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Gentile Ministro Lamorgese, apprendiamo dai media che le è stato fatto pervenire da parte dell’associazione e centro antiviolenza “Differenza Donna” un appello affinché vengano sospese le procedure di prelievo dei minorenni a seguito di formale decretazione giudiziaria, limitatamente alle donne e madri che abbiano denunciato violenza domestica. «Queste pratiche sono rivolte a donne che non hanno avuto alcuna denuncia di maltrattamento», ha dichiarato la Presidente di “Differenza Donna” Elisa Ercoli, il che corrisponde assolutamente al vero. Ciò che non le viene detto, gentile Ministro, è che si tratta di donne che, dopo un lunghissimo e tortuoso iter giudiziario civile, gestito da diversi magistrati e svariati consulenti tecnici d’ufficio, sono state giudicate dannose nelle loro scelte e nei loro atteggiamenti rispetto alla normale e sana crescita dei loro figli. Un giudizio basato sull’analisi di atti concreti messi in opera da queste madri e non, come si dice strumentalmente, su fumose teorie psicologiche o psichiatriche. Tanto meno è legittimo ipotizzare che le suddette decisioni siano il risultato di una congiura preordinata, eventualità esclusa dalla numerosità e pluralità di soggetti intervenuti nell’analisi dei casi. In aggiunta, sebbene non si tratti dell’argomentazione principale, va considerato che i casi ricadenti nell’appello che le è pervenuto sono in un numero risibile rispetto al totale delle casistiche separative giudiziali dove, statistiche alla mano, i minori vengono nella quasi totalità dei casi distaccati in termini fattuali dalla figura paterna che, in spregio alla normativa vigente (Legge 54/2006), vengono ridotti al rango di “visitatori” della propria prole e meri distributori di risorse economiche.
Un appello che nasconde la richiesta di infrangere le procedure.
Non solo, gentile Ministro. Lei sicuramente sa, essendo un dato elaborato dal Ministero della Giustizia e pubblicamente rilevabile sul sito ISTAT, che da più di dieci anni si ha una media di condanne per reati commessi da uomini e connessi alla violenza “di genere” (intesa come contro le donne) di circa 5.000 all’anno. Di queste già pochissime condanne non è noto quante siano maturate in ambito separativo, ma è presumibile che si tratti di un numero ancora inferiore. Si tratta di un dato rilevante, sebbene non decisivo rispetto all’appello che le è stato fatto pervenire, perché esso parla di «donne che hanno denunciato casi di violenza domestica». Non siamo certo noi, gentile Ministro, a dover ricordare a una persona della sua posizione che l’essere denunciati è cosa assai diversa dall’essere condannati, e quanto tali denunce menzionate nell’appello abbiano una reale effettività lo dimostra il sopracitato numero medio di condanne annuali di uomini per violenza “di genere”. Ci permetta dunque, gentile Ministro, di semplificare il punto centrale della questione: un’associazione antiviolenza le sta chiedendo di fatto di interferire con alcune (poche) disposizioni giudiziarie relative a persone giudicate a diversi livelli inadeguate e dannose nello svolgere il proprio ruolo genitoriale, sulla base di un assunto, la denuncia di violenze, che straccia davanti ai suoi occhi il brocardo giuridico dell’innocenza fino a prova contraria e fino a sentenza, nell’ingannevole e falso presupposto che i casi effettivi di violenza domestica siano in Italia un numero spropositato. In parole ancora più semplici, gentile Ministro, stanno cercando di venderle una “patacca” che, sebbene ben nascosti, contiene in sé un buon numero di importanti impulsi ad azioni apertamente illegittime.
Ma c’è di più, gentile Ministro. C’è il non-detto, che è tale nell’appello di “Differenza Donna” probabilmente per un residuo di pudore miracolosamente preservato. Il non detto è che l’appello riguarda non solo e non tanto “le donne” che si trovano nelle condizioni descritte (con ciò per altro configurando un appello apertamente discriminatorio verso i padri eventualmente nella stessa situazione), bensì una donna nello specifico, ben nota ormai sul piano istituzionale. Si tratta della Sig.ra Laura Massaro, che non viene nominata esplicitamente nell’appello che le è stato indirizzato, ma a cui la stessa “Differenza Donna” fa apertamente riferimento, in relazione all’appello in oggetto, in altre sedi e in altre forme. Ciò aggrava, a nostro avviso, l’intero scenario. Si sta cercando di fatto di mobilitare un Ministro della Repubblica ad azioni illegittime e invadenti la sfera giudiziaria su un singolo caso specifico. Un caso che, per altro, se analizzato con oggettività, dovrebbe comportare l’immediato respingimento dell’appello a lei pervenuto. Stiamo parlando di una madre in contenzioso giudiziale con l’ex compagno da anni per l’affido del minore nato dalla relazione tra i due. Da anni i giudici esortano lei ad acconsentire a che il figlio abbia una normale frequentazione con il padre e da anni costei pone ostacoli concreti a che ciò avvenga. Ha giustificato il proprio agire sulla base di ipotesi di maltrattamenti e violenze da parte dell’ex compagno, debitamente e più volte denunciato in questo senso, se non che ogni accusa a carico dell’uomo è stata archiviata, presumibilmente dopo le dovute e approfondite indagini previste dalla procedura. Scagionato l’ex compagno, e dunque restituito il padre alla propria idoneità e dignità genitoriale, Laura Massaro ha pervicacemente proseguito nei suoi atti ostativi al diritto del figlio ad avere un padre. In ultimo, dopo moltissime chance concesse alla donna per rivedere il proprio approccio, i giudici del tribunale competente hanno preso atto di ciò, decretando di affidare il minore al padre, ritenendo la madre inadeguata al proprio ruolo.
Faccia sì, per favore, che venga garantito il rispetto di leggi e sentenze.
In risposta a questa valutazione inevitabile, per come risulta dalle carte prodotte in anni di procedimento, Laura Massaro si è resa irreperibile insieme al figlio. In altre parole la donna attualmente si sta sottraendo all’esecuzione del decreto di un tribunale, negando ulteriormente al minore i propri diritti e ponendolo in una condizione di stress inimmaginabile. In altre parole, gentile Ministro, le si sta chiedendo di intervenire per tutelare una persona ad oggi, a nostro avviso, imputabile di sequestro di persona (minorenne) e sottrazione di minore. Una persona che, preme precisarlo, ha goduto e gode probabilmente tuttora di protezioni e coperture ai massimi livelli. Non c’è soltanto l’associazione antiviolenza “Differenza Donna” attiva su questo versante, ma importanti personalità del mondo della politica. Laura Massaro è stata più volte invitata al Senato a raccontare il proprio versante della vicenda (l’ex marito naturalmente non è stato mai invitato), assurgendo così a simbolo di un riscatto femminile-materno che, se fondato sulle basi ben definite dai giudici di merito e dai consulenti tecnici che se ne sono occupati, è a tutti gli effetti un boomerang. A esserne colpite rischiano anzitutto di essere le esponenti politiche che si sono poste a protezione della Sig.ra Massaro, ma a questo punto anche lei, gentile Ministro, se deciderà di accondiscendere in qualche forma e in qualche misura a un appello così, ci consenta i termini, eversivo e folle come quello consegnatole da “Differenza Donna”. A sostegno del quale, per altro, si è espressa anche la Senatrice Valeria Valente: «Se c’è violenza la convenzione di Istanbul dice che il bambino deve essere allontanato e le valutazioni spettano solo al giudice. Se c’è violenza, il minore deve essere allontanato dal padre e il piccolo e la madre devono essere messi in sicurezza insieme». Siamo totalmente d’accordo con la Senatrice, nel momento in cui la chiave del suo concetto è “se c’è violenza”. Nel caso di Laura Massaro non c’è stata, così come in una gran quantità di altri casi. In assenza di evidenze o di giudizi penali (anche solo di primo grado), affermare comunque che ci sia stata violenza è una forma di grave delegittimazione della magistratura e di tutte le procedure poste a garanzia del nostro Stato di Diritto.
A tutto questo, gentile Ministro, le viene chiesto di partecipare tramite l’appello che le è stato fatto pervenire. È indubbio che i prelievi dei minori, attuati per mezzo delle Forze dell’Ordine, sebbene sempre con l’ausilio di operatori specializzati, siano eventi non piacevoli, spesso traumatici. È altrettanto indubbio però che essi scattino dopo una tale quantità di valutazioni e accertamenti da rendere il prelievo un male minore perpetrato per evitare un male maggiore attuale e protratto nel futuro. L’appello di “Differenza Donna” giunto sul suo tavolo, gentile Ministro, oltre a essere minato nella sua stessa essenza dalle gravi anomalie che abbiamo messo in luce, prefigura di ottenere, tramite lei, un risultato ancora peggiore. Quell’appello le chiede, gentile Ministro, di essere il medico pietoso, quello che proverbialmente non incide l’infezione e lascia che la piaga diventi purulenta. È per questo che ci sentiamo di indirizzarle un “contro-appello”: non ceda al richiamo retorico sotteso alla richiesta che le viene fatta. Nel suo ruolo, gentile Ministro, le è richiesto di preservare una dimensione istituzionale rigorosa relativamente al rispetto delle sentenze e dei decreti giudiziari, senza cedere alla tentazione della maggiore e fatua popolarità garantita dalla soddisfazione di richieste provenienti da piccoli gruppi d’interesse o addirittura singoli cittadini. Esistono procedure, accertamenti, leggi atti a guidare le valutazioni dei magistrati e infine la mano che verga i decreti. Al di là delle simbologie, delle testimonial e dei connessi interessi politico-elettorali, si tratta di un sistema che va preservato rigorosamente. Migliorato, questo è certo, con il contributo della discussione di tutta la società civile e della politica, ma in ogni caso vigente. Il nostro “contro-appello”, gentile Ministro, va proprio in questo senso, è molto più semplice e genuino nella sua essenza di quello di “Differenza Donna” e a differenza di questo non nasconde e non omette nulla: faccia sì, per favore, che venga garantito il rispetto di leggi e sentenze. Specie se riguardano l’interesse e il benessere dei minorenni.