Con questa notizia dell’8 novembre, il nostro conteggio “Sorella io non ti credo“, che enumera i casi di false accuse svelate nei tribunali da inizio anno, raggiunge la ragguardevole quota di 270. Ragguardevole in due sensi: di per sé e relativamente al dato dell’anno scorso. Nel 2020 infatti 270 erano le false accuse rilevate nel corso di un intero anno. In altre parole abbiamo davanti a noi un’autostrada di circa un mese e mezzo per registrarne altre e battere ogni record storico dacché teniamo questi conti. Nel 2019, ad esempio, ne rilevammo 149, con un incremento nell’anno successivo pari all’80%. Si possono aprire le scommesse sull’incremento del 2021 rispetto al 2020, ma è ormai certo che sarà un numero spropositato.
Un numero di cui, è bene chiarire questo aspetto di metodo, il nostro conteggio rileva soltanto la parte superficiale. La fonte dei dati che archiviamo nell’apposita pagina, infatti, sono i mass-media. Con il semplice meccanismo del “Google Alert” riceviamo ogni giorno una serie di notizie che rispettano determinati parametri. Tra quelle, individuiamo i casi di assoluzioni con formula piena (conteggiamo soltanto quelli) e li inseriamo nel conteggio. Ma è appunto la punta dell’iceberg. Dal conteggio non sono inclusi i casi che magari ci sfuggono e quelli che appaiono sui media cartacei ma non sul web, cosa frequente, specie per le pubblicazioni a tiratura locale. Ma soprattutto non sono incluse le centinaia di casi che non finiscono proprio sui media.
Un danno comune e un vantaggio per poche.
Il meccanismo è semplice: l’avvocato dell’uomo assolto ha qualche contatto in qualche redazione, locale o meno che sia. Notifica la notizia al suo contatto (chissà, magari allungando un centone) per fare in modo che esca un articolo relativo proprio a quell’assoluzione. Il giornalista è felice perché ha qualcosa da scrivere (centone a parte), l’avvocato pure perché si fa pubblicità gratis (o quasi) e la persona assolta ancora di più: specie nei centri piccoli la sussistenza di accuse infamanti va sulla bocca di tutti, dunque l’uscita della notizia dell’assoluzione spesso serve ai falsamente accusati per recuperare la propria reputazione. Il problema è che se non scatta questo meccanismo tra l’avvocato e la redazione di qualche media, la notizia non esce. È piuttosto ovvio che questo sia il caso per la gran parte delle assoluzioni, quindi possiamo tranquillamente dire che quei 270 da record da noi registrati quest’anno sono davvero un 1 o 2% dei casi totali che accadono in Italia.
È ancora presto per tirare le somme, lo faremo all’inizio del prossimo anno. Basta però un’occhiata alla nostra lista per verificare come la falsa accusa più gettonata sia senza dubbio quella per violenza sessuale. Seguono lo stalking e i maltrattamenti, più altre assortite. Non è noto, ma è facile da immaginare, quante di queste accuse farlocche siano state formulate durante le fasi di una separazione coniugale: sarebbe un dato cruciale, e per questo nessuno lo rileverà mai. Al di là della statistica, però, dietro quelle notizie ci sono storie e persone, quest’ultime sottoposte a spesso lunghissimi e dispendiosissimi calvari giudiziari, dove oltre al denaro usualmente si perde anche buona parte della salute. Il tutto per iniziativa di donne che, debitamente incentivate dal sistema a denunciare a tutto spiano, denunciano inventando. È comodo, tanto paga la collettività: tra gratuito patrocinio (riservato a chi si dichiara vittima di violenza), “reddito di libertà” per le donne (e solo per loro) che denunciano di essere vittime di violenza e impegno della forza lavoro interna alla magistratura, la presunta vittima non scuce un centesimo, anzi potrebbe guadagnarne. Qualcuno ha provato a calcolare la perdita di denaro pubblico per queste liti temerarie e la cifra è spaventosa, un danno enorme per la collettività. Ma è anche un gran vantaggio per alcune accolite.
Bugie che fanno comodo.
La “denuncite” infatti aiuta ad alimentare le statistiche utilizzate strumentalmente per affermare quanto la violenza contro le donne sia dilagante in Italia. Sciocchezze: le denunce non contano nulla, contano le sentenze. Per l’appunto, è ben noto che, relativamente ai reati tipicamente afferenti alla violenza contro le donne, soltanto tra un 10/15% esita in condanna, mentre il resto va archiviato o finisce in assoluzione. Un dato scomodo, che infatti viene rimosso. Ascoltate le portavoce del vittimificio italiano e vi parleranno soltanto di denunce o telefonate ai numeri di assistenza: dati inconsistenti, irrilevanti, lontani anni luce dalla realtà. Ma molto utili perché altissimi: circa 55 mila le denunce di quel tipo in Italia ogni anno, un dato in crescita grazie ai continui inviti della propaganda femminista a denunciare, denunciare, denunciare. Anche se tutto si regge su accuse false, non importa. Tanto è gratis e non si paga alcuna responsabilità per averlo fatto (la contro-denuncia per calunnia è rarissima). Un’occasione ghiotta, insomma, che infatti colgono in molte.
Basta cliccare sui link del nostro elenco per leggere storie agghiaccianti, di bugie palesi assecondate da PM indottrinati da qualche centro antiviolenza, poi però svelate e sbugiardate in dibattimento. Si leggono casi folli di applicazione del “Codice Rosso”, con misure cautelari mantenute anche a fronte di un’assoluzione, casi di donne che denunciano a raffica, talvolta anche con querele-fotocopia, e avvocati che scoppiano in lacrime di felicità per essere riusciti a fare assolvere un innocente da un’orrenda accusa presentata dalla furbacchiona di turno. Quello che i media non dicono mai, purtroppo, è se dietro a ogni falsa denuncia si cela la spinta di qualche centro antiviolenza. Sarebbe utile saperlo, e non ci stupirebbe riscontrarlo, così come non stupisce che gli stessi centri antiviolenza si costituiscano spesso come parte civile nei processi, nel bieco tentativo di arraffare parte del risarcimento (ed è grave che molti giudici ammettano questa prassi). Con tutto ciò, parlare di false accuse nel nostro Paese è pressoché vietato. Chi lo fa viene investito e aggredito con una violenza spietata e feroce. Il motivo è chiaro: svelare la verità delle cose sbriciolerebbe in un colpo il pretesto di un business ricchissimo e l’alibi per politiche sempre più oppressive e manettare, su cui non pochi personaggi politici hanno basato una carriera. Eppure i numeri, la verità e la realtà stanno lì, non possono essere smentiti, si tratta soltanto di trovare il modo di farli emergere e di ottenere per essi pieni diritti di cittadinanza all’interno dell’asfittico dibattito pubblico nazionale.