Ha fatto molto scalpore in questi giorni la proposta di ripartizione dei 192 miliardi di euro del “Recovery Fund”. È circolato in rete un grafico del TG5 dove appare al penultimo posto la voce “17 miliardi per la parità di genere”. Molti ingenui tra l’opinione pubblica ordinaria sono caduti dalla sedia o dalle nuvole. Dalle nostre parti invece nessuno si è sorpreso: i finanziamenti alla lobby rosa e alle sue misure di discriminazione antimaschile sono una costante da decenni, qualcosa di più certo del sole che sorgerà domani (con la gentile concessione di Hume). Poteva forse “Rosa Nostra” tenere le sue mani felpate lontane da questo grosso euromalloppo? Certo che no: si tratta di un’intenzione già apertamente espressa a più riprese nelle settimane scorse, da noi regolarmente registrata e demistificata.
Di cosa ci si stupisce poi se, vicenda che difficilmente può abbandonare la memoria, ad aprile, in piena crisi pandemica, sono stati sbloccati dal Ministero della Famiglia 30 milioni di euro a favore dei centri antiviolenza? Soldi giustificati come necessari “per il sostegno delle iniziative che i centri antiviolenza e le case rifugio devono adottare in questi giorni per far fronte all’emergenza da coronavirus”. Un’emergenza pressoché inesistente, costruita a tavolino a fronte dell’altra, ben più reale, dei nosocomi italiani privi di personale e attrezzature. Quanti medici e infermieri in più si sarebbero potuti pagare con 30 milioni di euro in quei mesi critici? Quanti dispositivi per salvare vite che invece sono andate perdute? Eppure, con la sfacciataggine di chi anela a mettere le mani nel pentolone d’oro, quella bella somma (più tutte le altre stanziate a livello regionale) è finita nelle tasche di chi strilla un’emergenza che nei dati, dunque anche nei fatti, non esiste nelle proporzioni con cui viene furbescamente descritta.
Non esattamente ciò che serve davvero per questa disastrata Italia.
È il femminismo di rapina, baby. È quella che noi chiamiamo da tempo “industria dell’antiviolenza”, una corporate che, in mancanza di clienti per i propri servizi, prospera esclusivamente con soldi pubblici. Si tratta di una realtà talmente evidente che davvero appare lunare lo stupore di molti per quei 17 miliardi del “Recovery Fund” destinati alla cosiddetta “parità di genere”. Sono settimane che le varie componenti tentacolari dell’Antiviolenza S.r.l. sbracciano, sgomitano e si agitano per avere una fetta della torta europea, mostrando le tasche vuote di tutte le loro organizzazioni nullafacenti di buono e utile per la collettività, ma bensì votate al privilegio di una minoranza all’interno di un genere specifico. Una minoranza che predica e opera secondo una direttrice molto chiara: definire “parità” la concreta esclusione della sfera maschile da ogni possibile ambito, l’indebolimento (quando non la distruzione) dell’uomo in tutte le sue declinazioni, a partire da quella di padre, e contestualmente la dissoluzione della famiglia e di ogni altra componente sociale cooperativa e solidale basata sul rapporto uomo-donna. In questa strategia infame rientra naturalmente anche la poderosa spinta alla grande isteria queer e alle sue censure da manicomio. Anche quel settore, includendosi nelle politiche di “parità di genere”, sta facendo conto di mettere le mani sul tesoro a strozzo messo a disposizione dell’Unione Europea.
Ecco dunque la risposta più chiara allo stupore generalizzato e alla domanda più frequente che abbiamo letto in giro: “che vuol dire 17 miliardi per la parità di genere?”. Significa che un’organizzazione strutturata e riconoscibile, con propaggini ben salde nella rete istituzionale europea e internazionale, non intende farsi scrupolo alcuno a incravattare le generazioni future di cittadini e cittadine pur di avere una mega-torta da spartirsi nel presente, pur di arricchirsi e consolidare le proprie clientele e il proprio potere divisivo e conflittuale. E chissà, magari pur di avere soldi da girare in qualche modo a quella politica che ha facilitato l’arrivo delle risorse (qualche coraggioso magistrato che voglia indagare sulla palese “femministopoli” in atto?). Come i 30 milioni in piena crisi pandemica, anche l’ipotesi di ripartizione del “Recovery Fund” dimostra la potenza di questa grande organizzazione para-criminale, che riserva per sé quasi il doppio di quanto allocato ipoteticamente per la sanità. A guardare quelle cifre la sensazione è che non ci sia stata affatto una pandemia, o che in ogni caso si sia trattato di un evento minimale rispetto all’emergenza della mancanza di parità tra i generi. Una follia, un paradosso. E poco importa che a integrare quei 9 miliardetti striminziti per la sanità possa intervenire il MES: dalla padella alla brace, si consegna da un lato e dall’altro il paese ai banditi del debito per soddisfare la gola profonda di gruppi d’interesse famelici. Non esattamente ciò che serve davvero per questa disastrata Italia.
Dopo la comprensione venga la ribellione.
Capita spesso poi di avere l’impressione che la storia e la politica italiana siano scritte da un commediografo greco. E questo è uno dei casi: nonostante i 17 miliardi proposti per la cosiddetta “parità di genere”, la lobby rosa ha avuto la faccia tosta di ridire e protestare. Alla diffusione dell’ipotesi di ripartizione sono infatti arrivati, puntuali come un orologio a cucù, appelli di oltre venti associazioni e gli alti lai di tutte le componenti facenti capo all’Antiviolenza Srl, indirizzati al Premier Conte per dire, con un’unica voce, qualcosa che suona incredibile ad ascoltarsi: i fondi riservati alle politiche per la parità di genere sarebbero pochi. Anche in questo caso non c’è da sorprendersi: le sorprese sono un qualcosa di inaspettato, mentre la puntualità che ha la lobby femmi-gender nel riscuotere la propria parte di bottino, sottraendolo a strategie di bene comune, è di carattere svizzero e ne rende certa la natura parassitaria. L’intero settore economico a carico dello Stato che usa la “parità” come paravento per essere foraggiata ha ormai raggiunto livelli patologici di bulimia. È un pozzo senza fondo che si mangia il futuro e la possibilità di rispondere nel presente alle necessità reali della comunità. E grazie al cielo i cittadini se ne stanno accorgendo.
Sullo sfondo resta uno scenario di carattere più generale, che mostra i due lati di una medaglia che alla maggioranza degli italiani non piace più (se mai è piaciuta). L’uno esibisce l’orrida faccia di gruppi organizzati per parassitare fondi pubblici, l’altra mostra l’interesse privato che si è ormai impossessato, complici tutti i governi degli ultimi vent’anni votati al neoliberismo più spinto, del settore sanitario. Soldi allo Stato per ristrutturare una sanità decente non se ne devono dare, e se proprio si devono mettere a disposizione, devono essere pochi. Le liste d’attesa devono rimanere chilometriche, i servizi al pubblico scadenti, i posti letto sempre meno, perché solo così si alimenta il business della sanità privata, e addio al “diritto alla salute”, in barba all’Art.32 della Costituzione, che ormai è da leggere come una presa in giro dei cittadini. Il covid è una brutta bestia, pare assodato, ma è certo che il suo effetto è stato amplificato dalla risposta scarsamente efficace di una sanità gradualmente smobilitata a tutto vantaggio del settore privato che, per sua stessa natura, ha fatto utili sull’emergenza senza alcuna concessione alla solidarietà nazionale. Ecco perché i fondi destinati alla sanità pubblica sono quasi la metà di quelli ipotizzati per un problema inesistente (la “parità di genere”), ecco perché altri soldi per il settore (quelli del MES) vengono subordinati a una sostanziale rinuncia alla democrazia e al principio di autodeterminazione nazionale. I tanti che si sono stupiti sono i tanti che a breve capiranno la direzione generale che è stata presa, orientata al consolidamento di un connubio micidiale: la privatizzazione di un diritto cruciale fatta marciare a braccetto con il sostentamento pubblico di enti inutili e parassitari e con la destrutturazione sempre più decisa della democrazia e delle libertà individuali. In una parola, dello Stato. L’auspicio è che dopo la comprensione del problema, vengano la ribellione e un netto cambio di direzione.