di Federico Russo. Come tutti ormai sappiamo, la maggior parte delle femministe al momento ci tiene ad assicurare costantemente di ambire a una presunta “parità” tra i generi, accusando chi le contraddice di essere un “maschilista patriarcale”, un “patetico incel” o altro. Molte di loro, a cui si aggiungono anche individui auto-dichiaratisi pro-incel, come ad esempio Marco Crepaldi, psicologo che si definisce a favore del “femminismo paritario”, affermano che le carenze sessuali e relazionali che attualmente colpiscono i celibi involontari, nella quasi totalità giovani maschi, deriverebbero da presunti “ruoli di genere” che svantaggerebbero gli uomini caricando su di loro pressioni a cui non tutti sarebbero capaci di far fronte. C’è però da dire che questi cosiddetti “ruoli di genere” erano sicuramente più radicati in passato piuttosto che nella società moderna. Eppure fino a un paio di decenni fa la condizione di sofferenza maschile non sembrava così esacerbata, mentre oggi, oltre a soffrire di tassi molto più elevati di suicidi, abbandoni scolastici, morti sul lavoro e abuso di droghe e psicofarmaci, una fetta sempre più grande di giovani maschi viene tagliata fuori da qualsiasi dinamica relazionale e sessuale. Non è che magari il “problema incel” non scaturisce dalla persistenza di un presunto “patriarcato” ma appunto dall’affermarsi dell’ideologia femminista a livello mainstream, oltre che dall’utilizzo capillare di social e app di incontri che permettono alle donne di selezionare i propri partner su base esclusivamente estetica da una lista praticamente infinita di pretendenti come se fossero al supermercato?
Del resto oggi il cosiddetto “patriarcato” può essere incolpato del fenomeno incel solo da chi è palesemente in malafede, visto che dovrebbe ormai essere lapalissiano il fatto che l’intero spettro del mainstream politico e mass-mediatico, compresa la potentissima industria dell’intrattenimento d’oltreoceano, non faccia altro che spingere per il “female empowerment” e la mostrificazione aprioristica del “maschio bianco cis etero”, cosa che se davvero vigesse un “sistema patriarcale” non verrebbe certamente portata avanti né permessa in alcun modo. E così vediamo perennemente sui giornali, in tv e nel web svariate politiche, giornaliste, opinioniste e persino comiche esprimersi contro questo fantomatico “patriarcato” che discriminerebbe le donne in ogni ambito, mentre al contempo la politica fa calare dall’alto provvedimenti che avvantaggiano il cosiddetto “gentil sesso” in ogni ambito: si pensi alle quote rosa, agli sgravi per le assunzioni, alle pene minori a parità di reato, ai vantaggi di cui godono le ex mogli che immiseriscono gli ex mariti in caso di divorzio, all’aggravante di pena quando la vittima di un reato è di sesso femminile (ormai conosciamo a menadito la retorica sul cosiddetto “femminicidio” che ci propinano da anni), o a proposte di legge come la Zan-Scalfarotto che addirittura vorrebbero silenziare qualsiasi voce maschile dissenziente istituendo finanche il fumoso “reato” di “misoginia”. Di conseguenza, tutto questo non fa altro che spostare la finestra di Overton del dibattito pubblico sempre più in campo liberal-progressista e para-femminista, con la cosiddetta “destra” ormai allineata in tutto con i rad-lib per quanto riguarda la “questione femminile”.
La capitalizzazione del potere sessuale.
Ovviamente con queste premesse le femministe, forti dell’appoggio pressoché totale di politici, mass-media e corporations (e non c’è da stupirsi che i poteri economici e finanziari si schierino compattamente dalla loro parte, visto che le donne costituiscono l’80% dei consumatori pur essendo solo il 50% della popolazione a livello globale) possono ormai permettersi di gettare la maschera di “paladine della parità dei sessi” per iniziare a svelare il loro vero volto di fautrici del suprematismo femminile. Da segnalare ad esempio che da poco è stato pubblicato anche in Italia (da Garzanti) il celebre libro “Odio gli uomini” della femminista francese Pauline Harmange, che la propaganda del mainstream ha fatto divenire un successo editoriale tradotto in ben diciassette lingue. Ma altri due libri ancor più interessanti dal punto di vista di chi si interessa alla “questione incel” sono sicuramente “La metà migliore” del canadese Sharon Moalem, recentemente pubblicato in Italia da UTET, e “Female Choice” di Meike Stoverock, al momento disponibile solo in lingua tedesca (ma chissà se qualche casa editrice italiana “woke” lo pubblicherà prima o poi anche nel nostro Paese). Soprattutto in quest’ultimo titolo l’autrice conferma in pieno le riflessioni degli incel sulle aspettative estetiche nutrite dalle donne per i loro partner, affermando come queste ultime ritengano genuinamente attraente solo il 20% degli uomini, ma sottolineando al contempo che questa selettività sarebbe “giusta” e “naturale”, che la quasi totalità dei maschi sarebbe costituita da “scarti genetici”, e che tale selettività troverebbe il suo fondamento nella biologia, esprimendo il massimo del suo potenziale nello stato di natura.
L’autrice aggiunge poi che il controllo dell’accesso al sesso esercitato dalle donne in tutti i gruppi umani precedenti al tardo Neolitico sarebbe stato terminato dagli uomini con l’istituzione delle “società patriarcali”, avvenuta tramite l’abbandono del nomadismo, l’insediamento di gruppi stanziali e la diffusione dell’agricoltura. Viene poi affermata più volte la presunta superiorità genetica (non semplicemente biologica) della donna, e viene ribadito che gli uomini più attraenti sarebbero i “migliori”, perché avrebbero al contempo più salute, più intelligenza, più forza e più talenti di ogni tipo, e che quindi sin dall’alba dei tempi sarebbero stati selezionati dalle donne perché il loro “valore estetico” prefigurava già tutte le altre loro presunte qualità, come se fossero tronisti di una puntata di “Uomini e donne” praticamente. Secondo la visione dell’autrice quindi, se questa è sempre stata la storia dell’uomo (prima dell’imposizione del “patriarcato”), perché impedire che le donne capitalizzino il proprio potere sessuale, che per le femministe sarebbe unicamente il prodotto dello “stato di natura”? E perché tentare di produrre delle riflessioni su questa selettività femminile, se essa è una “legge di natura”? Perché contrastarla e occuparsi piuttosto della sofferenza degli uomini? Tra le tante contraddizioni e incoerenze contenute in questi testi, spicca la convinzione che le donne subirebbero ancora una presunta oppressione maschile, che si manifesterebbe con il divario nei salari, il mancato accesso a ruoli di preminenza in politica e nel mondo del lavoro, e la mancanza dei cosiddetti “diritti riproduttivi”: in tutto (religione, politica ed economia) le autrici vedono un’oppressione subita dalle donne, sebbene fino a poco prima affermassero che le donne sarebbero superiori agli uomini dal punto di vista biologico e genetico, riconoscendone finanche la capacità di trarre vantaggi dai meccanismi di selezione sessuale.
Il volto suprematista e misandrico dell’ideologia del “female empowerment”.
Tornando al problema di questi uomini “arrabbiati” perché vistisi privati di un presunto “privilegio patriarcale” (l’80% della popolazione maschile già menzionato in precedenza), l’autrice di “Female Choice” sostiene che andrebbero rieducati sin dalla più tenera età a rinunciare al sesso, con l’impiego della pornografia come palliativo, mentre sul ricorso alla prostituzione le sue posizioni sono più fumose, in quanto una nutrita corrente del femminismo la vede come sfruttamento della donna e vorrebbe abolirla. Agendo in questa maniera, sempre secondo l’autrice, gli uomini verranno resi “inoffensivi” e le donne potranno finalmente usufruire del loro diritto “naturale” di concedersi esclusivamente al 20% degli uomini, ovvero i più attraenti, che di conseguenza sarebbero anche i più intelligenti, i più talentuosi in ogni campo, eccetera (e per una ragione esclusivamente genetica, si badi bene). A prescindere da tutte le contraddizioni che emergono da tali prese di posizione, c’è anche da sottolineare il fatto che se le proposte finora elencate venissero effettivamente messe in atto una società impostata in questa maniera probabilmente finirebbe per collassare ben presto, in quanto la maggior parte degli uomini non avrebbe il minimo incentivo per contribuire a tirare avanti la baracca. In ogni caso, è comunque interessante come le femministe stiano iniziando a gettare la maschera per rivelare quali siano i loro veri progetti per il futuro, che guarda caso coincidono proprio con quanto gli incel paventano da anni (venendo tacciati di essere “estremisti visionari e radicalizzati”), e che mostrano il volto apertamente suprematista e misandrico dell’ideologia del “female empowerment”.