Nel numero del 29 aprile, il quotidiano La Repubblica, con un articolo di Riccardo Luna dal titolo “Le donne che stanno provando a salvare internet“, si chiede se non sia possibile, «una vita digitale senza abusi, violenze, minacce e notizie false», ma al tempo stesso risponde di no, per il semplice motivo che il «funzionamento della rete, quello che vediamo, come interagiamo, non dipende solo da noi: dipende da algoritmi, ovvero da set di regole, che sono state progettate da uomini. Non dico da esseri umani, ma proprio da uomini». Aggiunge poi: «Microsoft e Apple, Amazon e Google, Facebook e Twitter, Instagram e YouTube: i fondatori sono sempre tutti uomini. E se fosse questo il problema? Se il modo in cui la vita digitale è stata progettata riflettesse un punto di vista, e dei pregiudizi, tipicamente maschili?». Tuttavia, dopo averci informato, col Guardian, che le maggiori antagoniste allo strapotere del Big Tech sono ovviamente donne, apre alla una speranza di una internet non tossica, consistente nel fatto che «stanno nascendo siti e app progettati da donne per le donne, con l’obiettivo di liberare il web dai difetti del maschilismo», ad esempio il social network Herd, o l’app Block Party o ancora «Bumble, la app per favorire incontri “dove sono le donne a fare la prima mossa”».
Chiarissimo! Internet, in quanto inventato dagli uomini rifletterebbe pregiudizi maschili, ove per tali si intendono naturalmente quelli antifemminili, e ciò sarebbe all’origine di una vita digitale impregnata di violenze, abusi, notizie false eccetera. Insomma il colpevole di tali nefandezze sarebbe il sesso maschile in quanto tale, al di là della buona volontà individuale. Solo le donne, cui evidentemente si attribuiscono caratteri opposti a quelli maschili, dunque positivi, potrebbero salvarlo. Ora, io non sono in grado di dire se veramente gli algoritmi da cui dipende internet siano, per così dire, sessuati o sessuabili. Chi ne sa più di me, e ci vuol poco, sostiene si tratti di una emerita sciocchezza. Ma prendiamo pure per buono quell’assunto e soffermiamoci su un paio di cosucce. Anzitutto sul fatto che i nuovi siti e le app progettati dalle donne sarebbero per le donne. Bene, ciò può significare essenzialmente due cose. La prima è che tali prodotti rifletteranno punti di vista (ma perché non pregiudizi?) tipicamente femminili, e quindi sarebbero più adatti o vicini al modo di pensare o di essere delle donne. In tal caso la prospettiva è la separazione fra i sessi, ciascuno dei quali potrebbe/dovrebbe vivere in un mondo proprio, seguendo proprie logiche che però, per quanto detto sopra, produrrebbero immancabilmente armonia da parte femminile e abusi e violenza, ecc. da parte maschile.
La negazione del codice maschile e paterno.
Qui nasce un problema: un mondo siffatto potrebbe funzionare prevedendo spazi separati, fisici, psichici, intellettuali. Insomma due mondi paralleli. Possibile in teoria, ma se, e solo se, ci fosse accordo fra uomini e donne per relazionarsi al solo scopo di fare sesso (espressione bruttissima, ma ormai entrata nel linguaggio comune), ammesso che entrambi ne siano interessati. Possibile, sempre in teoria, anche perché con la PMA, la clonazione prossima ventura ed altre diavolerie faustiane in programma, tutta roba concepita da uomini, dei maschi e finanche del principio simbolico maschile se ne potrà fare a meno tranquillamente, almeno allo scopo di procreare. E i figli, e la loro educazione? Nessun problema. Sarebbero affidati interamente alle amorevoli cure femminili (oppure, al massimo, dello Stato le cui strutture educative sono però già quasi interamente in mani femminili, in primis le scuole di ogni ordine e grado). Le donne, sulle orme della pedagogia murariana, come vedremo tra poco, spiegherebbero loro bene, in specie ai maschi, che esiste un solo principio simbolico e di conoscenza, quello femminile. Nella realtà sta già accadendo, anche, duole dirlo ma è la verità, per responsabilità (meglio definibile come suicidio) maschile e paterna. Tralasciando il pur importante problema che, vista l’innata tendenza maschile alla prevaricazione e all’invasione di campo, ci vorrebbero leggi che garantiscano la separazione, nonché tutori o meglio tutrici, che la facciano rispettare. È un mondo siffatto ciò che si vuole? A me pare un mondo allucinato, in cui la relazione fra donne e uomini sarebbe priva di pathos ma anche di slancio affettivo, di sogni ma anche di quei sottili ma irrinunciabili giochi di cui è sempre stata positivamente intessuta. Insomma una relazione basata solo sull’utilità e la convenienza. Tristezza infinita!
Il secondo aspetto è che il punto di vista delle donne, per loro propria natura, sia adatto anche agli uomini, rappresentando “l’universale” e il pienamente e positivamente umano. La faccenda è però in duplice contraddizione: da una parte con l’affermazione che si tratta di siti per le donne, dall’altra col rimprovero sistematico fatto agli uomini di pretendere essi di esprimere un punto di vista genericamente umano e dunque non sessuato. Non c’è un solo motivo per pensare che le donne siano più titolate degli uomini a pensare in termini non sessuati, a meno di supporre una innata primazia femminile morale, etica ed intellettuale, ovvero una forma di razzismo di genere. In realtà, checché se ne dica, mentre nel famigerato patriarcato (ormai morto e sepolto, almeno in Occidente, per comuni e insospettabili ammissioni), il femminile e il materno mai sono stati negati o considerati superflui ma anzi esaltati, preservati e protetti. Esiste un importantissimo filone del femminismo della differenza che teorizza l’insignificanza del maschile e del paterno. Luisa Muraro, importante esponente della comunità filosofica femminile Diotima e della Libreria delle donne di Milano, nega semplicemente possa esistere un codice paterno, quindi maschile.
Tutto l’esistente è tossico e maschilista?
Per la Muraro, scrive Françoise Collin ne Il pensiero della differenza. Nota su Luisa Muraro, «non c’è che un solo principio, quello materno, del quale sinora solo gli uomini hanno beneficiato, o si sono appropriati, persino dissimulando e scartando le donne». Per lei non c’è posto per il padre. In una intervista con Ida Dominijanni esplicita chiaramente il concetto a partire dalla rivendicazione del privilegio di «essere nata dello stesso sesso della madre». E il padre? «Quando nel libro compare, il padre è l’uomo che si affianca alla donna e alla sua maternità, e che lei indica ai suoi figli: questo è vostro padre. In altre parole io non trovo nessuna ragione per difendere la necessità del padre, della legge del padre, pur ammettendo che un uomo, gli uomini, possano invece avere questa necessità. Sono d’accordo con te che un simbolico materno che esclude ogni altro amore, ogni amore dell’altro, sarebbe gravemente difettoso, ma non penso che questo altro debba essere il padre». Non avrebbe potuto essere più chiara nella subordinazione e nell’insignificanza della figura paterna/maschile, priva di uno statuto simbolico proprio e ridotta a puro ausilio della madre. In questo caso non esiste neanche il simulacro della parità e/o della complementarietà, ma solo la rivendicazione da parte femminile di ciò che viene rimproverato agli uomini.
È indubitabile, qualsiasi ne sia la ragione, che non solo Internet ma in pratica tutte le espressioni della cultura umana, spirituali e concrete, siano state inventate, se così si può dire, dagli uomini, nel bene e anche, senza dubbio, nel male. Alla rinfusa: le religioni monoteistiche (ma anche l’induismo e il buddhismo) e quelle pagane dell’antichità, la metafisica, i grandi sistemi filosofici (a proposito dei quali un’altra eminente femminista, Carla Lonzi, scrisse nel 1970 il libro Sputiamo su Hegel), le grandi e universali opere d’arte, la grande musica, le architetture classiche e quelle avveniristiche, le scienze, la tecnica e la tecnologia, le opere ingegneristiche, le invenzioni degli oggetti che usiamo ogni giorno e che ci hanno facilitato la vita, le esplorazioni più audaci, inclusa quella dello spazio, che hanno aperto nuove strade all’umanità: tutto ciò è in grandissima e preponderante parte opera maschile. Tutto quanto tossico e maschilista? Non che le donne, o meglio il femminile, non abbiano avuto alcun ruolo, ma esso, di norma, è sempre stato quello di musa, ossia di colei in nome della quale l’uomo ha trovato l’ispirazione, il coraggio, ha aguzzato l’ingegno, si è lanciato in ciò che appariva folle, utopico, o anche solo pericoloso e rischioso per, infine, compiere imprese pagate alle volte al caro prezzo della vita.
La fruizione femminile delle invenzioni maschili.
Se la cultura è stata sempre appannaggio maschile, per contro, il femminile ha sempre presieduto alla nascita e alla morte, in definitiva al destino dell’umanità. Le Parche, divinità della mitologia classica, erano «assimilate alle Moire greche, divinità che presiedevano al destino dell’uomo dalla nascita alla morte». L’antico assunto Donna=natura, Uomo=cultura ha, o aveva, una ragion d’essere nella maggiore dimestichezza e immedesimazione femminile col corpo, considerato invece dai maschi quasi alla stregua di uno strumento. Se gli eventi legati alla vita organica del corpo sono stati percepiti dagli uomini come qualcosa di estraneo o lontano dal proprio modo di essere, diventa logico e comprensibile che abbiano cercato altrove, appunto nella cultura, la loro strada. Gli antichi riti iniziatici maschili, in cui i giovani uomini erano staccati dal gruppo femminile in cui erano vissuti fino alla pubertà, avevano il significato di una nuova nascita, di una apertura allo spirito.
Ora, il punto è che le donne non solo hanno usufruito ampiamente di tutto ciò che gli uomini hanno inventato, spesso per loro, ma ne hanno anche condiviso i presupposti culturali. Anch’esse consideravano ovvio ci fossero cose da donne e cose da uomini, nel senso che la divisione sessuale del lavoro era imposta non dall’oppressione maschile ma dalle condizioni oggettive dell’esistenza. Erano queste che facevano sì che i due sessi si polarizzassero su ciò che era più consono ai rispettivi caratteri psicofisici. Il primo femminismo delle suffragette rivendicava, in modo sacrosanto, gli stessi diritti degli uomini sul piano sociale e civile, ma era lontano, come accade invece col femminismo odierno, dal riscrivere la storia del mondo come, primariamente, storia dell’oppressione patriarcale . Ed è solo da relativamente poco tempo, anche grazie alla tecnica maschile che ha sostituito il lavoro umano con le macchine, che le donne hanno potuto aspirare a svolgere lavori un tempo tipicamente maschili.
È una sfida, questa? Può darsi.
Oggi tutti gli ostacoli giuridici e culturali al pieno e libero esprimersi delle donne in ogni campo dell’agire umano, non solo sono stati rimossi pienamente ma si fa di tutto per favorire l’ascesa femminile nelle professioni (non in tutte, per la verità, perché mai si ascolta lamentela alcuna contro il sessismo maschilista quando si tratta di lavori rischiosi e pericolosi) coi provvedimenti chiamati “discriminazioni positive”, che sono necessariamente “discriminazioni negative” per l’altra metà del cielo: facilitazioni finanziarie per l’iscrizione alle facoltà scientifiche che non trovano provvedimenti simmetrici per gli uomini che stanno disertando le facoltà umanistiche, sgravi fiscali per l’assunzione di donne nelle aziende, facilitazioni per l’imprenditoria femminile ecc.; tutto ciò in un contesto in cui le donne si laureano in misura superiore agli uomini, detengono ampia maggioranza numerica nell’insegnamento scolastico, sono ampiamente rappresentate in magistratura, nelle professioni mediche, negli istituti di ricerca scientifica e così via elencando.
L’assunto iniziale dell’articolo di Repubblica è che Internet sarebbe tossico non in sé, ma viziato da pregiudizi in quanto invenzione maschile. Il concetto è facilmente estendibile a tutti gli aspetti, materiali e immateriali, della vita. Per superare i pregiudizi maschilisti le donne, così è scritto nel pezzo, vogliono dimostrare «con i fatti che la tecnologia non è una cosa da uomini. Una rete migliore passa da qui». Rimane comunque il fatto che stanno intervenendo per modificare al femminile invenzioni pur sempre maschili, di cui, piaccia o meno, rimangono tributarie. Non sarebbero più coerenti , oggi che ne hanno la possibilità, se, invece di industriarsi a intervenire su qualcosa non loro, si adoperassero per inventare qualcosa di genuinamente femminile sin dall’origine? Una religione che riesca a diffondersi nel mondo, una metafisica, una ideologia, una scienza, una filosofia, un’arte, primariamente e genuinamente femminili. E ancora, che concepiscano femminilmente le opere ingegneristiche, o inventino cose utili per la vita quotidiana (come le auto o le lavatrici, per fare solo esempi banali). È una sfida, questa? Può darsi. Attendiamo fiduciosi.