Su Facebook il neoministro per la Famiglia, Onorevole Eugenia Roccella, riporta un suo intervento su “Avvenire” relativo a una sentenza della CEDU su violenza e tutela di minori:
Una presa di posizione a mio parere irricevibile. In generale è doveroso, quindi condivisibile, censurare la mancata protezione dei minorenni. Tuttavia è inaccettabile, da parte di un Ministro della Repubblica, l’avallo alle violazioni dei provvedimenti stabiliti in tribunale. L’errore macroscopico è nel generalizzare passando dal micro al macro, quindi partire da una singola sentenza CEDU con le sue specificità, e trasformarla in un generale favor per i comportamenti illegali “delle madri” (al plurale) nonché in un attacco all’affidamento condiviso. Il primo passaggio non condivisibile: “le madri che disattendono le disposizioni ne tutelano in realtà il superiore interesse (del minore)”. Facciamo chiarezza: la CEDU non ha alcun potere di interferire nelle sentenze emesse dagli stati membri, non può modificarle né tantomeno cassarle. Il ruolo della CEDU è circoscritto al riconoscimento di un eventuale danno e a quantificare il relativo risarcimento. Non solo: la Corte di Strasburgo esamina il ricorso di un singolo cittadino contro il proprio Paese; in quello specifico caso il giudice UE ha valutato fondata la richiesta di risarcimento della ricorrente ma ciò non vuol dire che la Corte di Strasburgo arrivi a identica conclusione per tutte “le madri”, come il ministro auspica.
Inoltre va osservato che le persone, a prescindere dal genere, che disattendono le disposizioni compiono dei reati: in primis quello previsto all’art. 388 cp che sanziona il mancato rispetto doloso di un provvedimento giudiziario. Anche qualora le motivazioni dalle quali nasce la violazione fossero valide, per il nostro ordinamento la giustizia fai-da-te non è mai lecita. Il Codice Penale prevede il reato di cui all’art. 393 (esercizio arbitrario delle proprie ragioni) che cita espressamente la violenza. L’articolo non parla esclusivamente di violenza fisica, ma violenza ad ampio spettro. Sa dire, Ministra, quale violenza psicologica può essere più lacerante di quella della quale è vittima un genitore al quale viene negato ogni accesso ai figli a causa dei comportamenti ostativi dell’altro genitore?
Niente guerra alla 54/2006, signora ministro.
Se fosse lecito, come sostiene il ministro Roccella, rifiutare arbitrariamente l’esecuzione di un provvedimento ritenuto ingiusto, aspettiamo che si esprima sulla mole enorme di denunce strumentali che inquinano da anni separazioni e divorzi. Decine di migliaia di genitori vengono penalizzati ogni anno da accuse che alla verifica giudiziaria si dimostrano infondate e terminano in archiviazione, proscioglimento o assoluzione. Nelle more dei processi, le frequentazioni con la prole sono limitate o totalmente impedite, con grave pregiudizio nel medio e lungo termine delle relazioni con i figli. Anche questa è una chiara violazione dei diritti dei minori, sulla quale però il ministro non ritiene di prendere posizione. Sorprende, insomma, l’esternazione unidirezionale di un ministro, esclusivamente focalizzata sulle madri. Sarebbe generalmente preferibile un’analisi asessuata, parlando genericamente di “persone” o “genitori”, ma l’approccio del ministro Roccella appare apertamente gender oriented ci obbliga a porle una domanda in questi termini: se fossero i padri ingiustamente accusati – e infatti poi assolti – a violare le misure cautelari e le limitazioni negli incontri con la prole, lo riterrebbe giusto?
Non c’è bisogno di attendere una risposta, che è già implicita in questo concetto espresso dal ministro: “spesso le madri vittime di violenza che per proteggere i figli li sottraggono a questi incontri e si oppongono all’affido condiviso vengono considerate non collaborative, inadatte e passibili di punizione”. E appare giusto così: secondo il nostro ordinamento ci si difende in tribunale, non dal tribunale. La guerra all’affidamento condiviso, in atto dalla precedente Legislatura, utilizza strumentalmente una insignificante minoranza di casi per cancellare, o tentare di farlo, la legge 54/06. I profili delle contestazioni erano francamente imbarazzanti per la loro pochezza, proteste parlamentari sui social a colpi di “maledetta 54” e “maledetta bigenitorialità”. Vogliamo sperare che in questa Legislatura il dibattito divenga più serio, imparziale, documentato e soprattutto libero da condizionamenti ideologici.
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