Ieri sera la Senatrice Valeria Valente (PD) in un suo post su Facebook mette me e Fabio Nestola al centro delle sue attenzioni con un post di protesta per essere stati invitati in Commissione Giustizia a esprimere un parere sull’ennesima proposta di legge repressiva e antimaschile attualmente in discussione. Una risposta efficace l’ha già ricevuta dal Senatore Simone Pillon, ma ritengo necessario elaborare anch’io una breve replica. Prima di andare al punto, però, ritengo importante soffermarmi su un paio di aspetti. Il primo è il fatto che in passato gli autori de “La Fionda” hanno fatto l’ingenuo errore di annunciare sempre la propria presenza, quando invitati a convegni, in TV o in radio. L’annuncio preventivo ha dato ogni volta l’occasione a chi non vuole permetterci di esprimerci in pubblico (esponenti politici o di attiviste di vario genere) di intervenire e far fallire l’ospitata. Che si trattasse di un intervento censorio esterno per eliminare dal dibattito posizioni “scomode” lo dimostra proprio il frangente della Commissione Giustizia: stavolta infatti abbiamo annunciato la nostra presenza soltanto cinque minuti prima che iniziasse l’evento e magicamente tutto è andato liscio. Un secondo aspetto rilevante è il fatto che, dopo la pubblicazione dei nostri interventi al Senato, alcune kapò femministe con evidenti problemi di gestione della rabbia e dell’odio hanno pubblicato, sempre su Facebook, sbrodolate psichiatriche di protesta e indignazione, i cui toni e contenuti, non posso fare a meno di notarlo, riecheggiano chiaramente nel post della Senatrice Valente. Pare essere un’ulteriore dimostrazione dell’esistenza di una rete che permette all’attivismo più livoroso e fuori controllo di trovare agenti attivi direttamente nelle istituzioni, usate liberamente per condurre una proxy war (oggi tanto di moda) con l’utilizzo di parlamentari evidentemente disponibili a fare acriticamente da megafono, anche a costo di diffondere palesi menzogne e di insultare e diffamare liberi cittadini che esprimono la loro libera (e documentata) opinione. Un quadro sconfortante per le istituzioni italiane, va detto.
In tanti mi sollecitano ora a querelare la Senatrice Valente per diffamazione aggravata. Naturalmente non lo farò. E non lo farò per un motivo ben preciso. Non è la prima volta che la Senatrice mi diffama su Facebook. Nel 2019 scrisse sulla pagina dei senatori PD che avevo sfregiato una donna con l’acido. Vero che poi ritrattava, ma lo faceva in una delle centinaia di commenti sottostanti al post: una marcia indietro pressoché invisibile rispetto al post stesso. Naturalmente feci querela, senza preoccuparmi dello scudo dell’immunità di cui gode la Senatrice: tanto palese era il reato che immaginavo ci sarebbe stato almeno un rinvio a giudizio. Così accadrebbe in ogni paese normale, con una magistratura davvero indipendente. Invece i magistrati archiviarono clamorosamente, per due volte. Dunque a che pro querelare di nuovo la Senatrice Valente per le inqualificabili e false (guarda caso) accuse che mi rivolge? Di fatto ciò che ha scritto vale meno della marca da bollo da 3,92 euro che mi servirebbe per depositare la querela, ed è qui che si impernia sostanzialmente la mia risposta al suo post. Ebbene sì, noi siamo quelli brutti e cattivi. Se le fa piacere e comodo etichettarci così, gentile Senatrice, non c’è alcun problema. Il suo compito immediato di mostrificare chi la pensa diversamente l’ha svolto egregiamente: le sue fan l’applaudiranno mentre a noi la cosa rimane del tutto indifferente. Ora però svolga anche un altro ben più importante compito: vada nel merito. Io, brutto e cattivo, in audizione ho portato dati, statistiche, tabelle ufficiali, fatti. Tutto falso e infondato? Benissimo: lo smentisca, dati e fatti comprovati alla mano. Mi sbugiardi, mi svergogni davanti al paese. Faccia, insomma, ciò che ci si attenderebbe da una parlamentare seria e coscienziosa. Il che non significa, ben intesi, citarsi addosso, ovvero portare dati elaborati da portatori d’interesse come i centri antiviolenza o la “Commissione femminicidio” che lei stessa presiede, bensì significa aprire un dibattito democratico, aperto, documentato e oggettivo su un fenomeno che colpisce la società intera, senza distinzione alcuna, e che soprattutto attiene al futuro che attende le nuove generazioni. Un futuro di cui noi tutti, ma specialmente chi come lei ha incarichi e doveri pubblici, siamo chiamati ad assumerci la responsabilità. Se il suo modo di esercitare tale responsabilità è rappresentato da post come quello di ieri, mi perdoni ma non riesco proprio a essere ottimista rispetto al futuro di quelle povere nuove generazioni. E mi auguro vivamente che le urne, alla prossima occasione, provvedano a risolvere il problema.
Davide Stasi
Di seguito l’intervento di Davide Stasi in audizione presso la Commissione Giustizia del Senato.
La senatrice Valente non capisce, o finge di non capire, ciò che scrivo, dico, dimostro. E, giocando sull’equivoco, parte a testa bassa con l’attacco personale basato su menzogne. Non ho mai negato che esista la violenza maschile contro le donne. La mia gravissima colpa – per la quale vengo attaccato, denigrato e insultato da anni – è quella di sostenere (e dimostrare con documentazione inequivocabile) che esiste la violenza anche a ruoli invertiti. Non ne ho mai fatto una questione di prevalenza, il mio intento non è mai stato quello di una insana competizione per stabilire quale sia il genere più aggressivo e violento: mille fonti istituzionali e mediatiche parlano incessantemente della violenza subita dalle donne, io mi limito a dire (e dimostrare, documenti alla mano) che c’è anche altro, ma a quanto pare la cosa crea fastidio, non si deve fare. Credo che la narrazione unidirezionale non sia funzionale a una comprensione di quali siano i reali contorni del fenomeno “violenza”, osservato e studiato nella sua interezza e non attraverso un’ottica condizionata ideologicamente. Contesto, e rivendico il diritto di farlo, lo stereotipo inquinato dall’ideologia che vorrebbe gli uomini carnefici, tutti, e le donne vittime, tutte. Per semplificare, contesto quanto sintetizzato già anni fa nell’immagine di Oliviero Toscani per la campagna antiviolenza sul periodico Donna Moderna. Sostengo (e dimostro con documentazione inequivocabile) che la violenza viene agita secondo dinamiche ampie e complesse che prescindono dal genere di autori e vittime. A mio parere è mistificatorio circoscrivere la violenza al postulato del genere maschile perennemente in guerra contro il genere femminile, la violenza non può essere descritta come esclusivamente “di genere”, le uniche ad essere realmente e concretamente “di genere” sono le contromisure istituzionali.
Tutto ciò non significa inneggiare alla violenza e/o all’odio contro le donne. “Inneggiare”, secondo i maggiori dizionari significa “cantare inni di lode o di ringraziamento” o, per estensione, “esprimere calorosamente il proprio sostegno”. Secondo la Senatrice Valente, dunque, con il mio lavoro ultradecennale di ricerca e raccolta dati avrei espresso calorosamente il mio entusiastico sostegno a chi fa violenza alle donne, esaltando l’odio contro le stesse. Mi pare, a voler essere generoso, piuttosto riduttivo e semplicistico, oltre che totalmente falso. Ritengo poi opportuno precisare che non sono mai stato denunciato per aver inneggiato alla violenza contro le donne. Almeno che io sappia. Potrei infatti, almeno in teoria, essere stato denunciato/querelato mille volte dalle mie accanite haters, ma com’è noto il denunciato/querelato non viene informato della denuncia/querela, né della archiviazione nel caso in cui, appunto, le denunce/querele a suo carico vengano archiviate. Potrei, in sostanza, essere stato segnalato all’Autorità Giudiziaria un numero infinito di volte, ma un numero infinito di volte questa potrebbe aver valutato prive di fondamento le accuse che mi sono state mosse. La Senatrice Valente lo sa ma finge di non saperlo, rinnovando così un approccio già rivelato in molte altre circostanze: non conta l’esito delle denunce, ma il loro numero, come se si trattasse di un dato significativo (e non lo è affatto). Nell’ottica “valentista”, per definire violenta una persona, ciò che rileva è la mole di denunce a suo carico, indipendentemente dal fatto che tali denunce si siano dimostrate prive dei requisiti minimi per istruire un processo. Una semplificazione di natura meramente ideologica che però non ha riscontri nella realtà. Un po’ come il termine “femminicidio”, che abbiamo richiesto più volte e formalmente proprio alla Senatrice Valente, Presidente dell’omonima Commissione Parlamentare, di definire con precisione elencando le casistiche collegate, senza però mai ottenere una risposta circostanziata, documentata e ufficiale. Con ciò profilando uno scenario vagamente angosciante dove si incardina una commissione parlamentare d’inchiesta su un fenomeno che non si sa bene cosa sia. In conclusione, noi due reprobi, Nestola e Stasi, e insieme a noi un gran numero di altre persone, chiederemmo alla arrabbiatissima Senatrice di tornare lucida, accantonando per un attimo il rancore e il fervore ideologico dal quale è animata, per contestare nel merito gli interventi che secondo lei non avrebbero dovuto essere accettati, in particolare:
- Le accuse che poi si rivelano infondate esistono, si o no?
- Il dato presente nel DDL Cartabia/Lamorgese/Bonetti del 5% di condanne, al quale corrisponde un 95% di denunce esitate in archiviazione o assoluzione, è reale si o no?
- È vietato rilevare i dati ministeriali sulle denunce prive di fondatezza, si o no?
- Legiferare esclusivamente a favore delle vittime femminili è discriminatorio, si o no?
- Le vittime maschili di violenza domestica esistono, si o no?
- Senza negare che esistano le vittime femminili, è vietato riconoscere e documentare che esistano anche quelle maschili, si o no?
- Conosce la casistica degli uomini maltrattati, perseguitati, percossi, sfregiati con l’acido, accoltellati, avvelenati o uccisi con altre modalità, si o no?
Attendiamo fiduciosi un riscontro.
Fabio Nestola
Di seguito l’intervento di Fabio Nestola in audizione presso la Commissione Giustizia del Senato.