La vicenda è datata, risale al 2018, ed è una storia di sottrazione di minore. Al centro del contendere una bimba nata a Viterbo da una coppia di avvocati, lui appunto di Viterbo e lei di Oristano. Poco dopo la nascita della piccola, la coppia si separa e, come spesso accade, non è una separazione serena. Il giudice applica l’affido condiviso e qui scatta il solito copione: la donna denuncia l’ex per maltrattamenti ma poi fa un passo falso. Adducendo la ragione che a Viterbo non ha clienti, torna ad Oristano, portando con sé la figlia e opponendo ogni pretesto possibile per impedire all’ex marito di incontrarla e frequentarla. Per tutto questo viene denunciata per sottrazione di minore. Il giudice di Viterbo intima allora alla donna di restituire la bambina al padre e al suo ambiente di nascita e socializzazione, da cui non ha senso sradicarla. Lei, la madre, rimane libera di tornare a Oristano, se vuole, spostandosi periodicamente per incontrare la figlia che, a quel punto, viene collocata (miracolosamente) presso il padre. La denuncia per maltrattamenti, non essendo ancora esitata in alcun tipo di denuncia, viene giustamente ignorata dal giudice civile della separazione. Che per altro, se sa il proprio mestiere, conoscerà anche i dati sulle dilaganti false denunce in fase di separazione.
La signora però rifiuta di ottemperare ai decreti del giudice e si barrica ad Oristano, supportata dal potentissimo matriarcato sardo, che si mobilita subito in sua difesa, attivando giornalisti compiacenti (si distingue tra questi Nicola Pinna, de “La Stampa”) e soprattutto la rete del femminismo locale. Ecco allora la a noi ben nota Patrizia Cadau farsi paladina della faccenda: fin dal 2018 porta avanti una battaglia cieca in difesa di questa madre, arrivando ad attivare la Regione Sardegna e il Garante per l’Infanzia, i quali però possono fare poco di fronte al decreto di un giudice. Così, nel luglio 2018, la cocciutaggine materna, alimentata dal fanatismo femminista, fa sì che la bambina venga sottoposta al trauma di un prelievo forzoso da parte dei Carabinieri. A nulla vale che la donna si barrichi in casa: dopo un po’ deve cedere (notare questo titolo: la bambina non viene restituita al padre, ma viene tolta alla madre…), la piccola viene messa su un aereo e accompagnata a Viterbo dal padre, il legittimo collocatario. Parte intanto, inevitabilmente, il procedimento a carico della donna per sottrazione di minore. Perché tanto poche e inconsistenti sono probabilmente le prove che l’uomo maltrattasse l’ex moglie quanto è evidente il “rapimento” della bambina da parte di lei: è proprio impossibile non procedere dal lato giudiziario.
Cos’è tutto questo se non un appello all’impunità?
I tempi della giustizia, si sa, sono lunghi. In più ci si mette la pandemia. Ecco allora che il procedimento a carico della donna viene discusso soltanto qualche giorno fa, con un’udienza presso il Tribunale di Oristano che di nuovo si innesca la mobilitazione, con annunci di sit-in e proteste. Quella che, fin dal 2018, veniva spacciata come una “mobilitazione cittadina” a favore della donna sotto accusa, a quel punto si mostra per ciò che è: a sostenere un’accusata di sequestro di minore si presenta una sparuta dozzina di persone, capeggiate proprio da Patrizia Cadau. Alla fine l’udienza viene rinviata, quindi rimane ancora tutto in sospeso, con un paio di punti fermi. Il primo è che fin dal 2018 un gruppo organizzato di femministe circuitanti attorno a Patrizia Cadau, con diversi contatti sulla stampa locale e nazionale, fa tutto ciò che è possibile per condizionare dall’esterno i giudici di un tribunale che, per loro stessa natura, dovrebbero essere messi in condizione di decidere serenamente su ogni questione. Quello di Oristano, in questo senso, è soltanto l’ultimo di una serie di tentativi della politica di condizionare la magistratura o di impicciarsi in singole cause, esorbitando dal proprio ruolo istituzionale. Giusto di recente Sara De Ceglia su queste pagine ricordava l’irruzione dell’On. Giannone nell’aula dove si discuteva il caso Massaro-Apadula, avanzando poi sospetti sul possibile fiancheggiamento di un’altra donna accusata di sequestro di minore, giusto per dirne due.
Il secondo punto fermo è il tipo di mondo immaginario in cui vivono quelli che, come la Cadau, si imbarcano in questo tipo di imprese. Basta analizzare il post Facebook che la stessa Cadau ha pubblicato per invitare tutti al sit-in davanti al tribunale per rendersene conto. Anche se un po’ lungo, va letto tutto per capire quali sono i meccanismi mentali che presiedono alla follia femminista e quali trucchetti retorici questa riesce ad ispirare. Il post si apre con tutta una serie di domande strappacuore su sulla bambina, “orfana di madre viva” dice la Cadau: dov’è finita, cosa fa, come passa il suo tempo? Domande sciocche, in realtà: è col padre, cresce, va a scuola, fa la sua vita normale e soprattutto serena. Ma è troppo semplice, soprattutto non sposa il dogma. Infatti la Cadau ha le sue certezze: la bambina è stata “strappata” dalle braccia della madre e il padre è il tipico “orco” che la passa liscia. Come se la prima a strappare la bambina dal suo ambiente e dalle braccia del padre non fosse stata proprio la madre, e come se l’uomo fosse già stato condannato per maltrattamenti. Ma la Cadau non ha dubbi, ha il suo mondo immaginario, dove tutto congiura per distribuire ingiustizie a carico di madri maltrattate da uomini violenti e “potenti”, contro cui nessuno, né giudici né politici, hanno il coraggio di porsi. Un vero e proprio “sistema mafioso”, come lo chiama, che osa incriminare per sottrazione una donna che… ha sottratto a tutti gli effetti la figlia al padre e al suo ambiente di nascita. Su tutto aleggia un malcelato appello all’impunità per le donne che fanno questo tipo di scelte.
Assoldare un sicario e risolvere in un colpo la questione.
Ma il bello viene al centro del post della Cadau, quando scrive: «La mamma non può vederla da tempo, la può sentire in tempi contingentati […]; i nonni materni, le zie e gli zii che l’hanno amorevolmente cresciuta da quando aveva pochi mesi, non possono neppure sentirla». Ma dai? Lo sa la Cadau che quella è esattamente la situazione di molte migliaia di uomini e padri (più nonni e zii paterni) in tutta Italia? Bruttina, vero? Al di là della vicenda in questione, sono proprio le tipiche condizioni di un padre separato, di quelli per i quali non vale mai la pena battersi, perché sempre violenti o sempre abusanti. Dispiace ovviamente che la madre sia in queste condizioni restrittive: il covid non aiuta. Ma non aiutano nemmeno le scelte proditorie che ha fatto due anni fa, pensando forse, sulla scorta di tante altre, di restare impunita inquantodonna. Invece ha incocciato un giudice con gli attributi, a Viterbo, la Dr.ssa Fiorella Scarpato (una donna!), che probabilmente ha capito tutto e ha agito di conseguenza, restituendo alla minore un ambiente amorevole, rilassato e sano, e condannando le femministe sarde, Cadau in testa, a dibattersi come pesci fuor d’acqua sputazzando livore e tentativi eversivi di usare la propria carica istituzionale per fare pressioni sulla magistratura. Seguiremo ancora la vicenda per capire come termineranno i procedimenti penali collegati. E registriamo che, al momento, l’unica cosa che rimane da fare alla Cadau è consigliare la madre coerentemente a quanto ha recentemente scritto sui social: assoldare un sicario e risolvere in un colpo la questione con l’ex marito.