La Guida per la formazione tecnica e politica per le donne, pubblicata dal Comune di Torino e finanziata dall’UE, elenca (a pag. 35) alcune delle doglianze delle donne, sollevate nei noti quaderni delle lamentele nel 1789 durante la Rivoluzione francese: «Altro aspetto fondamentale delle proteste era relativo alla vita matrimoniale: diritti matrimoniali e rispetto per i figli, così come una maggiore protezione degli interessi personali ed economici nel matrimonio e nella famiglia. Richiedevano la proibizione della prostituzione». In linea con le femministe della prima ondata (XIX secolo) – e in contrasto con le femministe della seconda ondata (seconda metà del XX secolo), che auspicavano la distruzione della famiglia –, le donne francesi del XVIII secolo richiedevano la difesa della famiglia, cioè richiedevano l’impegno dell’uomo a mantenere la famiglia, tramite «la proibizione della prostituzione». Nella Storia le donne non hanno mai invocato la proibizione della prostituzione in nome di un’imprecisata dignità delle donne, come avviene oggigiorno, ma per liberare gli uomini da perniciose distrazioni che potessero deviare il loro interesse e il frutto del loro lavoro a vantaggio di qualcun altra che non fosse la compagna e la prole. Nella Storia, più le società mettevano in pratica costumi sessualmente dissoluti, mediante una diffusa prostituzione o dei rapporti adulterini con donne sposate, più diminuivano il numero di matrimoni. Se l’uomo poteva accedere a rapporti sessuali senza necessità di sposarsi, a prezzi modici nella prostituzione oppure mediante il corteggiamento di dame sposate, che “regalavano” il sesso in cambio di nulla, l’interesse dell’uomo a formare una famiglia, vincolato in un rapporto monogamico, crollava improvvisamente. Nessuno compra la mucca se può avere latte gratis, i più acerrimi nemici della prostituzione e dell’adulterio femminile sono sempre state le altre donne, le donne sposate che vedevano messo a repentaglio il loro mantenimento oppure le giovani donne che erano in cerca di un marito: «richiedevano la proibizione della prostituzione».
Le femministe della prima ondata (XIX secolo) furono abolizioniste, per i summenzionati motivi: salvaguardia della famiglia e della morale pubblica. Con la seconda ondata e la rivoluzione sessuale arrivò la spinta verso la liberalizzazione della prostituzione, ma non durò molto. Oggigiorno le femministe si trovano divise tra abolizioniste e regolazioniste, anche se la posizione dominante è quella delle prime. La disputa ha provocato nel movimento un’importante frattura. Se le seconde vogliono regolare l’attività, che definiscono come un “lavoro sessuale”, le abolizioniste adducono diversi argomenti (che nulla hanno a che fare con la famiglia, come una volta) a sostegno della proibizione : «La prostituzione non è un mestiere femminile ma un privilegio maschile» oppure «la prostituzione è nemica della liberazione sessuale e non è mai una questione di libera scelta poiché si tratta di una costrizione dettata da esigenze economiche consistente in un atto consumato tra due persone delle quali soltanto una, il compratore, rimane soddisfatto, mentre il desiderio assente della prostituta, il cui corpo è tragicamente ridotto a nient’altro che una merce, viene sostituito da un pagamento. Una violenza a pagamento». In breve, due argomenti principali, la prostituzione è un esercizio coercitivo e un’attività che degrada la dignità delle donne.
Pro-choice, ma non per prostituirsi.
Nell’immaginario di queste persone le prostitute sarebbero sempre vittime, soggette alla tratta delle donne o costrette da condizioni economiche disagiate, incuranti dalle numerose interviste e/o manifestazioni pubbliche (es., 1, 2 o 3) di prostitute entusiaste e orgogliose di praticare il mestiere più vecchio del mondo: «Amo il mio lavoro, lo faccio volentieri, mi piace», «dov’è l’umiliazione? Che sciocchezza colossale. Umiliato è chi chiede o chi dà? Io sono più forte di loro, di tutti quanti loro messi insieme. Io li posso sopportare, disinnescare, placare, eccitare. Io gli servo, loro mi pagano. La padrona sono io». Un’affermazione difficile da smentire, se durante il lockdown per Covid c’erano uomini, come è successo, che nella loro autocertificazione scrivevano che dovevano raggiungere le escort, una necessità. Evidentemente nessuno nega l’esistenza di prostitute vittime di tratta e soggette a condizioni coercitive, così come esiste lo sfruttamento o persino la schiavitù nel mondo del lavoro. Ma si tratta di combattere queste anomalie che agiscono nell’illegalità, a nessuno viene in mente di proibire il lavoro perché esiste lo sfruttamento. Nel 2010 l’ONU ha stimato che in Europa una prostituta su sette è vittima di tratta, ergo sei su sette lo fanno in maniera libera e volontaria. Quindi l’argomento che sostiene che la prostituzione è un esercizio coercitivo, è falso.
Rimane dunque il rimprovero morale: la prostituzione oggettivizza il corpo delle donne. Ciò vuole dire che alle donne non deve essere permesso di farlo e gli uomini devono essere demonizzati e perseguiti penalmente, se ne approfittano. «Non esiste, io credo, la libertà di proporre l’umiliazione di una donna come un gioco. Neppure se è la donna stessa a volerlo giocare», sostiene il Huffington Post a seguito delle polemiche per la festa degli uomini in un paesino del Friuli che promuove la gara detta “Delle mangiatrici di banane”. Stesso argomento della prostituzione. In pratica, grazie al femminismo, la donna è libera di disporre del proprio corpo, di andare in giro nuda, di essere promiscua e di mettersi in vetrina sulle piattaforme in cambio di denaro. Può usare sé stessa come incubatrice di figli da cedere a terzi dietro pagamento o abortire a volontà. Nessuno può dirle cosa può e cosa non può fare, nessuno la può giudicare perché la donna ha il pieno potere di disporre come ritiene di sé stessa. Risulta molto significativo il nome che il femminismo ha scelto per le donne che sono favorevoli all’aborto libero: pro-choice (libera scelta). Dunque per le summenzionate attività le femministe sono pro-choice. Ma il movimento è nettamente non pro-choice su altre scelte, sulla scelta di rimanere a casa a crescere i figli e a fare la casalinga, sulla realizzazione di porno, sugli interventi estetici (ad es. aumento del seno) e, appunto, sulla prostituzione. In questi casi, secondo il femminismo, la donna sarebbe inconsapevole, vittima del patriarcato, incapace di discernere e di capire cosa vada bene per sé stessa. Si tratterebbe di scelte non volontarie o costrette. Il motivo per il quale le donne sarebbero condizionate socialmente quando scelgono di fare le prostitute e non lo sarebbero quando decidono di abortire, dopo più di mezzo secolo, rimane ancora un mistero femminista senza risposta.
La prostituta è più onesta.
Alcune delle normative penali europee, come la francese o la svedese, che perseguono penalmente la richiesta e l’acquisto da parte degli uomini di servizi di prostituzione, mentre non rappresenta alcun reato l’offerta e la vendita da parte delle donne, trovano il suo fondamento nelle argomentazioni summenzionate: l’uomo è moralmente biasimevole in quanto degrada la condizione della donna (deve quindi essere perseguito), la donna è una vittima inconsapevole e/o forzata. Semmai, dopo aver usufruito del servizio di una prostituta, vi viene qualche rimorso e decidete di un pagare per non commettere un reato, non farlo: «Non pagare la prostituta è stupro». (Se proprio dovete essere inadempiente, siate inadempiente su qualsiasi altro altro accordo commerciale, che sarà in qualsiasi caso punito di meno, dalla mancata fornitura di medicinali che mettono a rischio migliaia di vite alla riparazione di una caldaia in inverno, all’estinzione di un debito che può rovinare intere famiglie o portare a chiusure aziendali… stendiamo un velo pietoso sugli accordi matrimoniali). Se invece è la prostituta ad essere inadempiente e a non soddisfare il servizio richiesto, anche in questo caso è meglio per l’uomo non denunciare: «l’uomo che ha denunciato una prostituta per non aver completato il servizio dopo che era stata pagata è stato multato di 800 euro». Sia che sia il cliente inadempiente sia che sia la prostituta, in entrambi i casi è l’uomo che viene punito.
Là dove la prostituzione è un diventato un reato, misteriosamente non è un reato il “matrimonio di convenienza”. In nessun paese femminista è un delitto sposare un uomo per i suoi soldi. Nemmeno la prostituzione di alta gamma è perseguita. Stranamente si perseguita in genere la prostituzione di basso costo. Ne Il secondo sesso, scrive Simone de Beauvoir: «Il matrimonio ha, quale immediato correlativo, la prostituzione. […] Dal punto di vista economico, la sua condizione è analoga a quella della donna sposata. “Tra coloro che si vendono mediante la prostituzione e coloro che si vendono col matrimonio, la differenza consiste unicamente nel prezzo e nella durata del contratto” dice Marro. Per tutte e due l’atto sessuale è un servizio; la seconda è ingaggiata per tutta la vita da un uomo; la prima ha diversi clienti che la pagano volta a volta. Quella ha la protezione di un maschio contro tutti gli altri, questa è difesa da tutti contro l’esclusiva tirannia di uno solo. Nell’un caso e nell’altro, i benefici che esse ricavano dal dono del loro corpo sono limitati dalla concorrenza». Non sarò io a contraddirla. Se mi si passa la provocazione: tra tutte le donne la prostituta è quella più onesta: quando ti dice una tariffa, quella rimane.