di Giuseppe Tarantini. Nel 1949 veniva pubblicato a Parigi il saggio di Simone De Beauvoir intitolato “Il secondo sesso”. Scritto e pubblicato durante la guerra, offrì una delle prime prospettive storiche proprie del femminismo, interpretando il passato secondo un paradigma unilaterale, che racconta la storia dell’umanità come un processo di subordinazione della donna all’uomo e promuoveva l’affrancarsi femminile dallo “status minore” in cui era da sempre costretta dall’uomo. Oggi questa narrazione è comunemente accettata dall’opinione pubblica occidentale, innumerevoli sono le autrici rappresentanti del femminismo che l’hanno promossa, insieme alla teoria sociologica del patriarcato. Una teoria che alla fine assume i caratteri della dietrologia complottista, dipingendo il patriarcato come una sorta di massoneria capace di decidere ogni minimo aspetto del mondo sulla base del vantaggio maschile, come nel caso delle dichiarazioni dell’alto ufficiale dell’ONU Antonio Guterres riguardo alle mascherine. Ad oggi è quindi opinione comune che noi uomini tutti si abbia una colpa storica nei confronti delle donne, che il passato ci ha sempre privilegiati e che nel passato noi uomini abbiamo sempre oppresso la donna.
Non sono stati pochi, tuttavia, coloro che hanno saputo portare critiche all’ideologia femminista. Autori come Erin Pizzey, Warren Farrell, Santiago Gascó Altaba e Ida Magli, hanno messo in luce tutti gli elementi che vengono tralasciati dalla letteratura femminista e che invece sono prova di una storia bisessista, ricca non solo di oppressione e sofferenza femminile, ma anche maschile. Tra le tante forme di violenza e oppressione maschile (argomento che la De Beauvoir e tutte le sue colleghe dimenticarono di prendere in esame quando narravano la loro visione della storia) emerge in modo cruento quella delle castrazioni coatte. In un passato che, a detta del femminismo, privilegiava l’uomo e opprimeva la donna, c’era una copiosa realtà di uomini che venivano evirati fin dalla nascita. La pratica è stata presente in diversi periodi e civiltà e venne eseguita per svariate ragioni, che confluivano sempre e comunque in qualche forma di vantaggio o servizio per le classi dominanti, composte, ricordiamo bene, sia da donne che da uomini.
Bambini di famiglie povere castrati e poi venduti.
La testimonianza più antica riguardo a questo fenomeno arriva dall’Asia, per la precisione dalla Cina del III secolo a.C. Lì gli yanrem (yan è traducibile con castrazione e rem con persona) erano utilizzati a corte nel ruolo di servitori. Nell’autobiografia dell’ultimo eunuco di Sun Yaoting (personaggio deceduto nel 1996 e noto appunto per essere stato l’ultimo eunuco della Cina) possiamo leggere una testimonianza molto cruda della pratica di castrazione subita: “Egli levò il coltello, lo infilò nel braciere ruotandolo un paio di volte, infine lo strofinò con uno straccio e si avvicinò a Liujin. […] Afferrò con forza il manico del coltello e praticò una violenta incisione verso i testicoli di Liujin. C’era sangue dappertutto. Dalla ferita uscì a fiumi qualcosa di rosso, di bianco, di giallo. […] Al momento della castrazione occorre infilare immediatamente una piuma d’oca nell’uretra, altrimenti c’è il rischio che si chiuda.[…] Liujin dormì tre giorni e tre notti, aveva il corpo tutto infuocato e la febbre alta non scendeva. […] Soltanto quando, mentre era ancora svenuto, finalmente l’urina fuoriuscì, tutti tirarono un sospiro di sollievo”.
La pratica orientale si diffuse in occidente già con i Romani. Nel 204 a.C. venne importato il culto di Cibele dalla dea ittita Kubaba, e anche se a un cittadino romano era proibito diventare Gallo (ossia sacerdote eunuco di Cibele), la castrazione veniva comunque eseguita, sebbene venisse praticata solo agli schiavi e ai non romani. L’impiego più famoso che si è fatto dei castrati in occidente è stato però quello canoro. L’utilizzo degli eunuchi nel teatro d’opera risale all’inizio dell’impero Bizantino: nel V secolo d.C. i bambini venivano evirati per poter mantenere una voce non inficiata dal testosterone e dagli effetti dello sviluppo sessuale. In Italia apparvero nel XV secolo, arrivando con ogni probabilità dalle corti spagnole, e la moda crebbe fino a raggiungere, nel XVIII secolo d.C., una media di 4000 bambini operati ogni anno. I giovani eunuchi venivano evirati dalle famiglie povere nella speranza di poterli far diventare dei cantanti famosi. Una volta castrati, li vendevano agli imprenditori che avrebbero poi provveduto al mantenimento e all’istruzione musicale del giovane. La scuola durava intorno ai sei sette anni e prevedeva una formazione particolarmente intensa per poter lanciare il più presto possibile questi investimenti umani nello spettacolo.
L’oppressione delle classi dominanti su quelle subordinate.
Le candide voci degli eunuchi erano ottimali per interpretare l’opera italiana, che fu prediletta in tutta Europa fino alla fine del Settecento, ma con le nuove tendenze musicali le voci femminili cominciarono a soppiantare quelle dei castrati verso l’inizio dell’800. Infine, nel 1861 fu promulgata, con l’unità d’Italia, una legge che impediva la castrazione infantile. L’ultimo di questa tradizione di cantanti fu Alessandro Moreschi, conosciuto con l’appellativo de “l’angelo di Roma”, che cantò nel coro della Cappella Sistina fino al 1913 e morì nel 1922. Ad oggi la pratica della castrazione rimane ancora viva in alcuni posti del mondo, uno tra questi è l’India. La giornalista americana Zia Jaffrey, nel suo libro “The invisibles: A tale of the eunuchs in India” (Gli invisibili: Una storia sugli eunuchi dell’india), racconta come, nonostante la legge indiana vieti la castrazione, gli adepti della dea Bauchara Mata, detti hijras (se ne contano circa un milione), siano ancora soggetti a questa pratica. Il culto impone ai propri seguaci di eliminare qualsiasi traccia di mascolinità. La Jaffrey racconta inoltre di aver documentato a Goa l’esistenza di un traffico segreto di schiavi eunuchi destinati al Medio Oriente per servire negli harem.
Probabilmente, se si parlasse con una femminista, ci verrebbe detto che anche questo fenomeno è colpa del “patriarcato”, che la loro lotta è servita anche a questo genere di violenze e che quindi niente darebbe prova di un passato che redistribuisce le responsabilità delle oppressioni su entrambi generi. Sorvolando sulla quantità di regine che sono esistite anche solo in Europa tra il XVII e il XIX secolo (periodo di grande successo per i cantori eunuchi), non basterebbe pensare a come il fenomeno dei cantanti evirati sia servito ad allietare non tanto un genere privilegiato quanto invece una classe privilegiata? Forse che i teatri d’opera erano frequentati solo da spettatori maschili? Forse che, per paradosso, i castrati non rappresentavano veri e propri sex-symbol ad agio dei sogni proibiti delle nobildonne? Le testimonianze raccontate in questo articolo sugli eunuchi sono solo una piccola e più appariscente superficie. Esistono tanti altri posti e tanti altri periodi nei quali questa realtà è esistita. Ciò che però va compreso è quanto il mondo del passato fosse violento e opprimente per entrambi i sessi, in quanto l’oppressione è sempre arrivata dalle classi dominanti ed è stata perpetuata su quelle subordinate. Cercare di dare la colpa a un solo genere risulterà sempre poco credibile, una falsificazione che presto o tardi giungerà al suo capolinea.