In Italia, dagli ultimi dati rilevati, si contano 3800 casi di suicidio all’anno. Nel mondo si arriva ad un milione ogni anno, uno ogni quaranta secondi. La crisi sanitaria legata al covid-19 ha acuito le condizioni, rendendo più fragile il contesto sanitario nazionale. Manca una strategia del Paese che affronti la questione. Nel triste e drammatico numero che riguarda l’Italia, balza agli occhi un elemento che non può non far riflettere: su 3800 suicidi, più di 3300 riguardano uomini. Ci hanno abituato a pensare che l’uomo sia il soggetto forte e che la donna abbia bisogno di aiuto. Ma le statistiche mostrano altro, ci dicono che tale narrazione non regge.
L’appartenenza al genere maschile “prescrive” forza, coraggio. Forse, per questo, gli uomini, più refrattari a chiedere aiuto e parlare del loro dolore, finiscono per implodere, lasciandosi trascinare verso esiti suicidari. Inoltre, in Italia sono pochissimi i centri che si occupano di uomini che hanno subìto violenza. Colpa del medesimo modello di pensiero che vuole il maschio non bisognoso di alcuna tutela, esclusiva solo per il genere femminile.
Includere l’uomo in un sistema di significati profondi.
Dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, apprendiamo che la depressione è il disturbo mentale più diffuso (si stima che nel nostro Paese superino i 2,8 milioni) e il tasso di mortalità per suicidio risulta pari a 6 per 100mila residenti (più basso della media europea, pari a 11 per 100mila). Tale quota aumenta con l’età, passando da 0,7 nei giovanissimi (fino a 19 anni) a 10,5 negli anziani, con valori 4 volte maggiori nei maschi rispetto alle femmine. Nella classe di età tra i 20 e i 34 anni, il suicidio rappresenta una rilevante causa di morte (12% dei decessi). Nel 2016 circa 800mila persone di 18 anni e più (161 per 10mila residenti) hanno ricevuto trattamenti nei servizi dei Dipartimenti di salute mentale (Dsm). Tra gli uomini adulti, il principale disturbo è la schizofrenia e altre psicosi funzionali; Nelle donne le sindromi nevrotiche e somatoformi e, dopo i 35 anni come per gli anziani, la depressione.
Si tratta, quindi, di smontare e cambiare la narrazione che vede al centro la donna, l’unica degna di “attenzioni”. Non sarà semplice il cambio di rotta, nonostante i dati poc’anzi citati. Siamo sotto l’onda lunga del femminismo, che denigra il genere maschile, non stancandosi di descriverlo come violento, insensibile, e, quindi, sacrificabile. E considerando il genere maschile come il nemico da abbattere, il femminismo non fa altro che gettare benzina sul fuoco nel conflitto uomo-donna, andando così a minare la famiglia e le sue importanti funzioni per la società, compresa quella di includere l’uomo in un sistema di significati profondi, prima prevenzione del suicidio, maschile o femminile che sia.