Si è concluso ieri con un’assoluzione il quarto procedimento a mio carico per diffamazione aggravata (uno non l’ho raccontato in precedenza essendo una quisquilia archiviata già in fase di indagine, gli altri due già conclusi li ho raccontati qui e qui). Stavolta a sentirsi diffamata da alcuni miei vecchi articoli apparsi sul precedente blog “Stalker sarai tu”, ormai chiuso alla lettura pubblica, era Elena Buccoliero, ex giudice onorario presso il Tribunale dei Minori di Bologna e figura di rilievo, grazie a precedenti e importanti incarichi, nell’area ferrarese e più genericamente emiliano-romagnola. È stato un procedimento lungo (iniziato nel 2019 e allungatosi anche a causa della pandemia), complesso e particolarmente combattuto. Le due posizioni erano molto nette: da un lato l’accusa era quella di aver voluto insultare, umiliare e degradare Buccoliero, per il solo gusto di farlo, mentre la mia difesa ha cercato di dimostrare che nessun interesse avrei avuto all’insulto purchessia. I miei articoli di allora si inserivano nel bollente periodo dei “fatti di Bibbiano”, dove cercai di non schierarmi banalmente da una parte o dall’altra, come facevano tutti i media e la politica, ma di capire le dinamiche più profonde che stavano alla base di eventi che all’epoca fecero scalpore.
Fu in quel periodo che scoprii l’esistenza di due diverse teorie contrapposte rispetto al coinvolgimento dei minori in fase giudiziaria, quella della “terapia del trauma”, di cui Claudio Foti era (ed è) il massimo portavoce, e quella che si rifà alla Carta di Noto. In allora notai, e non fui l’unico a notarlo, come dietro a fatti come quelli di Bibbiano ci fosse sempre l’applicazione della “terapia del trauma” e allora cercai di capire chi ne fossero i sostenitori o i diffusori a diverso titolo. Ne individuai diversi nell’ambito della psicologia, della politica, della magistratura e dei media. Tra di essi mi parve di individuare anche Elena Buccoliero, che quindi finì, insieme ad altri, per essere bersaglio delle mie critiche. Critiche documentate, come cerco di fare sempre (anche per non essere facilmente smentito), ma forse espresse con una vivacità e un tono provocatorio che ferirono la ex giudice onoraria. Vero è che in allora il dibattito infuriava e spesso i toni si accendevano e salivano a volte un po’ sopra le righe, ma niente da parte mia che fosse finalizzato al mero insulto e comunque molto meno di quello che altri scrivevano un po’ ovunque. Il mio obiettivo, allora come oggi, era semmai quello di suscitare un dibattito aperto e pubblico per cercare di individuare un punto di convergenza avanzato che risparmiasse sofferenze in generale e in particolare ai bambini. Insieme magari a evitare di criminalizzare a prescindere il genere maschile.
Non è finita qui…
Il giudice, alla fine di cinque lunghi anni di deposizioni, memorie, note e integrazioni, ha riconosciuto, con la formula “perché il fatto non costituisce reato” e con queste motivazioni, che né c’è stata diffamazione, né era nella mia volontà metterla in atto. Di fatto, ovviamente dal mio punto di vista, una sentenza corretta. A dimostrare che non volevo affatto diffamare ma provocare un confronto sta il fatto che per tutti questi anni, e pure durante la mia deposizione, ho invitato più volte la Dr.ssa Buccoliero a rispondere alle mie critiche, cioè appunto a un confronto anche animato ma leale, tramite scambi di articoli o una diretta online. Sfortunatamente ha sempre rifiutato, ma ciò non toglie che il mio invito resta valido ancora adesso, e lo sarebbe rimasto anche se fossi risultato soccombente dal procedimento a mio carico. Il quale, per la cronaca, è il primo che arriva a una sentenza. Come avrà notato chi segue queste pagine, tutti i precedenti sono “morti in culla”, o perché archiviati o perché le denuncianti hanno improvvisamente deciso di ritirare la querela. Indubbiamente quello conclusosi ieri era il procedimento più serio e importante, anche perché segna in qualche modo (o almeno a me piace pensarla così) il termine delle polemiche feroci tra tesi contrapposte e apre auspicabilmente una fase di ragionamento pacato. Anche se molto più in piccolo, la chiusura senza condanna di questa mia causa fa il paio con l’assoluzione di Foti, che ha ragione da vendere quando dice che certe questioni si discutono in convegni o nell’accademia e non nei tribunali. Mi auguro che questo mio processo segni l’ultima volta in cui accade.
Però… c’è un però… Sì perché negli articoli precedenti avevo scritto che questo era l’ultimo mio procedimento pendente. Già gioivo al pensiero della sua conclusione (qualunque fosse stata), mi pareva che la campagna a suon di carte bollate contro il “cattivo blogger maschilistamisoginofascistatransfobico” dovesse così concludersi. Mi sbagliavo. Mentre infatti si chiudeva questa vicenda, se ne apriva una tutta nuova. Che è, l’assicuro, l’apoteosi dell’assurdo, fin dai suoi esordi. Per dire: mi viene notificata la conclusione delle indagini, ma la Polizia Giudiziaria sbaglia numero di pratica. Per due settimane il mio avvocato, il grande Marcello Adriano Mazzola, non riesce ad accedere al fascicolo, lo segnala, si accorgono dell’errore e lo correggono, facendo ripartire i 15 giorni per ritirare gli incartamenti ed eventualmente esercitare i diritti di difesa chiedendo di essere sentiti o depositando una memoria per il PM. Tuttavia in quei 15 giorni il mio legale non riesce ad accedere ai documenti: problemi del server, disconnessioni e intanto il tempo passa. Mi reco io di persona in Procura, a Genova, per ritirarlo in qualche modo, ma mi dicono che non è disponibile: «probabilmente è in viaggio su qualche carrello, lungo qualche corridoio, da un ufficio all’altro», mi dicono, dopo avermi fatto girare come se cercassi il “lasciapassare A-38“. Scadono i 15 giorni e io vengo rinviato a giudizio in automatico, senza aver potuto difendermi in prima istanza. Tutto regolare? Pare di sì… per lo meno, forse, quando si tratta di Davide Stasi.
Grazie ai donatori!
Questo nuovo procedimento inizia quindi malissimo e promette di essere ancora peggio nel prosieguo. Se infatti con la querela senza corpo del reato mi pareva si fosse toccato il fondo, con questa arrivata di recente si è iniziato a scavare fino ad arrivare alle latrine dell’inferno. E allo scavo, oltre naturalmente alla denunciante (che non posso ovviamente svelare), al momento sembrerebbe aver partecipato anche la Procura di Genova. Terrò ovviamente tutti aggiornati sugli sviluppi del caso che, davvero, potrebbe far scuola e insegnare moltissimo sia sul modo di agire delle procure italiane, sia sulle bassezze a cui possono arrivare talune accusatrici imbevute di odio e ideologia. Nel frattempo, colgo l’occasione, come sempre, per ringraziare coloro che hanno contribuito e contribuiscono al “fondo di solidarietà” (presente qui sulla destra). Non sono in molti, ma il poco si conta e il niente no, quindi grazie di cuore. Gran parte degli obiettivi di queste querele a mio carico sono legati al bisogno di tapparmi la bocca, di darmi una punizione “politica” e di attaccarsi alla mia tasca. Quest’ultima sono riuscite a svuotarla e non ho idea di come pagherò ancora l’avvocato per quest’ultimo procedimento. Ragione per cui, qualunque altra donazione è la benvenuta e a chi vorrà dare una mano, il mio grazie anticipato.