di Ivan Russo – Uno dei tanti fronti di battaglia che l’esercito femminista affronta nella sua inesorabile lotta per il riscatto della donna oppressa dal patriarcato, c’è il tema del ciclo mestruale. Da evento naturale, quale è, è stato trasformato via via in un simbolo di rivendicazione fiscale (azzeramento dell’IVA sugli assorbenti e/o gratuità del prodotto), manifestazioni splatter (esibizione forzata di perdite ematiche), orgoglio riproduttivo in modalità asessuata (la necessità di uno spermatozoo è considerata irrilevante) e, ultimamente, anche come modalità “sindacale” per rivendicare agevolazioni sul posto di lavoro. In un cantone svizzero è stato approvato un postulato dei Verdi a favore di un congedo mestruale di 5 giorni lavorativi, ogni mese e a carico dell’ente pubblico, per le dipendenti del comune che soffrono di dismemorrea.
Ora, cosa si intende con questo termine? La dismenorrea è un insieme di sintomi soggettivi e dolorosi legati al ciclo mestruale. La dismenorrea può essere primaria (più frequente) oppure secondaria (dovuta ad anomalie pelviche). Il più delle volte la sintomatologia è facilmente controllabile mediante l’assunzione di antidolorifici; per alcune donne, invece, si tratta di un problema estremamente debilitante che può interferire con le normali attività quotidiane. È dunque una condizione patologica che può essere talvolta incompatibile con il lavoro. Come del resto molte altre condizioni patologiche che possono colpire tutti i lavoratori e le lavoratrici. Per questo motivo i contratti di lavoro prevedono la possibilità di assentarsi a causa della malattia, previa certificazione del proprio medico curante e soggiacendo agli orari di reperibilità per le visite di accertamento fiscale. Che nel settore privato sono dalle ore 10.00 alle ore 12.00 e dalle ore 17.00 alle ore 19.00 mentre nel settore pubblico dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.00, 7 giorni su 7, festivi compresi. Un diritto garantito a tutti i dipendenti senza distinzione di genere.
Un altro provvedimento sessista.
Ma per le indomabili paladine della disuguaglianza di genere questa patologia ha più diritto delle altre e merita un trattamento di favore con 5 giorni di congedo retribuito ogni mese. Tutti mesi della vita lavorativa e ovulatoria. E i congedi retribuiti non hanno neanche la rottura di scatole del vincolo degli orari di malattia che ti inchiodano in casa. La Repubblica, da quel gran megafono ideologico che è, ci fa già sapere che in Italia la percentuale di donne con dismenorrea può arrivare al 90%, cioè quasi tutte. E ricordiamo che qui non stiamo parlando di Endometriosi, Adenomiosi uterina o Fibromi, patologie evidenziabili con esame clinico e indagini strumentali. Per le sorelle della libertà si tratta anche solo di sintomi riferiti. Ricordiamo che la dismenorrea primaria (la più frequente) è legata proprio a sintomi soggettivi: dolore, mal di testa, stanchezza. Non è difficile immaginare la pletora di lavoratrici sofferenti pronte ad affollare lo studio del proprio medico per avere il pezzo di carta da portare all’ufficio del personale.
Secondo voi se domani ci fosse la possibilità di avere 5 giorni di ferie aggiuntive (ops, congedo…) ogni santo mese quante certificazioni verrebbero presentate ai datori di lavoro? Quante lavoratrici sarebbero pronte a dichiarare dolori incompatibili con l’attività lavorativa? Con un minimo di onestà intellettuale non è difficile ipotizzare che con 5 giorni di congedo retribuito tutti i mesi per tutta la vita e senza orari di controllo vuol dire che, se passasse questa norma, da domani avremo tutte le donne lavoratrici che lamentano questi sintomi e quindi tutte le donne lavoreranno 5 giorni al mese in meno tutti i mesi solo per il fatto di essere donne. E indovinate anche su chi ricadrebbe il carico di lavoro di queste assenze? Se non è un provvedimento sessista questo.
Il congedo #inquantodonna.
È pur vero che qualche voce femminile si è alzata per opporsi a questo tipo di provvedimenti, non fosse altro perchè così facendo si ammette implicitamente che le donne sono improduttive, inefficaci e inaffidabili per almeno cinque giorni al mese. Ma sono state presto messe a tacere: di fronte all’acquisizione di un privilegio pratico si può ben accettare qualche critica teorica e trasformare un fatto naturale come il ciclo mestruale in una malattia invalidante universalmente riconosciuta e tutelata da provvedimenti ad hoc senza neanche quei noiosi vincoli richiesti dalle procedure di invalidità. Tanto alla produttività ci dovrà pensare quella massa di manovalanza maschile sempre pronta ad offrirsi per i lavori più usuranti e pericolosi. Che muore di più sul posto di lavoro, che ha una aspettativa di vita minore e che vada in pensione più tardi sono solo dettagli trascurabili. Esiste una moltitudine di lavoratori e lavoratrici con patologie croniche che ogni giorno vanno a lavorare anche tra molte difficoltà. Uomini e donne che quando non ce la fanno usufruiscono della malattia e restano a casa a curarsi. Ma questo diritto così poco discriminante non va bene alle femministe d’assalto. No, serviva qualcosa di più: il congedo #inquantodonna.