L’induzione al suicidio (istigazione o aiuto) è un reato regolato da sempre dal codice penale. Ciò indica che si è sempre pensato che ci siano anche dei suicidi indotti, che gli attori del gesto estremo possano talvolta esservi stati forzati, con modalità e in forme diverse, palesi o occulte e sfuggenti, da qualcuno che ne porta una qualche responsabilità della quale deve perciò render conto in giudizio. Pena prevista, non proprio leggera: dai 5 ai 12 anni. Nessuno ha mai contestato questa previsione di legge come se tutti concordassimo sul fatto che siamo davvero in grado di indurre e persino costringere i nostri simili a togliersi la vita. Infatti tutti concordiamo: è possibile. Le vittime prescelte saranno coloro con cui siamo in relazione e tanto maggiore sarà il nostro potere su di loro quanto più essa sia stretta, importante e profonda. Sono quindi soprattutto i famigliari quelli che possiamo manipolare e plagiare, ai quali possiamo rendere la vita un inferno e, viceversa, dai quali possiamo venir manipolati, torturati e devastati. Ovvio.
Si sarebbe portati a pensare che l’applicazione di quella norma – incontestata – non abbia nulla a che vedere con quella tragedia del nostro tempo che va sotto il nome di guerra dei sessi. Ma come sappiamo ormai non vi è ambito delle relazioni personali e sociali che non ne sia intossicato. Il doppio standard è la regola inflessibile delle valutazioni politiche, dei giudizi morali e quindi delle incriminazioni e infine delle sentenze. Di recente è emerso alle cronache il caso Benusiglio/Venturi che vede un uomo condannato per istigazione/costrizione al suicidio della partner.
Tantissimi suicidi maschili ma nessuna istigatrice?
È possibile che la sentenza sia corretta? Certo, è ben possibile che un uomo induca una donna al suicidio. Anni fa, a pochi chilometri da qui, un uomo ritorna a casa sulla cui soglia lo aspetta la moglie con una pistola in mano. Appena quello imbocca il vialetto e gli sguardi si incrociano, lei si spara. È stato incriminato. Del resto la dinamica del fatto parla chiaro, il contesto lo accusa inequivocabilmente. Può essere colpevole, certo, e potrebbe persino essere… innocente.
E allora il problema dove sta? Sta nel fatto che non c’è memoria di una donna incriminata per istigazione al suicidio di un congiunto. Non si trova il caso di una moglie/compagna – in essere o separata – che sia stata inquisita per induzione al suicidio del marito/partner. Eppure qualche caso dovrebbe pur verificarsi, dal momento che anche gli uomini si suicidano. Un “anche” davvero beffardo giacché lo fanno molto, molto più spesso, come ben sappiamo, nel rapporto 3-4 contro 1. Ma le incriminate per istigazione/induzione qui dove sono? Quante sono? Nessuna. Tra i circa 200 separati che si suicidano ogni anno è possibile che nessuno vi sia stato indotto dalla rispettiva? Possibile che nessuna partner di questi disperati, di questi dannati della Terra del XXI secolo, sia responsabile di quelle tragiche scelte? È possibile che nessuna abbia mai contribuito a foggiare quell’inferno da cui questi sventurati escono per sempre in solitudine e in silenzio? L’assurdo, l’impossibile è diventato realtà: nessuna mai. Mai nessuna.