Quattro giornaliste appartenenti ad alcuni sindacati del settore tra i firmatari dell’orrido Manifesto di Venezia si uniscono alla sterile protesta per come è stata trattata dai media la vicenda di Carignano. Nessuno ha “giustificato” Alberto Accastello, ma non si placano le proteste per alcuni articoli “troppo morbidi”. Bisogna vomitare veleno, bisogna schiumare rabbia, bisogna suscitare sdegno nei lettori, questo è il messaggio. La cronaca viene accompagnata alla porta per fare spazio alle opinioni, alla pancia, allo schieramento ideologico. Chi non utilizza termini truculenti sta quasi giustificando l’assassino (ops, killer, bisogna scrivere killer), dove il “quasi” maschera il fatto che nessuno, ma proprio nessuno abbia mai scritto che in fondo Alberto avrebbe fatto bene a sparare o che Barbara avesse meritato di essere uccisa. Giustificare è una cosa, riferire i fatti è un’altra. E i fatti, piaccia o meno, dicono che i vicini, il sindaco, i colleghi e il datore di lavoro di Alberto lo descrivono mite, tranquillo operaio, padre e marito modello, attaccato alla famiglia, lavoratore indefesso, il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene, onesto, disponibile con tutti, il dipendente che ognuno vorrebbe.
Ciò non toglie che abbia fatto una strage terribile che nessuno giustifica. I fatti ci dicono questo: non stermina la famiglia solo chi è violento, alcolista e vive d’espedienti. Di Barbara i fatti (non le opinioni, i fatti) dicono che fosse stanca del marito e si sentisse trascurata, che avesse un amante, che volesse sfasciare la famiglia per seguire il nuovo amore, che avesse chiesto la separazione e tale decisione la rendesse felice, euforica. Questo però all’ideologia tossica non piace, dire la verità è una “vittimizzazione secondaria” della donna, bisogna tacere i fatti che non idolatrano la figura femminile e quelli che non criminalizzano la figura maschile. Bisogna vomitare veleno, schiumare rabbia, suscitare sdegno nei lettori. Il Messaggero dice che Barbara “probabilmente” voleva separarsi. Probabilmente? È la prima certezza emersa mezz’ora dopo la strage. Non è una colpa, è perfettamente legittimo lasciare il marito; magari è un po’ meno lecito avere per mesi una relazione clandestina, ma – sia chiaro – nemmeno il tradimento più sfacciato legittima il raptus omicida. Bisogna vomitare veleno, schiumare rabbia, suscitare sdegno nei lettori.
La libertà di informare è un’altra cosa.
La lettera delle quattro sindacaliste ricorda che: “le parole fabbricano il pensiero, lo forgiano, sono influenti”. Appunto. Bisogna vomitare veleno, schiumare rabbia, suscitare sdegno nei lettori. L’appello della lettera vorrebbe fabbricare il pensiero collettivo, forgiarlo in modo diverso dalla verità dei fatti ed asservirlo all’ideologia tossica. Femminicidio, fenomeno strutturale, basta giustificare gli assassini (quale sarebbe il giornale che l’ha giustificato?) violenza contro le donne in quanto donne. No, è una strumentalizzazione inaccettabile. Alberto non ha ucciso Barbara in quanto donna, l’ha uccisa in quanto traditrice. In quanto donna è uno slogan, i fatti dicono altro. In quanto donna l’ha amata, l’ha sposata, ha concepito due figli, le ha costruito una casa, si è annullato sul lavoro per lei; è lo sfascio della famiglia ad averlo spinto oltre la soglia della follia, non il fatto che Barbara fosse una donna in quanto donna. Chi può essere sicuro che senza la separazione lui non avrebbe continuato a spaccarsi la schiena per lei, senza nemmeno sognare di torcerle un capello?
Ma non si può dire, il diktat impone palate di fango sull’assassino e basta. Un criminale sanguinario e basta, un prodotto del patriarcato e dell’oppressione misogina, senza considerare nient’altro che gli stereotipi dell’ideologia tossica. Non una parola sui figli. Alberto ha ucciso anche i suoi bambini ma nella lettera delle sindacaliste non compaiono né suscitano lo sdegno delle autrici, la frenesia è diretta solo verso lo sdegno per il femminicidio e la violenza sulle donne. Giornalismo davvero ad alti livelli. La lettera termina con l’appello: “Diamo valore alla nostra libertà di informare”. No amiche, la libertà di informare è un’altra cosa, quella che volete imporre è la libertà di condizionare le coscienze.