Sarà capitato anche a voi di vedere di tanto in tanto persone che, passando davanti a una chiesa, si fanno il segno della croce. Lo fanno, evidentemente, obbedendo a un automatismo probabilmente installato ai tempi della loro educazione di base. E così oggi si segnano davanti a un tempio seguendo lo stesso impulso che gli fa mettere la mano davanti alla bocca quando starnutiscono. Questi sono gli effetti degli “ammaestramenti” che molti ricevono, specie in ambito religioso: magari costoro non credono più, non frequentano le messe, tuttavia il segno della croce lo fanno comunque. Se non che assumere questo comportamento senza sentirne il significato profondo è una forma di dissonanza cognitiva, che si dispiega per l’appunto con la gigantesca legittimazione del comunque. Quando venne dimostrato che era la terra a girare attorno al sole e non viceversa, pur vedendo un caposaldo del proprio impianto di fede totalmente smentito, credenti e gerarchie ecclesiastiche continuarono comunque ad avere fede nei propri principi e nei propri dogmi. La fede tipica dei culti, insomma, induce alla stolidità, che non retrocede nemmeno di fronte a evidenti casi di dissonanza cognitiva.
Altrove abbiamo sostenuto che il femminismo è una sorta di culto religioso. Un’ulteriore controprova che si tratti di un paragone azzeccato e vedere se anche in quell’ambito si registrano dissonanze cognitive significative e se di conseguenza scatti anche lì il meccanismo del comunque. Un caso lo registrammo nel 2022, quando venimmo chiamati a commentare un Disegno di Legge, il 2530, uno dei tanti che aveva l’obiettivo di contrastare la violenza maschile sulle donne. Il testo, nella sua introduzione, riportava una tabella riassuntiva dei casi registrati di quel tipo di violenza negli anni tra il 2018 e il 2021. Ogni reato, a parte qualche minima eccezione, risultava in calo verticale. Quella tabella da sola avrebbe dovuto sancire l’inutilità dell’ennesima legge repressiva (e lo facemmo notare), se non che gli estensori della proposta avevano apposto giusto in calce ad essa una frase sconcertante: «Alla luce dei dati sopra riportati, che evidenziano un trend in aumento dei c.d. reati spia…». Eccola la dissonanza cognitiva, ed ecco il comunque. I dati dicono una cosa chiara, ma comunque, dato che abbiamo la necessità di affermare un tipo di realtà (che non esiste), comunque affermiamo l’esatto inverso.
La dissonanza tra dati e narrazione.
Un anno fa l’organizzazione “Save the Children” ci ha fornito un altro esempio di come quel culto religioso chiamato “femminismo” estenda i suoi effetti inquinanti sulla comunicazione pubblica e sulle ricerche. La ONG aveva commissionato all’IPSOS un’indagine relativa alle dinamiche della violenza di genere fra adolescenti e i risultati finali erano tali da non sorprendere. A pagina 26 del rapporto infatti, dopo aver spiegato quali tipi di violenze vengono agite nell’adolescenza di maschi e femmine, si dice: «Sebbene non emergano differenze rilevanti tra ragazze e ragazzi, questi ultimi agiscono in misura maggiore delle ragazze alcuni di questi comportamenti». Detto in altre parole: tutti, maschi e femmine, hanno comportamenti violenti gli uni verso gli altri. Ovvero: la violenza prescinde dal genere, un concetto oggi tutt’altro che scontato. Rimane vero che, in proporzione, gli individui di sesso maschile sono più portati verso le condotte violente. Il che, per chiunque abbia chiara la storia e la natura profonda degli esseri umani, è qualcosa di tutt’altro che sorprendente, essendo un fatto noto da circa 600.000 anni, come minimo. Per logica, dunque, ci si dovrebbe attendere un auspicio verso misure di mitigazione della violenza in generale. Magari con un’attenzione particolare verso la sfera maschile, ma in ogni caso non si dovrebbe rinunciare a mantenere un’ottica trasversale ai generi su queste tematiche.
Se non che, mantenere un approccio del genere si scontrerebbe contro il dogma del culto laico del femminismo. Ed ecco allora che di nuovo scatta la dissonanza cognitiva, con il suo bel comunque annesso. E, tanto per non sbagliare, il comunque appare palese fin dal titolo della ricerca: “Le ragazze stanno bene?”. Si badi: le ragazze, non l’adolescenza in generale, la gioventù o altri termini neutri, ma proprio le ragazze. Soltanto il loro benessere dev’essere oggetto di una domanda da porre già nel titolo della ricerca. Poco conta che all’interno di essa si siano registrati livelli di violenza bilaterale del tutto comparabili, il focus deve rimanere comunque sul genere femminile. Come se non bastasse, al momento di trarre le conclusioni (pag.45), Save the Children chiede a gran voce «che i ragazzi e le ragazze siano direttamente convolti nella definizione del nuovo Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne, che a sua volta deve essere definito con assoluta priorità per garantire continuità rispetto a quello scaduto». Pagine prima si diceva che la violenza è messa in atto in proporzioni pressoché uguali da uomini e donne, ma comunque il riferimento resta a un “Piano” dedicato esclusivamente, in barba alla realtà e al dettato costituzionale, a un solo tipo di violenza. Insomma: “i ragazzi stanno bene?” è una domanda proibita dal culto laico femminista, e se per caso risulta che no, non stanno affatto bene, la cosa va semplicemente ignorata. E Save the Children si fa un obbediente segno della croce.