Ha detto di recente il rapper Emis Killa in un suo discusso tweet che «chi sembra buono e solidale sui social nel 95% dei casi è un fango cosmico». Sembra rientrare in questa casistica l’evento che ha tenuto banco sui media mainstream e sui social per tutta la settimana scorsa, arrivando ad oscurare addirittura la tragedia della funivia Stresa-Mottarone: la “cacciata” dell’attrice Aurora Leone, componente del gruppo napoletano di videomaker comici “The Jackal”, dalla kermesse organizzata dalla Nazionale Cantanti per raccogliere fondi a favore della ricerca. La versione che ha spopolato è quella della stessa attrice, secondo cui, mentre cercava di sedersi al tavolo della Nazionale Cantanti insieme al collega Cirio Priello, sarebbe stata raggiunta da Gianluca Pecchini, Direttore Generale del team canterino e benefico, che l’avrebbe invitata a sedersi altrove perché il tavolo era riservato agli uomini. Frase sessista che, se fosse stata davvero detta, sarebbe da condannare come sintomo della più crassa ignoranza e inciviltà. Ma i dubbi che sia stata detta davvero, passata la prima buriana social, sono sempre di più.
Raccogliamo qualche prova. Aurora Leone non appare in nessuna delle due squadre che si sarebbero dovute incontrare sul campo, né in quella dei cantanti, né in quella dei “Campioni per la ricerca”, dove invece avrebbe dovuto giocare il collega Ciro Priello. Il nome dell’attrice non appare da nessuna parte nelle liste ufficiali, come sono state pubblicate (ad esempio da queste tre testate, qui, qui e qui). Dunque al massimo era lì per accompagnare il collega, con buona pace dei tanti che hanno speso fiumi di parole (“Open” di Mentana in primis) sulla perizia sportiva della Leone, con tanto di sue foto in tenuta calcistica. La sua presenza in campo comunque non era prevista. Non solo: il tavolo dove entrambi i “The Jackal” hanno cercato di sedersi era quella della Nazionale Cantanti, non quello della squadra in cui Priello avrebbe dovuto giocare. Ed è questo che probabilmente è stato fatto notare ai due: un doppio errore, di tavolo e di presenza. Pecchini ha segnalato la cosa, come farebbe qualunque organizzatore di una cena di avvocati, primari o architetti se un tizio, non nella lista invitati e tanto meno appartenente a una di quelle categorie, provasse a sedersi a un tavolo riservato. Il sesso del tizio non avrebbe rilevanza: lì non dovrebbe starci e qualcuno glielo farebbe notare. Giustamente.
Qualcosa di evidentemente costruito a tavolino.
A conferma che questo è ciò che è accaduto c’è la versione dello stesso Gianluca Pecchini che, per consentire che la “Partita del Cuore” si svolgesse in serenità, di fronte alle polemiche ha subito dato le dimissioni, salvo poi far sentire la propria voce: «i The Jackal dicano la verità», ha tuonato da tutti i media, proponendo una ricostruzione dei fatti diversa da quella diffusa via “sfogo social” dall’attrice poco dopo il presunto accaduto. «Ragazzi questo è il tavolo della Nazionale Cantanti», sostiene di aver detto Pecchini, invitando poi i due a sedersi a un tavolo adiacente. Cosa che hanno fatto, cenando poi regolarmente, il che contrasta con la storia secondo cui i due si sarebbero alzati, indignati, e se ne sarebbero andati senza toccare cibo. Non solo, la replica di Pecchini appare profondamente dignitosa e in quanto tale molto credibile: «Io e i The Jackal non giochiamo ad armi pari, io non ho neanche Facebook. Loro usano una macchina mediatica contro cui io non posso competere. Questo caos rischia di rovinare la mia immagine, la mia reputazione e la mia famiglia visto che ho anche tre figlie. Ieri per senso di responsabilità mi sono beccato tutti gli insulti e ho dato le dimissioni perché sennò rischiava di saltare la manifestazione. Ma ora è il momento di fare chiarezza». La sua colpa, ipotizza Pecchini, è di non aver riconosciuto i due “The Jackal” e di essere incorso quindi in “lesa maestà” di due VIP. Testimoni, tra cui il noto paroliere Mogol, parlano di un agente del ricco circuito “Fanpage” (di cui i “The Jackal” fanno parte) infuriato per questo “insulto”. «Adesso gli pianto un casino che se lo ricordano», è stato sentito dire.
Ed ecco infatti che la macchina mediatica e quella del fango partono in simultanea, con la complicità della Leone e di Priello. Ovviamente il “casino” più efficace lo si ottiene strumentalizzando la grande menzogna: il maschilismo e la misoginia dilaganti in Italia. Tema perfetto per costruire una fake news sull’estromissione della Leone inquantodonna. Tutti i commenti social alla fake si impostano in automatico al solito “così fan tutti” e a un’evocazione isterica di un radicato maschilismo patriarcale. Che in realtà non c’è. C’è, molto più probabilmente, la triste realtà di un gruppo di comici eccezionale, che non di rado ha sfiorato il geniale, obbligati però dalle dinamiche attuali a cercare continuamente un ampliamento dell’audience. Complice di quest’ansia è anche l’ampiezza di utili che il circuito “Fanpage” ha raggiunto negli ultimi tempi: l’appetito vien mangiando, dunque quale migliore occasione per vendicarsi di una lesa maestà e contemporaneamente ottenere una vera e propria esplosione di follower, like e dunque introiti diretti e indiretti, che sollevare una questione imperniata sul sessismo e sul mancato rispetto di una donna? Con l’aria che tira, è facile centrare il terno secco, e questo di fatto è accaduto: una donna s’è pianta vittima e un uomo è stato coperto di fango. Il tutto con una premessa: Pecchini dovrebbe essere ben imbecille a dire una frase sessista nel clima attuale, con l’inquisizione rosa sempre sul chi vive. Ma è evidente che Pecchini è tutt’altro che imbecille. Non solo: la sua storia parla chiaro quanto a conformismo al dettato femminista (ahimè in passato ha pure finanziato la “Casa delle Donne”), dunque l’attacco pianificato dai boss Fanpage tramite i “The Jackal” finisce per essere un boomerang. Pecchini non a caso annuncia querela, come ci conferma il suo avvocato Gabriele Bordoni in questa intervista esclusiva che ha rilasciato ad Antonietta Gianola per “La Fionda”:
Sono significative le parole dell’avvocato sulle possibili storture e le mostruose mistificazioni che possono realizzarsi grazie ai social. Se la querela verrà accettata e discussa, e se la versione di Pecchini verrà confermata, sarà indubbiamente l’inizio della fine per la credibilità dei “The Jackal” e del circuito “Fanpage”. Ma soprattutto sarà l’ennesima smentita, speriamo quella definitiva, del teorema sul maschilismo dilagante nel nostro paese. Ora bisogna solo augurarsi che la querela non venga insabbiata, come spesso accade, e ha senso già da ora, per lanciare un segnale chiaro, togliere il like e smettere di seguire i “The Jackal”. Deve cominciare a essere chiaro che le bugie hanno le gambe corte, in generale, quelle che criminalizzano la sfera maschile ancora di più. E che le false accuse devono cessare di essere sistema.