La Fionda

“Sono donna e la legge protegge me”

Qualche giorno fa è stata data da alcuni media la notizia della conferma della condanna in appello di una donna campana, accusata e già condannata in primo grado per stalking contro l’ex marito. Sarebbe una notizia tra le tante che registriamo ogni giorno di violenza femminile contro gli uomini (quella che, com’è noto, non esiste… nda), se non fosse che si tratta di una vicenda che ci riporta (e mi riporta personalmente) alle radici più lontane dell’esistenza di queste pagine. L’uomo in questione, infatti, fu il primo a contattarmi per sfogarsi e chiedere aiuto. Ai tempi, parliamo di quasi otto anni fa, esisteva solo una pagina Facebook che si proponeva di raccogliere le storie personali degli uomini falsamente accusati in generale, e in particolare di stalking. Fabrizio (nome di fantasia) mi scrisse in privato raccontandomi di essere non accusato falsamente, bensì vittima di persecuzioni e violenze da parte dell’ormai ex moglie, che oltre ad aggredirlo, organizzare pestaggi e aggressioni da parte di terzi e a distruggergli l’esistenza, gli impediva di vedere i due figli. Lo sentii al telefono e ricordo la voce alterata dalla disperazione, da cui uscì una frase che nel prosieguo sentii poi molte altre volte da parte di numerosi altri uomini. Me la disse in napoletano, ma capii ugualmente il senso: se non reagisco contro di lei, lo faccio contro di me, una volta per tutte. Tentai di calmarlo e subito mi misi alla ricerca di qualcuno in loco che potesse supportarlo dal lato emotivo, per evitare che facesse qualche sciocchezza. Riuscii a procurargli una chiacchierata con un’associazione di padri separati locale e le acque si calmarono.

Seguii poi Fabrizio lungo tutto il suo percorso, mentre la pagina Facebook diventava prima un blog personale che, oltre a varie opinioni e analisi, ospitava molte testimonianze come la sua, e poi il sito che state leggendo ora. Lungo tutto questo tempo ho fatto video a suo sostegno, ho avuto modo di vedere le carte processuali che lo riguardano, comprese le foto delle ferite lasciate sul suo corpo dalle mani della sua ex moglie (vedi qui sotto), in un caso anche con una secca coltellata alla schiena. Ho cercato di stargli al fianco come potevo, mentre la magistratura di laggiù si muoveva con lentezza pachidermica, le angherie proseguivano, i figli continuavano a essere per lui desaparecidos e pure io, cosa buffissima, ricevevo alcune minacce nemmeno troppo velate da sedicenti camorristi pronti a punirmi per il mio sostegno a Fabrizio. Anche quando la donna venne rinviata a giudizio e persino dopo la prima condanna, Fabrizio continuava a essere tenuto lontano dalla prole. Vedeva, e tuttora riesce a vedere, soltanto il figlio, molto saltuariamente. La figlia invece non la vede da anni: è stata convinta dalla madre che il padre è un poco di buono, un farabutto che non dà soldi, che se ne frega dei figli, e tutto quell’armamentario psicologico devastante utilizzato in questi casi, con buona pace di chi strilla che l’alienazione parentale non esiste. Naturalmente, per quanto possano valere i soldi, Fabrizio ancora oggi non ha visto un centesimo della provvisionale stabilita dal giudice a suo favore come risarcimento del danno esistenziale subito a causa della sua ex che, tra l’altro, per meglio rovinarlo, a lungo se l’è presa anche con i clienti dello studio di Fabrizio, per spaventarli e allontanarli. Altrettanto naturalmente, nessun mezzo di comunicazione e nessun politico si è interessato alla sua vicenda, come invece accade sistematicamente a sessi invertiti.

ferite FM
Le ferite al collo di Fabrizio dopo una delle aggressioni della ex moglie.

Le frasi simbolo.

Ma perché raccontiamo questa storia oggi? Per diversi motivi. Anzitutto per quel po’ di emozione suscitata dal ritorno in cronaca, nelle vesti di vincente, del primissimo “utente” delle nostre iniziative informative e di supporto. Ci piace pensare che, se non fossimo intervenuti a dargli conforto otto anni fa, oggi Fabrizio non avrebbe in tasca la conferma ufficiale di essere, lui uomo, vittima di violenza per mano femminile, con buona pace dei molti giornalisti che nel tempo l’hanno intervistato sminuendo (come al solito) la sua vicenda personale. Poi anche perché questa storia è emblematica di come funzionano le cose nel nostro Paese quando si tratta di argomenti del genere: abbiamo un uomo due volte accertato come vittima di una donna due volte accertata come colpevole di un reato odioso come gli atti persecutori, cui ha aggiunto frequenti atti di violenza fisica, eppure quell’uomo ancora oggi fatica a frequentare i suoi figli. La tossicità della figura materna ha ricevuto una doppia sanzione, eppure nessuno ha mosso un dito per trasferire i bambini (ora ragazzi ormai) dal domicilio materno a quello paterno. Perché? Malagiustizia? Anche, sicuramente. Ma soprattutto inquinamento ideologico, bias socio-culturale che ancora e sempre penalizza la figura maschile e paterna in ogni caso. Il risultato di questi pregiudizi, sommati all’insensibile inefficienza dell’apparato della giustizia, fanno sì che ci siano due giovani in più, in questa società, che sono stati privati con brutalità della figura paterna, hanno assistito a violenze fisiche e verbali a cui non avrebbero dovuto assistere («quello stronzo compra solo le pezze alla figlia e va con zingare e puttane… è un femminiello, non ci dà mai soldi», è una delle tante frasi  che la donna diceva ai figli, come tali registrate anche nella sentenza d’appello), subendo un lavaggio del cervello che difficilmente non lascerà segni nella loro capacità relazionale.

Ma la vicenda è significativa anche per un altro motivo, che è forse il segnale più forte e più “didattico”. Tra le frasi registrate da Fabrizio durante il periodo del conflitto diretto con l’ex moglie, ce n’è una che racconta sinteticamente ma con assoluta efficacia qual è la situazione attuale del nostro Paese, quando si tratta di storie come queste. La frase appare anche nelle due sentenze di condanna per la donna, che ebbe a dire, testualmente, rivolgendosi a Fabrizio: «tu non vuoi capire che non puoi fare niente, sono donna e la legge protegge me. Hai voglia ad andare dai Carabinieri, con tutte le denunce che hai fatto puoi pulirti il culo». Non sappiamo quale sia il livello culturale di questa donna, che però di fatto è indifferente: ciò che emerge è che, in ogni caso, l’idea che le donne abbiano un privilegio rispetto agli uomini sulle questioni separative condite da violenze di genere, permea in modo ormai stabile la percezione della realtà di tutte e tutti. E il fatto che questa donna in particolare sia stata invece condannata è solo l’eccezione che conferma la regola. Le donne oggi sanno, anzi sentono di poter uscire impunite, di avere una corsia preferenziale, grazie alla sistematica criminalizzazione dell’uomo e vittimizzazione della donna operata da forze ideologiche organizzate sostenute dai media e dalla politica. Che l’uomo, in quanto intrinsecamente violento, non sia mai credibile e la donna, in quanto intrinsecamente vittima, lo sia sempre (il famoso “believe women” del femminismo), è diventato narrato comune, convinzione collettiva, un topos, uno standard, come il fatto che i medici scrivono sempre in modo illeggibile, che i genovesi sono tirchi, gli scandinavi sono di temperamento freddo e insensibile e così via. La frase della stalker di Fabrizio fa il paio, come segno dei tempi, con quella della donna di Roma che, pur essendo lei a riempire di botte il marito, lo denunciò per maltrattamenti perché «denunciare è di moda». La domanda conseguente è rivolta a tutti coloro che non leggono queste pagine o pagine simili a queste, che ancora conservano un pensiero critico e la capacità di porsi delle domande: stanti questi dati di fatto, sono questi i tempi in cui volete che vivano i vostri figli e le vostre figlie?



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