Si dice che dovrebbe esserci un limite all’indecenza, ma è un auspicio che molto spesso i media mainstream smentiscono alla radice. È il caso dell’articolo uscito il 30 gennaio su La Stampa, a firma della scrittrice Viola Ardone e intitolato «La violenza sulle donne e il negazionismo di Milei: “il femminicidio non esiste”». Purtroppo è un articolo per abbonati (perché su questi temi i “click” sono sempre tanti…), quindi non possiamo linkarlo nella sua interezza, ma noi che l’abbiamo letto possiamo riportarvi alcuni brani e alcuni concetti davvero significativi per quanto sono capaci di esibire la malafede, la bugia e la manipolazione a cui una certa narrazione è capace di arrivare. Ardone, nel richiamare l’iniziativa argentina di abolire il reato di “femminicidio” dal codice penale, sostiene che Milei e il suo governo si giustifichino attraverso questo sillogismo: uomini e donne sono uguali, la legge è uguale per tutti, ergo nessun omicidio può essere più grave dell’altro. Secondo l’autrice questo sarebbe però un sillogismo falso, che addirittura Aristotele avrebbe respinto, ma il suo richiamo allo Stagirita è soltanto un patetico appello al principio d’autorità per dare forza al suo argomento altrimenti privo di senso. Così infatti ragiona Ardone: i reati vengono puniti in modo diverso a seconda della gravità e uccidere una donna in quanto donna è più grave. Naturalmente si guarda bene dello spiegare perché sarebbe più grave (e poi più grave di cosa, dell’uccidere un uomo forse?), anche perché se lo facesse l’articolo finirebbe subito e lei dovrebbe tornare a scuola a studiare Aristotele e legge. Secondo quest’ultima, infatti, almeno in Italia, c’è tra le altre l’aggravante dei “futili motivi”, che vale per entrambi i sessi. Che esista un’aggravante (morale o giuridica) per l’uccisione di una donna in quanto donna è insomma una fantasia lisergica della Ardone, che però spaccia ai lettori come qualcosa di reale.
Ma non è tutto. Dopo la solita tirata sul fatto che Milei è di destra come Trump e come un sacco di altri brutti e cattivi fascistoni testosteronici, ci regala un paragrafo che merita di essere riportato integralmente. Tenetevi forte: «Il reato di femminicidio, per esempio, è stato introdotto in Italia nel 2013 ed è presente in moltissimi Paesi nel mondo per stigmatizzare la violenza di genere e per porre un freno a una serie di crimini che vanno dallo stalking, alla molestia, alle percosse fino all’omicidio. Il femminicidio, come tutti sanno, non indica il genere della persona uccisa, ma il motivo: uccisa perché donna. Si tratta dunque di una norma che si è resa necessaria proprio per condannare una prevaricazione, una disparità, un’ingiustizia storica». Raramente si trova nelle giaculatorie femministe un tale condensato di bugie, inesattezze, incoerenze e sfacciataggine. Vediamole brevemente una ad una. Primo: nel codice penale il reato di “femminicidio” non c’è affatto, manco per sbaglio. Sfidiamo la signora Ardone a citarci eventualmente l’articolo che lo sanziona: se lo trova, chiudiamo il sito e tutti i canali social. Lei fa riferimento a una legge-porcheria (il D.L. 14 agosto 2013 n. 93, convertito poi in legge con modifiche dalla L. 15 ottobre 2013 n. 119) a cui venne dato il nome di “Legge sul femminicidio”, ma che del femminicidio non parla affatto. Stabilisce un sacco di cose discriminanti contro gli uomini, quello sì, ma niente che riguardi il femminicidio. È appunto solo un fatto nominale, come la “Legge Merlin” sulla chiusura delle case di tolleranza o la “Legge Ferri” per i limiti di velocità e le cinture obbligatorie in auto e così via.

Media oltre il limite dell’indecenza.
Secondo: falso e impossibile è che una legge che sanziona una fattispecie di reato venga fatta per porre un freno anche ad altri reati eventualmente correlati: le norme hanno requisiti molto specifici, non possono essere multitasking. Terzo: comica e orrendamente ipocrita è anche la frase per cui il femminicidio non indicherebbe il genere della persona uccisa ma il movente. Un po’ come dire che la prostatite non indica il genere di chi ne soffre, ma le caratteristiche di una patologia. Quarto: è notoriamente falso che siano esistite prevaricazioni, disparità e ingiustizie storiche, ossia quel patriarcato di cui si favoleggia per dire tutto, il contrario di tutto e anche palesi bugie. Che nel caso della Ardone non finiscono qua. Forse pensava che servisse metterci il carico da undici perché poco dopo ritiene di farci una lezione su cosa sia il femminismo: «non è una lotta tra bande, una guerra di donne contro uomini che mette metà della popolazione contro l’altra […], ma un movimento della società civile che da decenni si batte per il superamento delle discriminazioni». Ah sì, Ardone? Pensi che proprio la Legge 119/2013 da lei citata riserva una serie di benefici alle persone vittime di violenza di genere, il cui status di vittime sia però accertato da un centro antiviolenza. Se non che i centri antiviolenza assistono soltanto donne, ergo quei benefici sono solo per le donne. Dunque quella è una legge vergognosamente discriminatoria e sessista, ma non ho mai sentito la sua voce di protesta o una sua proposta per emendarla. Il femminismo si è sempre coperto dietro il travestimento della “lotta per la parità e contro le discriminazioni”, ma sotto la maschera è da sempre un mero movimento di odio verso gli uomini. E lei, Ardone, lo sa molto bene.
Il resto dell’articolo non è particolarmente significativo. È la solita sbobba-piagnisteo che, coprendosi dietro pseudo-argomentazioni politiche (aiuto, la destra avanza ovunque!), mette in scena una drammatizzazione emozionale di quello che può capitare alle povere minoranze maltrattate, donne in primis. Niente che abbia davvero a che fare con la realtà dei fatti, ma Ardone è una scrittrice, drammatizzare scrivendo è ciò che sa fare, quindi nessuna sorpresa. La vera sorpresa, semmai, è che un quotidiano con la tradizione, la tiratura e l’influenza de “La Stampa” decida di pubblicare un articolo così zeppo di inesattezze e palesi mistificazioni. Quella frase: «il reato di femminicidio, per esempio, è stato introdotto in Italia nel 2013», che non può essere frutto di ignoranza o di un errore casuale, quindi è pura malafede, era da cancellare fin dalla fase di editing. Invece “La Stampa” l’ha tenuta, così come il resto dell’articolo, finito sotto gli occhi di chissà quanta gente, con tutta la conseguente devastazione informativa verso l’opinione pubblica. Una devastazione che questo nostro articolo, in un sito che vanta solo qualche migliaio di lettori, servirà ben poco a mitigare. Così, mentre un altro tassello viene posto a sostegno della grande menzogna del femminismo, è lecito chiedersi quanto in basso ancora intenda porsi l’informazione generalista in Italia. Diceva Denzel Washington in una intervista: «se non leggi i media, non sei informato; se li leggi, sei disinformato». Poi però si lamentano che X sta mandando a bagno intere redazioni, mentre una folla si gode lo spettacolo applaudendo.