Chiunque si occupi con un po’ di attenzione del tema delle separazioni e degli affidi di minori sa chi sia Giovanni Battista Camerini. Psichiatra infantile bolognese, docente universitario, con un curriculum vitae di 39 pagine, è di fatto uno dei maggiori studiosi italiani sul tema degli abusi sui minori, specie in ambito separativo. Come tale, viene sovente chiamato dai tribunali per fare consulenze dove non di rado riconosce la sussistenza di condotte mobbizzanti o alienanti di un genitore sull’altro, sistematicamente tramite la manipolazione dei figli. Una realtà che il Prof. Camerini ha studiato a fondo, confrontandosi con suoi pari-grado di livello internazionale e vedendo applicati nella pratica quei comportamenti che da anni analizza sul piano accademico. È sufficiente seguirlo sui social per comprendere come abbia una posizione molto concreta sull’annosa questione della PAS (Sindrome da Alienazione Parentale): che sia o meno una patologia ufficialmente riconosciuta, dice, è irrilevante. La si chiami sindrome, pippo, pluto o paperino, la si inserisca o meno negli elenchi ufficiali delle malattie, di fatto è qualcosa che capita con grande frequenza, ha caratteri riconoscibili, è descrivibile e rilevabile nel concreto, e va combattuta perché impatta in modo devastante sull’equilibrio psichico dei bambini. Parola di psichiatra infantile.
La sua statura scientifica e ciò che sostiene ovviamente non vanno a genio a quel manipolo di madri organizzate, ben ammanigliate sul piano politico, e in genere loro stesse accusate di condotte alienanti, che da qualche tempo si sono organizzate in comitati o associazioni sedicenti “anti-PAS”. Da quelle posizioni conducono una vera e propria crociata, portata avanti all’insegna non di una comprensione del fenomeno in cooperazione con altri portatori di idee diverse, bensì di un settarismo estremizzato che non di rado tracima nel fanatismo. Un qualcosa del tipo: “o con noi o contro di noi”. Il fatto che costoro si muovano essenzialmente sui social network favorisce questo tipo di polarizzazione, che però a più riprese assume toni grotteschi, da vero e proprio mondo rovesciato, tali da svelare la reale caratura di un gruppuscolo organizzato che ha avuto finora fin troppa influenza dal lato istituzionale. Se ne è avuta prova ieri quando, in un post pubblico, Laura Massaro, una delle leader di questo movimento di madri “anti-PAS”, annuncia sul proprio profilo l’eliminazione dalle amicizie di una avvocatessa che collabora con un centro antiviolenza, rea del peggiore vilipendio possibile: aver messo un “like” a un post del Prof. Camerini, cui la Massaro si riferisce chiamandolo sarcasticamente “Sommo pasista”.
La “voce delle madri”.
In un mondo normale basterebbe questo, l’uso dei social network come misura del mondo, la definizione sprezzante di uno studioso il cui valore è riconosciuto a livello internazionale, l’ardore del più puro che epura gli altri, per condannare l’intero movimento delle madri “anti-PAS” all’irrilevanza, invece il post ottiene la bellezza di 128 like e 46 commenti. Ed è soprattutto tra questi che si può trarre un severo insegnamento su cosa sia una setta, e quanto sia pericoloso che, in quanto tale, venga ascoltata con grande attenzione ai più alti livelli delle istituzioni. Non mancano i commenti lunari, dove alcune additano l’inqualificabile avvocatessa scacciata dall’Eden delle amicizie della Massaro come una “ancella” del patriarcato. Si ravveda chi pensava che la parola “ancella” venisse ormai usata soltanto nelle opere liriche o nei libri di grammatica latina: c’è chi ancora lo usa davvero e chi, di rimando, conferma mettendoci il carico di assumere sulle proprie spalle la voce “delle madri”. Quali e quante non si sa. O meglio: si sa ma non si dice, essendo qualche decina, di contro alle decine di migliaia di madri che in Italia portano avanti il proprio ruolo gioiosamente, magari separandosi pure nel pieno rispetto dell’ex coniuge e soprattutto dei figli.
Ma non c’è solo il recupero di terminologie antiche e ormai obsolete, tra i commenti. Ci sono anche momenti di vera e propria distopia, come quando un’altra avvocatessa pare voler sbeffeggiare la collega scacciata con disonore da Laura Massaro. Le scrive “CIAONEEE COLLEGA”, sembra sollevata e compiaciuta per la rivalsa, l’Avvocato Simona D’Aquilio, soddisfatta per l’estromissione di una collega che, servendo per i centri antiviolenza, ha osato mostrarsi infedele alla linea con un “like” al Prof. Camerini. Strano atteggiamento quello dell’Avvocato D’Aquilio, ancor più considerando che sul suo profilo personale dice di “portare la toga nel cuore”. Probabilmente intende soltanto la propria e non anche quelle altrui. D’altra parte dichiara anche di non indossarla in udienza, e anche questo potrebbe suggerire qualcosa di significativo rispetto al suo approccio nei confronti di quell’organo dello Stato chiamato Magistratura.
“E che palleeeeee!!!”.
Ma non è tutto (ci si perdoni la digressione sull’Avvocato D’Aquilio: la riteniamo emblematica): stiamo parlando di una persona che reagisce male, molto male («e che palleeeeeee!!!») quando qualcuno si azzarda a ricordarle che i padri violenti e abusanti sono una risibile minoranza rispetto alla stragrande maggioranza dei padri, e che quindi trasformare l’impegno contro quei pochi in una crociata o in una militanza settaria tendente al fanatismo non ha granché senso. È un tipo di critica che l’obiettivissima Avvocato D’Aquilio pare mal tollerare: le cadono le braccia se qualcuno non sta dalla sua parte, che in automatico per lei significa anche stare «dalla parte delle donne e dei bambini». Degli uomini no, ovviamente. A che serve stare dalla parte dei nuovi “giudei”, dei nuovi “negri” del corrente millennio?
Cogliendo fior da fiore tra i commenti, poi, si trova quella che è un po’ la pietra angolare di questo tipo di militanza. A chiosare il post di Laura Massaro si manifesta infatti Luisa Betti Dakli, giornalista e “esperta diritti umani”, nota iper-femminista italiana, anch’essa militante in servizio effettivo permanente contro la “PAS”. Nel suo commento rimprovera bonariamente la Massaro perché non fa in chiaro il nome della reproba scacciata dagli amici. Bisogna avvertirla che ha sbagliato, dice la Dakli, magari non sa che Camerini è il nemico. Oppure lo sa e allora «va fatto il suo nome e chieste spiegazioni a lei nonché avvertito il centro». In un filotto unico si auspicano la gogna mediatica, l’intimidazione personale e l’invasione di campo dal lato lavorativo. L’ignobile avvocata va segnalata al centro antiviolenza per cui lavora: il suo “like” a Camerini non deve passare impunito. Insomma: «tagliatele la testaaaa!», con gli agenti del NKVD che intanto arrossiscono di vergogna nelle loro tombe, al confronto. La Massaro risponde intelligentemente che non vuole impicci, ed ecco che allora la Dakli la esorta a dirle il nome della colpevole in un messaggio privato. «Ghe pensi mì», sembra dire la giornalista, apparentemente pronta a conciare per le feste e spedire in Siberia codesta avvocatessa doppiogiochista.
La nobiltà del vittimismo.
In questa interessante riunione aperta del Soviet, a quel punto si manifesta tale Antonella Labianca che, colpita dallo zelo della Dakli, le ricorda di averle mandato alcune segnalazioni chiedendo un supporto. Nel giro di quattro messaggi la conversazione diventa battibecco.
E nel giro di altri venti diventa un conflitto tra valkirie. Non lo riportiamo tutto perché è abbastanza tedioso, ci limitiamo al botta-e-risposta finale nel più classico stile “lei non sa chi sono io”, però declinato “alla femminista”, cioè in termini vittimistici. Diventa così un “lei non sa cosa ho sofferto io”. Siamo alla gara di purezza tra due ultra-pure che cercano di epurarsi a vicenda, siamo alla moderna cavalleria femminista: nel Medioevo due paladini che si incontravano su una strada dovevano declinare i propri titoli nobiliari per decidere chi dovesse lasciare il passo, oggi invece tra le paladine, in questo caso dell’anti-PAS, si devono declinare le proprie sofferenze, gli abusi patiti, le violenze subite e quant’altro.
Oggi la nobiltà è insomma poter asserire, naturalmente in assoluta autocertificazione, di essere stata più vittima di chi ci si para davanti e quando non si viene credute si passa al “tu non sai niente di me e della mia storia”, che evoca immagini di inenarrabili torture, o più rapidamente e frequentemente alle minacce reciproche di querela, che poi corrispondono ai vecchi cari duelli tra cavalieri di quando non si riusciva a capire chi dovesse cedere il passo. Tutto questo costituisce una delle tante epopee entusiasmanti (…) che si possono reperire online, specie sui social, nel campo dell’attivismo femminista antimaschile e antipaterno, ma anche anti-materno, anti-famiglia e anti-minori. Sono epopee che danno uno spaccato esatto del livello di buona fede o mala fede che anima quell’attivismo, ma ciò che più stupisce, tornando a bomba, è che accolite di questa caratura ritengano di potersi assumere il compito di sbeffeggiare, criticare o anche solo di farsi controparte di personaggi come il Prof. Giovanni Battista Camerini (e non solo). A una prima occhiata pare di vedere la simpatica e un po’ patetica scenetta di Gulliver legato dai lillipuziani, ma non bisogna farsi fuorviare e sottovalutare un fenomeno che, in quest’Italia al contrario, gode di tanto ampi quanto inconcepibili appoggi politici. Almeno fino alle prossime auspicabilissime elezioni.