Insieme al report periodico del 15 agosto, la pubblicazione da parte della Polizia si Stato della brochure “Questo non è amore” è uno dei momenti più attesi dell’anno. Data in pasto al pubblico tassativamente ogni 25 novembre, ai suoi esordi conteneva dati statistici più o meno aggiornati e definizioni utili per capire come le forze dell’ordine si muovessero nell’ambito dei reati inscritti nella “violenza contro le donne”. Con uno scivolone indimenticabile nel 2018, quando i redattori fecero l’errore madornale di inserire a chiare lettere la definizione di “femminicidio” acquisita come ufficiale dalla Polizia stessa (alle pagine 11 e 12, evidenziate da noi), così stroncando i numeri gonfiati di quell’anno dai 94 strombazzati dalla propaganda ai 32 reali. Trapelava tra le righe del testo l’enorme difficoltà della Polizia nell’accettare una fattispecie talmente sfuggente da rischiare di non esistere davvero. Alla fine una formulazione la si accettò, però talmente restrittiva da indurre i gruppi di potere femministi a inferocirsi e a impossessarsi della pubblicazione, con il probabile benestare del Capo della Polizia.
E così si arriva all’edizione 2019 della brochure, dove si fa una grande fatica a riconoscere l’autorevolezza e la dignità di un corpo come la Polizia di Stato. Spariscono infatti tutte le parti definitorie, sostituite da storie individuali raccontate con empatia. Spariscono anche i numeri assoluti: non ce n’è traccia. Tutto è espresso attraverso l’astrazione della percentuale, con ciò facendo perdere al lettore la nozione della reale dimensione dei fenomeni. Non è casuale: tutta l’edizione del 2019 è un risarcimento per lo scivolone del 2018, ottenuto realizzando una piazza di spaccio di dati manipolati o incomprensibili. Con l’apice dell’imbarazzante pagina 14 dove viene coniato lo slogan “88 donne vittime di violenza ogni giorno, una ogni 15 minuti”, poi ripetuto a pappagallo per tutto l’anno successivo in ogni sede possibile. Che si tratti del numero di denunce (dunque non di casi accertati tramite condanna) relativo al solo mese di marzo 2019 è detto, forse per scrupolo di coscienza, in caratteri piccoli piccoli vicino al grafico. In sostanza si è preso il mese a maggiore densità di denunce per alludere che quel rateo sia annuale o abbia una validità generale. Vera e propria manipolazione dell’informazione e un vero tentativo di condizionamento delle coscienze. Nonché il segnale chiaro che la tipografia di “Questo non è amore” era stata trasferita in pianta stabile dagli uffici della Polizia alla sede della “Antiviolenza S.r.l.”. Quell’anno ci volle un report dei Carabinieri per scoprire che i “femminicidi propriamente detti” continuavano a essere, pur nella loro gravità, statisticamente un’inezia (43).
542 segnalazioni in sei mesi alla app YouPol.
Visto l’andazzo, ci attendevamo quest’anno che la verità saltasse fuori da qualche altro corpo delle forze dell’ordine, la Guardia di Finanza o la Guardia Costiera o i Forestali, ma la pandemia ha sparigliato le carte dei redattori della brochure. Così l’edizione 2020 cade nel baratro più profondo del puro e semplice marketing targato Polizia di Stato (che di mestiere però dovrebbe fare altro). La pubblicazione è inzeppata di chiacchiere istituzionali e testimonianze sceltissime, sia per la tipologia sia per il carattere emozionale della narrazione. Dati? Si fa fatica a chiamare così i numeri che sono riportati. Di nuovo statistiche buttate lì in percentuale, come a pagina 7: un confronto anno su anno dei “femminicidi”. Ma quali, quelli di comodo o quelli “propriamente detti” definiti nel 2018? E le percentuali cosa sono, incrementi, rapporti, su quale totale vengono calcolate? Mistero (voluto). A pagina 8 svetta la mistificazione comune a tutte le brochure, comprese quelle precedenti: “Le percentuali di vittime di reati di genere consumati nel 2020″, dice il titolo del grafico. Peccato che si tratti di denunce, dunque non c’è alcuna certezza che quei reati siano stati davvero “consumati”. Lo deciderà un giudice tra un po’ di anni. Sulla base di questa falsificazione si procede in una sequenza di altre percentuali prive di significato reale, ma con tante belle infografiche e una chicca a pagina 12, dove si elencano come “segnali di violenza” gli stessi parametri statistici dell’indagine-fuffa dell’ISTAT del 2014. Quello di quest’anno è di fatto il report più umiliante di tutti per la Polizia di Stato, una vera e propria marchetta. Basta scorrere fino alla fine e vedere quanto viene dedicato ai centri antiviolenza, al 1522 e a tutta la galassia dell’affarismo rosa. Più che mai quelle pagine danno la misura del matrimonio aberrante avvenuto da l’industria dell’antiviolenza e le istituzioni.
Abberrante? Perché aberrante? La ragione è svelata dall’unica vera rivelazione presente nella brochure 2020. A pagina 14 si parla della app “YouPol”. Chi ci segue sa qual è stato il nostro lungo percorso rispetto alla questione. Un mese dopo l’estensione della app ai reati di genere, avvenuta a marzo durante il lockdown per intercettare le richieste d’aiuto delle “donne recluse con gli aguzzini”, cominciammo a chiedere i dati all’ufficio stampa della Polizia. A YouPol si rivolgono persone in immediato e reale pericolo, è come chiamare il 113 con il telefono, quindi i numeri del suo database potevano dare una misura reale della dilagante violenza domestica durante la reclusione pandemica. Dopo molti mesi, molte nostre insistenze e molte promesse della Polizia, quest’ultima ci ha detto (con grande gentilezza) che “non possono fornire i dati”, senza altre spiegazioni. Però i dati li pubblicano qui, sull’edizione 2020 di “Questo non è amore”. Ed ecco allora che si legge questo: “Creata per contrastare il bullismo e lo spaccio di sostanze stupefacenti nelle scuole, è stata aggiornata, nel mese di marzo 2020, prevedendo la possibilità di segnalare anche i reati di violenza domestica. Dal 28 marzo al 30 settembre sono state 542 le segnalazioni ricevute tramite l’app”. Non è chiaro se in quel numero siano comprese tutte le possibili segnalazioni alla app o soltanto quelle di violenza domestica. In entrambi i casi siamo lontani anni luce dalle migliaia e migliaia sbandierate da Telefono Rosa e organismi simili, relativamente alla fase di lockdown. Posto, come detto più volte in precedenza, che in numeri di Telefono Rosa indicano le “chiamate” e non le persone “chiamanti”, che per di più restano anonime e non controllabili.
Anomalie che passeranno sotto silenzio.
Da cittadino, tendo a fidarmi di più dei numeri relativi a chi chiama la app “YouPol” perché è davvero in pericolo e vuole un intervento delle forze dell’ordine, rispetto a numeri forniti da servizi non controllabili, non verificabili a cui si rivolgono persone che magari chiedono informazioni o segnalano situazioni blandamente critiche. Uomo o donna, se sei in pericolo, chiami la Polizia, mica un ufficio informazioni (questo è Telefono Rosa). Ecco dunque un aspetto dell’aberrazione: quelli di Telefono Rosa sono dati privi di ogni rilevanza statistica, smentiti dai dati reali e tuttavia acquisiti dall’ISTAT, dalle istituzioni e da tutta l’informazione pubblica come qualcosa di significativo. Di nuovo dunque, in modo involontario come nel 2018, e grazie al nostro precedente monitoraggio della app YouPol, si svela la realtà delle cose, con un ridimensionamento netto della versione che viene trasmessa dai portatori di interesse e dai media. Siamo a 90 chiamate d’emergenza al mese, 3 al giorno su tutto il territorio nazionale. Ecco perché, ora si può dire, la Polizia di Stato non ci ha fatto avere i dati a suo tempo. Non tanto per evitare di “bruciare” i dati della brochure in uscita, quanto perché la risultante è scomoda assai, dato che contrasta con l’asserito aumento del millemila per cento delle segnalazioni dichiarate da Telefono Rosa. I dati “YouPol” sono insomma roba da far saltare tutta la narrativa delle donne recluse con gli aguzzini, della violenza dilagante contro le donne, dell’emergenza nazionale e di tutto l’armamentario propagandistico che ben conosciamo. Numeri piccoli, microscopici ma reali, che frantumano un gigantesco giocattolo concepito solo per macinare soldi e potere, e per alimentare clientele.