N.d.R.: ospitiamo qui con soddisfazione la presentazione dell’eccellente libro “Uomini vittime di violenza: cosa ne pensano i giovani”, realizzato da un team professionale (Marina Campisi, Samuela Carmucco, Gabriella Concialdi, Claudia Corbari, Gloria Federica De Tullio, Giuseppe Maniglia) che coniuga psicologia, pedagogia e diritto, e che ha svolto una delle più meritorie attività possibili: andare nelle scuole superiori a parlare e a raccogliere impressioni sulla trasversalità della violenza.
di Gloria Federica De Tullio. Il nostro contributo “Uomini vittime di violenza: cosa ne pensano i giovani” nasce da una domanda rivolta a degli studenti di scuola superiore: «E se le vittime fossero gli uomini?». È da questa riflessione che gli stessi ragazzi coinvolti nel nostro progetto, ci hanno accompagnato delicatamente all’interno di un labirinto di idee e di credenze spesso alterate o minimizzate sulla tematica della violenza di genere.
Nella nostra società siamo abituati a sentir parlare di violenza sulle donne, ogni giorno e in ogni forma. Ma queste non sono le uniche forme di violenza con cui il genere umano si trova costretto a convivere. Anche gli uomini non sono immuni dal ruolo di vittime di violenza: possono incappare in dinamiche relazionali disfunzionali e come tali essere vittime di atti di violenza. Seppur in percentuale minore, le statistiche dei paesi esteri e quelle dei pochi studi effettuati in Italia ci dicono che il fenomeno esiste diffusamente, ma nonostante ciò questi uomini rappresentano quel numero oscuro di vittime non visto e poco considerato dall’opinione pubblica.
Il nostro lavoro in alcuni istituti superiori ci ha permesso di esaminare la percezione che gli adolescenti hanno del fenomeno della violenza sugli uomini. Di conseguenza ci siamo soffermati su quanto la società influenzi e condizioni le nuove generazioni, sul ruolo dell’adulto e della sua responsabilità verso i giovani, che con la sua azione contribuisce alla crescita e alla trasmissioni spesso di false credenze e pregiudizi di genere. Un dato significativo della nostra ricerca è che un terzo della popolazione del campione non ha mai sentito parlare di violenza sugli uomini e che la violenza, soprattutto quella fisica, sia concepita solo nei confronti degli uomini omosessuali, considerati fisicamente fragili o indifesi. Pensiamo che i risultati raccolti siano testimonianza che il fenomeno abbia poca visibilità, che non se ne parli abbastanza e che ciò può provocare distorsioni della realtà, senza dimenticare le conseguenze psicologiche di chi subisce ingiustizie ma non viene visto.
Rafforzare l’educazione emotiva sin dall’infanzia.
Tutti noi ci siamo trovati almeno una volta nella vita in situazioni di difficoltà in cui magari è stato necessario chiedere aiuto e ricevere l’appoggio di qualcuno che accolga prima di tutto il nostro dolore e i nostri bisogni. Proviamo ad immaginare che, nonostante le richieste d’aiuto più o meno esplicite, non venissimo visti o che nessuno si soffermasse ad ascoltare la nostra richiesta. Proviamo ad immaginare se a queste necessità nessuno credesse perché fin da piccoli ci hanno insegnato che l’uomo è il sesso più forte o che la fragilità o l’emotività è roba solo del femminile. Per ultimo, sforziamoci di immaginare come ci si può sentire quando il proprio dolore viene sottovalutato o peggio non visto.
Cambiamento culturale, consapevolezza e prevenzione sono le parole chiave per affrontare questa tematica e che inevitabilmente sono punti saldi che hanno guidato nostro lavoro. È da questi presupposti che abbiamo affrontato solo alcune sfaccettature delle forme di violenza di genere, raccogliendo i dati che la ricerca scientifica ci fornisce sulla tematica. Nello specifico, influenzati dai risultati della nostra ricerca, abbiamo scelto di approfondire la violenza nella coppia, il cambiamento culturale della figura del padre nel corso del tempo, la sindrome da alienazione parentale, dedicando anche uno sguardo alla tutela giuridica delle vittime della violenza di genere. Come operatori e professionisti del benessere e della salute, abbiamo la convinzione che educare alla non-violenza significhi educare alla comprensione reciproca partendo proprio dai fatti reali che ci circondano. È da questa conoscenza e informazione sana che possiamo rinforzare le nostre competenze empatiche. È necessario rafforzare l’educazione emotiva sin dall’infanzia coltivando relazioni sane con l’altro e praticando atti di gentilezza.
Nota bene: insieme agli autori di questo libro, sotto l’egida dell’Associazione Ghenos, “La Fionda” parteciperà a un ciclo di trasmissioni online intitolate “La violenza non ha genere”. Il primo appuntamento è stasera alle ore 21.00 per discutere di discriminazione di genere e mass-media, in collegamento diretto su tutti i canali social de “La Fionda” e dell’Associazione Ghenos o tramite questo link Zoom, con la possibilità di porre domande.