La Fionda

Violenza assistita? Conta solo se la vittima è donna

Noi de “La Fionda” sosteniamo da anni un principio che appare ovvio nella sua semplicità: non serve a nulla inasprire le pene se l’assassino ha messo in conto di finire all’ergastolo o suicidarsi. Quando il reo dimostra di non avere alcun interesse per le conseguenze legali di ciò che commette, quando non vuole continuare a vivere da uomo libero, o addirittura continuare a vivere e basta, è un falso obiettivo invocare pene più severe sull’onda della spinta giustizialista del momento. Ora poi, in febbrile campagna elettorale, molti proclamano di essere in prima linea nella lotta al cosiddetto femminicidio e, nella speranza di racimolare un voto in più, lasciano intendere di avere in mano la Soluzione, quella con la S maiuscola, per garantire sicurezza a tutte le donne. Prima ancora che inizi il processo, allora, braccialetti elettronici per tutti i denunciati, carcere per tutti i sospettati, scorte armate per ogni donna…

Ho ribadito l’inefficacia di proposte nate dall’emozione del momento anche il 28 agosto, commentando un’uscita della Senatrice Valeria Valente (sì, sempre lei) che scriveva: «pur rimanendo garantisti, crediamo sia giusto riequilibrare il diritto alla libertà personale del soggetto sospettato di stalking o violenza con quello alla incolumità della presunta vittima. Non possiamo permettere che un soggetto potenzialmente pericoloso sia a piede libero». Pur rimanendo garantisti, sarebbe quindi opportuno arrestare chiunque sia sospettato di stalking, lei non può sopportare che un tizio “potenzialmente” pericoloso sia a piede libero. Basta il sospetto, ovviamente della presunta vittima, e si aprono le porte del carcere. Pur rimanendo garantisti. Poi la condanna per stalking arriva nel 4% dei casi (dati ministeriali), quindi “solo” il 96% degli accusati viene archiviato, prosciolto o assolto, ma per i sospetti della Valente sarebbe giusto privare tutti della libertà anche senza un reale motivo. Rimanendo, ovviamente, garantisti.

femminicidi vagli
Giuseppina Fumarola e Alessandra Matteuzzi.

Le forzature di “Fanpage”.

Di recente, anche Anna Vagli, su Fanpage, mostra il proprio scetticismo sulla validità delle misure proposte a gran voce dal popolo dei forcaioli: «perché l’inasprimento delle pene non basta a combattere i femminicidi». Bene ma non benissimo. Condivisibile, infatti, quando riferendosi ai decessi di Alessandra Matteuzzi e Giuseppina Fumarola scrive: «entrambi gli assassini hanno dimostrato di non aver alcun interesse rispetto alle pene previste e alle conseguenze legali dei loro atti (…) Pur con modalità differenti, Giovanni e Vito hanno dimostrato di non riconoscere alcun valore alla legge e ai loro rappresentanti (…) L’invocato aumento delle pene di cui si sente parlare negli ultimi giorni non è funzionale. Nello specifico, a poco e nulla serve introdurre pene più severe sull’onda delle emozioni momentanee». Analisi lucida, complimenti, peccato che poi scivoli nella solita melassa ideologica. Compare l’immancabile mantra femministicamente corretto: donne uccise in quanto donne. Slogan privo di significato sotto qualsiasi aspetto lo si voglia analizzare: logico, giuridico, etico, antropologico, sociologico, filosofico… Non vuol dire nulla, è falso che una donna venga uccisa per la sola colpa di essere donna, ma è uno slogan ideologico usatissimo per definire uno pseudoreato altrimenti indefinibile.

Poi Anna Vagli utilizza strumentalmente Alessandra e Giuseppina per sconfinare sull’argomento degli orfani di femminicidio, anche se nessuno degli assassini aveva figli con le vittime. Gli orfani speciali sarebbero i figli delle donne uccise dal marito: madre al camposanto e padre dietro le sbarre, oppure tutti e due al camposanto. In entrambi i casi i figli restano soli al mondo, circostanza oggettivamente terribile. Però nessuno degli episodi citati rientra in tale casistica: Alessandra non aveva alcun figlio, non ci sono orfani da accudire; Giuseppina aveva due figli da una precedente unione, non sono rimasti soli al mondo visto che potrà occuparsene il padre. Altro aspetto sottolineato per gli orfani speciali: «Tra loro ci sono bambini e bambine, ragazzi e ragazze, che hanno assistito direttamente al delitto. Vedere l’uccisione del genitore, per di più ad opera dell’altro genitore, porta con sé conseguenze gravissime”. Vero ma, come sopra, tale problema non c’entra nulla con i casi citati. All’omicidio di Alessandra hanno assistito alcuni vicini di casa, a quello di Giuseppina alcune colleghe della sartoria. Nessun minore era presente sulla scena del crimine, tantomeno i figli delle vittime che, come già detto, nel caso di Alessandra non esistono affatto e nel caso di Giuseppina, anche qualora fossero stati presenti, non avrebbero visto un genitore uccidere l’altro.

Anna Vagli
Anna Vagli.

Lo slogan uccisa in quanto donna.

Vi sono tuttavia alcuni casi nelle ultime settimane, più o meno concomitanti con i due episodi citati, più calzanti al problema della violenza omicida in presenza di minori. Si tratta di vittime maschili uccise da donne: Ciro Palmieri ucciso a coltellate dalla moglie alla presenza di due figli minorenni, Shefki Kurti ucciso e fatto a pezzi dalla moglie, Sebastiano Caira accoltellato dalla moglie davanti al figlio di lei. Tre uomini assassinati a coltellate, minori presenti in due casi su tre. Però per parlare della violenza assistita questi episodi non vengono citati, meglio giocare sull’equivoco citando i casi di Alessandra Matteuzzi e Giuseppina Fumarola dove i minori non compaiono affatto. Pensiamo di esserci sbagliati, proviamo a rileggere titolo e sottotitolo dell’articolo di Fanpage; dice proprio “I femminicidi di Alessandra Matteuzzi e Giuseppina Fumarola evidenziano come l’aumento delle pene non sia sufficiente ad arginare il fenomeno e come, in questi casi, non si tenga quasi mai conto degli orfani di femminicidio”. No, non c’è nessun errore, il disinteresse per gli orfani di femminicidio viene proprio legato a “questi casi”, cioè Alessandra e Giuseppina. Sembrava brutto parlare di minori costretti ad assistere ad un delitto, quando l’assassina è una donna e la vittima è un uomo. La narrazione dominante va in un’altra direzione, quella dello slogan uccisa in quanto donna.



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