Femminismo d’affari in grande spolvero a fronte dell’installazione del nuovo Governo. Si ha così Antonella Veltri, Presidente D.I.Re., uno dei più grandi coordinamenti italiani dei centri antiviolenza, e dunque azionista di maggioranza dell’Antiviolenza Srl, che si fa intervistare da “Alley Oop”, la sezione femminista del Sole 24 Ore. La situazione in effetti lo richiede: sugli scranni del Governo siedono quasi solo uomini e in tutta la compagine si contano soltanto due femministe conclamate (Elena Bonetti, Fabiana Dadone) e un cicisbeo (Andrea Orlando) e nessuna nell’infornata di Vice-Ministri e Sottosegretari, sebbene la metà sia composta da donne. Allarme rosso, dunque: il nuovo esecutivo sembra non dare molti agganci, appare anzi intenzionato a occuparsi di questioni importanti tipo l’emergenza sanitaria e la ripresa economica del paese e a trascurare le sacche parassitarie di natura ideologica. Ecco allora che si fa appello alla boss di D.I.Re. perché diffonda il suo verbo preoccupato e le sue richieste per il settore, consegnate al maggiore quotidiano economico nazionale.
Le premesse dell’intervista sono due, una vera e una falsa. Quella vera è che il riconfermato Ministro Elena Bonetti è “senza portafoglio”. Una mancanza che mette subito in allarme il coordinamento dei centri antiviolenza, essendo il portafoglio pubblico, o meglio ciò che contiene, in cima alle sue priorità. La Bonetti non l’aveva nemmeno prima, in realtà, ma aveva trovato il modo di far cadere sulla testa dei centri antiviolenza ben 30 milioni di euro, mentre migliaia di italiani morivano soffocati in ospedali mal attrezzati o privi di personale. Forse la Veltri sa che erano gli ultimi in cassa, stanziati tempo prima: ora è probabile che Draghi non sia tanto propenso a buttar via denaro, e questo la preoccupa. La premessa falsa invece fa riferimento ai dati delle violenze e dei “femminicidi” nel 2020 come furbescamente inseriti dall’ISTAT nel suo recente report sugli omicidi nel 2019: una sfilza di percentuali buttate lì senza alcun riferimento reale e assoluto, solo per sostenere la fanfaluca che durante il lockdown le strade e le case italiane abbiano grondato sangue. Una bugia che i fatti e noi, nel nostro piccolo, abbiamo smentito da tempo.
Poche, vivaddio, sono le donne in reale difficoltà.
Da lì la Veltri prende le mosse per lamentare che il “Piano antiviolenza” è scaduto nel 2020 senza che ne venissero realizzati tutti i punti, incardinati su quelle che chiama “le tre P”: prevenzione del fenomeno, protezione delle vittime, punizione del colpevole. Tutte in realtà declinazioni di una sola P: pecunia. Il problema principale per la presidentA D.I.Re. è rappresentato dalle regioni, che fanno da passa-soldi e gestiscono la partita a modo proprio, qualcuna per commessa diretta come in Friuli (dove evidentemente la Guardia di Finanza non ha nulla da fare), qualcuna tramite bandi, altre delegando gli enti locali sottordinati. Così si disperdono molti soldini e si burocratizza tutto, dice la Veltri: il flusso di risorse pubbliche diventa discontinuo e lento. Non solo: occorrerebbe anche ridefinire il concetto di “centro antiviolenza” perché, orrore, c’è qualche furbacchione che si spaccia per tale e arraffa soldi che sarebbero assolutamente riservati. In ogni caso la Veltri evoca una “cabina di regia” che possa farsi da referente unico, armonizzando l’attività delle regioni. In altre parole: date tutto il malloppo a noi, che ce lo gestiamo in autonomia facendo fare alle amministrazioni regionali solo qualche funzione formale.
Quale sia la nostra tradizionale posizione su questo tema è ben noto: i centri antiviolenza in generale servono a poco o nulla. E quando servono è per far danno, ad esempio per elaborare false accuse. La loro attività di assistenza vera potrebbe essere, a un costo assai inferiore, svolta da enti pubblici come ASL e consultori, che per altro per statuto dovrebbero accogliere uomini e donne senza distinzione. Per chiarezza: quando diciamo che servono a poco o nulla intendiamo diverse cose. Anzitutto che non c’è l’utenza reale per tenerli in piedi. Molti di quelli che chiudono è perché non hanno “clienti”, prova ne sia che la Regione Lombardia ha ancora milioni a disposizione vincolati per il finanziamento di nuovi centri antiviolenza, che però nessuno prende perché non ci sono donne che vi si rivolgano. Gran parte del battage ossessivo serve proprio per stimolare questa domanda di servizi conflittuali, per far sì che si senta vittima di violenza anche la moglie il cui marito non ha notato il nuovo smalto sulle unghie. A quanto pare tutta quella réclame sono soldi (pubblici) spesi male: poche si rivolgono ai centri antiviolenza con problemi reali, perché poche, vivaddio, sono le donne in reale difficoltà. E tra queste ultime, la maggior parte invece di perdere tempo con delle femministe fanatiche e incompetenti preferisce, giustamente, rivolgersi direttamente alle Forze dell’Ordine.
PresidentA Antonella Veltri, accetterebbe questo accordo?
Quella dei centri antiviolenza è però anche un’inutilità funzionale. Si pensi ai messaggi che vengono diffusi: se segnalazioni e denunce calano, è preoccupante perché vuol dire che le donne non denunciano o sono tenute ai ferri dagli “aguzzini”; se restano uguali, è preoccupante perché non si riesce a incidere sul fenomeno; se aumentano, è preoccupante perché la violenza è dilagante. Un meccanismo “win-win” grazie al quale c’è sempre un motivo di preoccupazione, emergenza, allarme. Che però, supponendo che sia fondato (e non lo è), pone sul tavolo una questione cruciale: se è così e siamo sempre in emergenza, qualunque cosa si faccia, a che servono i centri antiviolenza? Sono attivi ormai da anni, alcuni da un decennio, eppure non si vede alcun effetto positivo. È legittimo pensare che siano inefficaci o, in termini di investimenti pubblici, che siano soldi buttati. Significa che lo strumento incentivato dalla Convenzione di Istanbul non è adeguato per sradicare la violenza patriarcale e oppressiva in un paese pregno di maschilità tossica come l’Italia. Hai voglia a ridefinire il concetto di “centro antiviolenza”, come suggerisce la Veltri: si vada piuttosto a vedere come mai, nonostante gli investimenti, non ottengano alcun risultato.
Anzi, pur se la cosa stupirà più di un nostro lettore, cambiamo approccio alla questione e facciamo questa proposta formale: Draghi in persona si attivi per stanziare due miliardi di euro ai centri antiviolenza, con una deroga al Titolo V della Costituzione, quindi per attribuzione diretta, senza passare dalle regioni. Li dia tutti alla “Cabina di regia” evocata dalla Veltri, che a sua volta li distribuisca equamente alle varie associazioni. A distribuzione fatta, però, si faccia partire la clessidra: 24 mesi per portare a casa un risultato tangibile, ovvero tot donne salvate dalle violenza e recuperate alla società, tot uomini assicurati alla giustizia (con l’aiuto del Codice Rosso si può) e un calo drastico e verificabile, se non un azzeramento, dei numeri legati alla violenza sulle donne e ai “femminicidi”. Con due miliardi di euro a disposizione si può fare questo e altro. Così si gestiscono gli investimenti, specie con i soldi pubblici: legandoli ai risultati. Fermo restando però che se gli obiettivi non vengono raggiunti, i centri antiviolenza dovranno restituire tutto e chiudere le saracinesche. Oppure proseguire ma senza più soldi pubblici, lasciando mano libera allo Stato di gestire la questione direttamente e con più efficacia. Che dice, presidentA Antonella Veltri, accetterebbe questa proposta?