Negli ultimi decenni abbiamo assistito alla formazione di Governi che non erano composti esattamente dalle migliori intelligenze che la società italiana avrebbe potuto esprimere. Del resto, se il Paese si trova in una situazione disastrata, in parte lo si deve anche a Ministri non sempre all’altezza della situazione. Non è certo il caso del Ministro Fabiana Dadone, a cui va il rispetto istituzionale che si deve ad un membro del Governo. Ma non si possono non rilevare alcuni suoi passaggi che hanno fatto discutere. Da semplice militante, Dadone presentò nel luglio 2012 un ricorso al TAR che costrinse l’amministrazione comunale di Mondovì a cambiare la squadra della giunta comunale, facendo aggiungere una donna per il rispetto delle “quote rosa”. Un imprinting niente male, insomma, proprio all’insegna della meritocrazia.
Nel settembre del 2019, è entrata a far parte del secondo Governo Conte come Ministro per la Pubblica Amministrazione. In tale ruolo, non pare esservi stata alcuna “nota degna di rilievo”, tale da essere ricordata per importanza e avente come obiettivo un apprezzabile miglioramento della macchina burocratica. Nel febbraio del 2021, Fabiana Dadone ha giurato come Ministro per le politiche giovanili del Governo Draghi. Ed è in occasione dell’otto marzo, Giornata internazionale delle donne, che il Ministro si fa ritrarre con la maglietta dei Nirvana, jeans e scarpe rosse con tacchi elegantemente posate sulla scrivania ministeriale. «Sulla parità di genere c’è ancora molta strada da fare», così chiosava il Ministro nella giornata dedicata al gentil sesso. La sua immagine trasgressiva probabilmente rappresentava il suo contributo al raggiungimento di quella parità asserita come ancora mancante, e la storia terrà sicuramente memoria di un gesto di così potente e femminea rottura degli schemi.
Si rimpiangono i personaggi d’altri tempi.
Dadone, in qualità di Ministro per le politiche giovanili, ha la delega al contrasto alla droga e, in occasione dell’assoluzione di Walter De Benedetto, accusato di avere allestito illegalmente una serra di marijuana (poi assolto perché la sostanza era usata a scopi terapeutici), dichiarava sui social: «Giorno storico. Questa sentenza è naturale, ovvia, scontata. Posso non assumere sostanze ed essere a favore della legalizzazione della marijuana». Insomma il Ministro con delega alla lotta contro la droga definisce “storica” la sentenza che assolve un coltivatore di marijuana. Ma non si tratta di incoerenza o di scarsa conformità istituzionale, ben intesi: è il women empowerment che implica la legittimità di dire tutto e il contrario di tutto (comprese le leggi).
Infine, sul caso del figlio di Beppe Grillo, garante del Movimento di cui fa parte lo stesso Ministro, le dichiarazioni di Fabiana Dadone, riprese dai social e dalla carta stampata, sono state le seguenti: «Credo sia davvero meschino entrare nel merito di una questione che riguarda privati cittadini, che non conosciamo e su cui sta lavorando la magistratura. È meschino rendere spettacolo una vicenda che evidentemente fa soffrire le molte famiglie coinvolte». Forse da una empowered woman, una donna di potere, che come tale dovrebbe segnare una linea etica superiore a quella maschile, ci si poteva aspettare qualcosa di più e di meglio, ma evidentemente il collante applicato alla poltrona fa lo stesso effetto sui posteriori maschili e femminili. È un vero collante paritario.