Il fanatismo femminista, va detto, è piuttosto sfortunato ultimamente. Con un ultimo colpo di genio, Maradona gli ha bruciato le sinistre adunate del 25 novembre dei prossimi cinquant’anni, almeno. Contavano dunque sull’8 di marzo, da tempo trasformato da giorno di festa pre-primaverile, gioiosa, luminosa e profumata, in un nibelungico sabba di vittimismo, rivendicazioni oscure e suprematismo feroce, ma gli è andata di nuovo male. A inquinare il flusso propagandistico a senso unico è infatti arrivata una vicenda che più emblematica non poteva essere. Protagonista è Patrizia Coluzzi, 41enne di Cisliano (provincia di Milano), madre di due figli avuti da un precedente matrimonio e della piccola Edith, 2 anni, avuta con il secondo marito, poi diventato ex, Antonio Perucci. Nella notte tra domenica 7 e lunedì 8 marzo, Patrizia ha ucciso Edith soffocandola con un cuscino, poi ha chiamato l’ex marito Antonio per annunciargli il misfatto, dopo di che ha inscenato un tentativo di suicidio procurandosi dei tagli superficiali ai polsi. «Tua figlia non c’è più», avrebbe detto ad Antonio, in quella terrificante telefonata, e in quell’aggettivo possessivo “tua” sta tutto l’orrore di una chiara vendetta consumata contro l’ex alle spese di una bambina innocente.
Il profilo di Patrizia emerge molto chiaramente sia dai resoconti pubblicati da alcuni media sia, soprattutto, dal suo profilo Facebook. La donna non era affetta da alcun tipo di problema psicologico o psichiatrico importante, a detta di tutti, medici inclusi. Nessuna depressione (tanto meno “post-partum”) o disturbo mentale. Il caso familiare era però seguito dai servizi sociali, attenzionati per le tensioni che si erano create tra la donna e l’ex marito a seguito della separazione. Tuttavia, seguendo la biografia nota di Patrizia, una patologia in realtà c’era: la denuncite, quella sindrome che induce talune donne, spinte a ciò anche dalla martellante propaganda dell’Antiviolenza Srl, a utilizzare lo strumento giudiziario con la disinvoltura con cui si usa un rimmel, una penna a sfera o il telefono cellulare. Poco dopo la fine del primo matrimonio, Patrizia aveva denunciato per stalking l’allora ex marito. Denuncia archiviata perché priva di fondamento. La storia si ripete dopo la separazione da Antonio, il secondo marito, denunciato a raffica per qualunque misfatto tipicamente attribuito al genere maschile contro il genere femminile. Alcuni media parlano di tre, altri di cinque denunce, ma il numero di per sé è poco rilevante, se non dal lato statistico (fanno mucchio e fanno gioco a chi manipola le rilevazioni delle denunce). Quello che conta è che anche quelle sono state tutte archiviate.
Si rompono gli equilibri cosmici delle prassi separative.
Patrizia è furente per questo e lo esprime chiaramente su Facebook: «Grazie alle forze dell’ordine e alla procura di Pavia per aver ridicolizzato una storia di abusi e violenze in maniera errata. Denunciate donne. Siete comunque giudicate da un mondo omertoso a coprire gli orrori. Solo da morte verrete chiamate vittime. Altrimenti siete solo delle povere pazze». Non aver accolto accuse prive di fondamento, per Patrizia, significa ridicolizzare una vicenda, il tutto in un contesto vittimistico dove non manca l’esortazione alle donne a denunciare e l’evocazione delle “donne morte”. Più che un post su Facebook sembra la dichiarazione di una Boldrini o di una Valente qualunque. In realtà è il delirio rabbioso e incontrollato di chi ha provato a fare come fanno tutte, ossia tentare di inguaiare l’ex con false accuse per fare l’asso pigliatutto in fase di separazione, e non ci è riuscita. Dietro al suo sfogo furente c’è una domanda ossessiva: «perché con tutte le altre funziona e con me non ha funzionato?». Una domanda che si fa pressante in Patrizia nel momento in cui il Tribunale civile assegna la ragione ad Antonio nel processo di separazione. Un esito più unico che raro, ottenuto dall’ex marito anche facendo ciò che pochissimi ex mariti si sentono di fare, quando colpiti da false accuse: contro-denunciare subito l’ex moglie per calunnia e diffamazione.
Questo si desume dai battibecchi tra i due su Facebook. «Caro marito vai a denunciami ancora per calunnia e diffamazione. Denunciami ancora per sequestro di minore. Edith è la mia bambina. Non vi è alcuna calunnia. Purtroppo è vita reale», scrive Patrizia, ormai profondamente convinta di essere vittima di qualcosa e che la piccola Edith in quel momento sia sua e solo sua (quando viva, mentre da morta diventa “tua”, di Antonio, l’ex marito). Il riferimento alle denunce presentate da Antonio si chiarisce quando questi risponde in un commento: «Grazie alle cose che scriveva su Facebook di me mia moglie, io ho vinto la causa di divorzio, in pratica si è data la zappa sui piedi da sola». Di solito, in effetti, nelle separazioni conflittuali l’ex moglie si presenta dal giudice civile con l’elenco delle denunce (false) da lei depositate contro l’ex marito per i reati più abominevoli presenti sul Codice Penale, obbligando il magistrato, in attesa dell’esito dei procedimenti, ad attribuire tutto (figli, casa, eccetera) a lei. Tempo che i procedimenti si concludano, questione di anni ed anni, e i figli magicamente finiscono per odiare il padre e per non volerlo più vedere. Si può ipotizzare che nel caso di Antonio e Patrizia questa prassi si sia invertita: probabilmente Antonio ha presentato al giudice civile l’elenco delle sue archiviazioni e quello delle denunce per calunnia e diffamazione a carico della donna. Il giudice deve aver capito e ha deciso di conseguenza, rompendo gli equilibri cosmici e universali della giurisprudenza separativa. Ma soprattutto scatenando la furia vendicativa di Patrizia.
La piccola Edith l’avete sulla coscienza prima di tutto voi.
Perché siamo così sicuri che quelle di Patrizia fossero false accuse? Perché pochi giorni prima di sopprimere la piccola Edith, come riporta tra gli altri il giornalista Salvo Sottile, Patrizia aveva inviato una lettera ad Antonio, proponendogli di tornare assieme e dicendosi disponibile a ritirare l’ennesima denuncia. Se i maltrattamenti sono reali, non si chiede a chi li ha commessi di tornare in casa. Ed è evidente, dalla proposta di Patrizia, l’uso strumentale e ricattatorio che faceva delle denunce. Un meccanismo in cui però, quando si eccede o se si incappa in una Procura efficiente e con giudici non indottrinati, rischia di stritolare chi l’ha innescata. Così è accaduto a Patrizia e, dal lato nostro, ci potremmo limitare a dire “ben le sta” e “finalmente”, se non fosse che a pagare il prezzo più alto è stata una bimba di due anni e, in seconda battuta, un padre privato crudelmente della figlia. Devastato in ciò che aveva di più importante nella vita per la volontà vendicativa di una donna che si è sentita legittimata in tutto il suo agire scorretto (le false denunce) e criminale (l’omicidio della piccola Edith) da una infinita schiera di cattive maestre e dei loro megafoni mediatici. Non abbiamo esitazioni a dire che se la comunicazione pubblica non criminalizzasse sistematicamente gli uomini e i padri e contemporaneamente non vittimizzasse sistematicamente le donne e madri, ma diffondesse messaggi improntati a una reale parità, alla collaborazione tra generi e alla responsabilizzazione equa del ruolo genitoriale, e se le prassi separative rispettassero la legge in vigore secondo la sua ratio, e se ancora le dilaganti false accuse venissero punite severamente, Patrizia non si sarebbe sentita autorizzata a utilizzare le denunce false con la disinvoltura che ha mostrato, non si sarebbe sentita legittimata ad attendersi esiti che poi, fallito il piano, l’hanno indotta a quella vendetta atroce.
Ugualmente non abbiamo esitazioni a dire che l’esecutrice materiale dell’omicidio della piccola Edith è sì Patrizia Coluzzi, ma mandanti e corresponsabili sono tutti i nani e le ballerine di quel circo folle che in Parlamento come nei talk-show, nella stragrande maggioranza dei tribunali come su tutti i media, negli ambiti di aggregazione sociale come nelle pubblicità, nelle rilevazioni statistiche ufficiali come nei social, diffondono un’idea sbilanciata e mistificata delle relazioni tra uomini e donne, imperniata sulla retorica di una dilagante “violenza contro le donne” tuttavia priva di riscontri reali, alimentando con ciò una guerra che ha, tra i tanti esiti tragici, anche queste morti inaccettabili di innocenti. Colpevoli della morte di Edith siete voi, e vi si potrebbe facilmente citare per nome e cognome, ma questo articolo non finirebbe più. Per individuarvi basta scorrere gli articoli di questo sito e di quello che l’ha preceduto. Siete tutti lì, da anni al centro delle nostre analisi, voi e gli interessi che imperniate sulla narrazione che ha fatto sentire Patrizia Coluzzi legittimata a fare tutto ciò che fa da anni, compreso l’esito che ha tolto il respiro alla piccola Edith. E nel lercio mucchio di cattivi maestri e mandanti di questo figlicidio ci sono, tra i primi, quei tanti, tantissimi imbrattacarte che ieri hanno speso tempo e fatica per compilare articoli dove con ogni mezzo si è cercato di deresponsabilizzare l’omicida, di ridurre la vicenda a un conflitto coniugale dove la colpa è condivisa a metà e in non pochi casi di dare la colpa di tutto quanto accaduto al padre. Infami. La piccola Edith l’avete sulla coscienza prima di tutto voi.