presa di mira: si tratta di una questione personale che lei stessa testimonia come tormentata e dolorosa e come tale è giusto che rimanga confinata, nei suoi dettagli, all’interno del suo privato. Senza contare che, a fronte dei tre gradi di giudizio che hanno portato alla conferma della condanna dell’uomo, una contestualizzazione della vicenda non rivestirebbe particolare importanza, se non quella di dare un quadro di quali sono le condotte “tipiche” di un persecutore, di cui tuttavia Muscara parla in accenno, riferendosi a «un “chi” che descriveva con perizia di particolari, abitudini, ora e luoghi di frequentazione, vestiti indossati… un “chi” che mi conosceva, che mi stava con il fiato sul collo».
Poche parole che delineano in modo comunque efficace la figura tipica dello stalker, intendendo come “tipica” quella descritta dalla psicologia o dalla criminologia. Contro un soggetto del genere Muscara ha portato avanti una battaglia non facile all’interno del sistema giudiziario italiano che pure, si sa, è ormai ben impostato per garantire alle donne vittime di violenza un’attenzione e una cura se non speciali, sicuramente specializzate, ma che comunque non manca di lentezze, astrusità e procedure talvolta poco comprensibili a un cittadino ordinario, ancor più se vittima di qualche crimine. Ci uniamo sinceramente alla sua soddisfazione, dopo la conferma della condanna del suo persecutore celebrata in Cassazione qualche giorno fa, e da questa posizione vorremmo però permetterci di fare qualche osservazione sulle conclusioni che trae a partire dalla sua vicenda, per come sono espresse dagli ultimi tre capoversi del suo resoconto. In essi Muscara fa due appelli: il primo è a tutte le donne ed è un invito a denunciare sempre, «perché ogni donna che reagisce alle violenze e combatte, può sconfiggere il male». Il secondo appello è alla politica italiana, perché affermi più garanzie per le donne e imponga più restrizioni contro la violenza sulle donne, «affinché si possano celebrare più donne serene e meno funerali».
È raro che uno stalker uccida la sua vittima.
A nostro avviso, in quegli ultimi tre capoversi Muscara fa deragliare il suo resoconto su un campo improprio. Probabilmente, nell’elaborare i suoi appelli, non si è chiesta il motivo profondo dietro i suoi nove anni di travaglio giudiziario, né ha avuto modo di porre uno sguardo sulle statistiche reali relative ai fenomeni criminali. Se l’avesse fatto, si sarebbe accorta che le procure sono letteralmente seppellite di denunce e querele per “violenza di genere”, in una quota che, com’era rilevabile sull’apposito portale ISTAT (al momento curiosamente non più raggiungibile…), si attesta su una media di circa 50.000 all’anno negli ultimi dieci anni. Di esse, sempre stando ai dati, metà va in archiviazione e della restante metà soltanto un 10% si conclude con una condanna. A conti fatti, sussiste dunque la spaventosa media del 90% di denunce che finiscono in nulla, forse perché poco provate o argomentate, forse (come hanno sostenuto molte operatrici di giustizia) perché false e strumentali, o forse, com’è emerso di recente, perché «denunciare è di moda». Sta di fatto che nel profluvio di carte bollate che travolge le procure, una vittima vera, com’è risultata essere la Sig.ra Muscara, fa inevitabilmente fatica ad emergere, ad attirare la dovuta attenzione delle autorità e della magistratura che, intasata com’è, finisce per metterci nove anni per formalizzare una condanna e talvolta rischia addirittura di non riconoscere un vero caso di violenza.
Meglio forse sarebbe stato, a nostro avviso, se Muscara, invece di invitare le donne a fare una denuncia purchessia, avesse specificato a chiare lettere di farlo se si è davvero vittime e non per i tanti altri motivi accessori che oggi rappresentano un ostacolo reale per le vere vittime. Ma non c’è solo questo: meglio avrebbe fatto Muscara anche a evitare di creare un implicito collegamento tra gli atti persecutori e il “femminicidio”. Statisticamente, infatti, in Italia e all’estero, la quota di stalker che sopprime la propria vittima è minimale. Il vero stalker (come quello che Muscara ha avuto la sfortuna di incontrare) non vuole uccidere la propria vittima, bensì controllarla. Spesso perché la ama e nel suo meccanismo mentale deviato il controllo è l’unico modo che concepisce non tanto per esprimere il suo amore, bensì per ottenerne una parvenza dal suo bersaglio. Ne ricava un amore aberrato, sotto quella forma di attenzione incarnata dalla paura, dall’ansia o dalla preoccupazione della vittima, ma la ottiene e si sente così ricambiato. Per questo desidera che il processo prosegua all’infinito, se possibile. La casistica minimale in cui un persecutore sopprime l’oggetto della propria ossessione, per come studiata dalla criminologia e dalla psicologia, viene riportata in genere ad altri fattori che si aggiungono all’ossessione persecutoria, nell’ambito di uno squilibrio più ampio. L’equazione stalker = femminicida insomma non ha base, fa solo parte di un certo tipo di propaganda ideologico-mediatica e spiace molto che una “testimonial” importante come la Sig.ra Muscara vi si conformi.
Una buona occasione perduta.
Da ciò che scrive nei suoi ultimi capoversi, in realtà, sembra tuttavia che essa si conformi un po’ in generale a quel tipo di narrazione. Aleggia tra le sue righe l’idea conformista che i “femminicidi” siano una sorta di emergenza nazionale, quando è ben noto che così non è. Ma soprattutto aleggia la convinzione che esista soltanto un tipo di violenza, quella unidirezionale degli uomini nei confronti delle donne. E anche questo è ben noto essere del tutto falso, per lo meno a chi ha la capacità di guardare la realtà in modo laico e oggettivo. Dalla sua posizione, la Sig.ra Muscara aveva l’occasione per appellarsi a tutti indistintamente, uomini e donne, indicando ad essi quali calvari si subiscono a essere vittime di un criminale prima, e di un sistema giudiziario farraginoso poi. Sì, perché i dati anche questo dicono: non sono soltanto gli uomini a perseguitare, maltrattare, percuotere, lesionare, tentare di uccidere (talvolta riuscendoci purtroppo) le donne, ma capita anche a parti invertite. E capita molto più di quanto la narrazione dominante non lasci trapelare. Rivolgere appelli soltanto a una parte dell’insieme delle vittime, come fa Muscara nella parte finale del suo articolo, può far pensare che ci siano vittime più vittime di altre. Vittime di serie A e vittime di serie B. Il che contrasta con un dato di fatto incontrovertibile: la violenza è violenza sempre, chiunque sia a usarla; le vittime di violenza sono sempre vittime di violenza, qualunque sia il loro sesso di appartenenza.
Mandando un messaggio più equilibrato, specie dalla sua posizione, la Sig.ra Muscara avrebbe potuto ottenere un impatto formidabile, sarebbe stato un appello all’unità nella diversità, all’uguaglianza di tutti di fronte alla violenza e al crimine. Avrebbe dimostrato quanto è improprio appellarsi, come si fa da ogni parte, al fatto che “le violenze maschili sulle donne sono di più di quelle a parti invertite” allo scopo di affermare un’idea che è in sé tanto sessista quanto ingiusta, ovvero che sono importanti soltanto le vittime femminili e che soltanto gli uomini sono carnefici. Come se ci si dovesse occupare soltanto dei normodotati, degli adulti, dei sani perché sono la maggioranza e ignorare i diversamente abili, i bambini o gli anziani, e i malati perché sono di meno. Un nonsense che tuttavia detta legge nella narrazione falsificata che media, politici e lobby fanno ogni giorno della realtà e che alimenta una guerra, o quanto meno una crescente diffidenza tra i sessi, che nei fatti non ha fondamento, specie in Italia. La Sig.ra Muscara poteva ergersi a tempesta capace di spazzare via una mistificazione che dura da troppo tempo, ma non l’ha colta. Felici dunque che la sua vicenda personale sia stata risolta e che un criminale sia stato condannato, ma tristi che una così buona occasione per lanciare un messaggio vero e costruttivo sia stata sprecata.