Riveste un grande interesse l’audizione svolta dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati con la professoressa Mirzia Bianca, ordinaria di “Istituzioni di Diritto Privato” presso l’Università “La Sapienza” di Roma. La docente e giurista è stata interpellata per dare il proprio parere su un gruppo di proposte di legge di modifica al codice civile e alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di affidamento dei minori. Un tema delicato in generale, con pregressi non lontani che hanno suscitato grandi discussioni e scossoni politici non indifferenti, a seguito delle vicende della Val D’Enza. Il richiamo generale, ripreso dalla professoressa, è quello al principio etico, sancito da diversi livelli legislativi (da convenzioni internazionali a leggi specifiche, passando per la Costituzione), per cui un bambino ha il diritto di crescere in famiglia. Un diritto soggettivo assoluto che si impone anche nei confronti dello Stato, con ciò ponendo la questione chiave: come evitare quanto più possibile l’allontanamento del minore dalla propria famiglia d’origine? «Serve una disciplina», afferma la professoressa Bianca, «che a tutt’oggi non c’è, che si applichi alle cause di allontanamento. Perché quello del minore a crescere nella propria famiglia è un diritto orfano di tutela».
La chiave, individuata dalle proposte di legge in discussione e sottolineata dalla professoressa Bianca, è la prassi degli allontanamenti dei minori legati a allo stato di indigenza o povertà della famiglia. Una fattispecie vietata dalla legge, ma che di fatto si verifica in modo pressoché sistematico. Come far valere dunque quel divieto e risolvere il problema? La professoressa Bianca richiama una proposta di legge del 2018 di modifica della legge sulle adozioni che prevedeva «l’istituzione di un fondo nazionale di solidarietà» al quale gli enti locali potrebbero attingere in caso di difficoltà economiche delle famiglie con figli minorenni. Sarebbe una riforma epocale, e la ragione è presto detta: «al momento i fondi pubblici e i fondi europei vengono dati direttamente alle case-famiglia», dice la professoressa. Eppure la case-famiglia dovrebbe essere l’ultima ed estrema soluzione. Senza contare che «l’articolo 31 della Costituzione obbliga lo Stato a dare un sostegno economico a queste famiglie». Ecco allora che le proposte in discussione alla Camera colgono nel segno quando vogliono imporre l’obbligo di includere nelle sentenze che decidono dell’adottabilità di un bambino le motivazioni per cui altri strumenti di sostegno, in particolare economico, non hanno risolto le condizioni di sofferenza che inducono a sottrarre il minore alla famiglia. Cioè: cari giudici e cari servizi sociali, prima di portare via i figli a qualcuno, dovete prima verificare se il disagio non sia di tipo economico. Se lo è, dovete sostenere economicamente la famiglia e spiegare, nel caso, perché quegli aiuti non hanno funzionato ed è necessario sottrarre il minore e renderlo adottabile. Se tale motivazione è assente nel decreto di adottabilità, il decreto stesso dovrebbe essere considerato nullo. Sacrosanto.
Forse sarebbe il caso di recitare un lungo mea culpa.
Ma non basta. Evidentemente sono troppe le zone oscure che si sono accumulate attorno alla questione, tanto che la professoressa Bianco suggerisce l’istituzione di un osservatorio presso il Ministero della Giustizia che monitori lo status economico delle famiglie, in modo da evitare fin dalla fonte decreti di adottabilità inappropriati. Le zone oscure si estendono però anche agli operatori sociali, tanto che una delle proposte di legge in discussione prevede un nuovo reato e pesanti risarcimenti a loro carico in caso di gestione illecita delle questioni legate agli allontanamenti e alle adozioni. Il fantasma di Bibbiano aleggia su questa proposta, che la professoressa amplierebbe a chiunque intervenga a qualunque titolo nel processo che decide l’allontanamento e l’adottabilità di un bambino. Non solo operatori sociali, dunque, ma anche consulenti, psicologi, psichiatri e via dicendo. E la professoressa Bianco non ha la mano leggera, in questo senso: «oltre alla sanzione e al risarcimento, aggiungerei la sospensione o la cancellazione del soggetto colpevole dallo svolgimento dell’attività professionale». È consapevole che si tratta di proposte particolarmente severe, ma sulla questione non ci sono mezzi termini: «è inutile che ci riempiamo la bocca parlando di diritto della persona e di diritto soggettivo assoluto, se poi non si stabilisce per legge quali siano le conseguenze di atti illegittimi e dannosi». Non farlo, dice la professoressa a chiare lettere, è contrario al principio di legalità e al principio di giustizia sociale.
Al termine della sua audizione la professoressa Bianco riceve alcune osservazioni dai parlamentari presenti. Colpisce quella dell’On. Veronica Giannone, che non abbiamo mai mancato di criticare per talune sue posizioni relative alle separazioni, all’alienazione genitoriale e al discorso della violenza domestica, ma che qui spicca per una proposta intelligente: dati i veri e propri disastri registrati in moltissime case-famiglia (scarsa igiene, alimentazione scadente, maltrattamenti fisici o psicologici, o entrambi), sarebbe opportuno istituire una figura terza che, nelle vesti di ispettore, operi un controllo sulla gestione delle case-famiglia stesse. La professoressa Bianca risponde non solo sposando la proposta, ma anzi suggerendo un ampliamento capace di far tremare i polsi ai tanti vampiri che sulle case-famiglia innestano un business tanto ampio quanto vergognoso: «l’ispettore dovrebbe avere poteri estesi anche nel controllo della contabilità delle case-famiglia». Applausi a scena aperta per la prof.ssa Bianca, da parte nostra. Con due notazioni aggiuntive. L’abbiamo notato già in precedenza, quando abbiamo illustrato la meritoria iniziativa di Maria Concetta Falivene, Garante Regionale per l’Infanzia e l’Adolescenza in Abruzzo: tira una brutta aria per servizi sociali e affini che abbiano a che fare con i minori. In Abruzzo si propone (sacrosanto) un ispettorato, alla Camera si discutono proposte di legge che prevedono l’istituzione di un ispettore per le case-famiglia… Tutte iniziative che suscitano la rivolta politica (da sinistra) e corporativa, ma che evidentemente hanno dei motivi: troppe, davvero troppe e troppo gravi sono le anomalie che si sono ammucchiate nel tempo relativamente all’operato di tali soggetti. Protestino finché vogliono, ma l’indirizzo di un controllo più stringente sul loro operato pare preso e prima o poi andrà a buon fine. Invece di protestare forse sarebbe il caso di recitare un lungo mea culpa. Secondo punto, il più importante: bene ispettori che controllino l’operato e la contabilità di servizi sociali e case-famiglia. Ma non sarà il caso di applicare lo stesso criterio anche per i centri antiviolenza, dove il giro di soldi pubblici e le anomalie non sono certo da meno?