«Il Popolo dello Stato di New York, rappresentato al Senato e all’Assemblea, emana quanto segue: 1) La proprietà reale e personale di qualsiasi donna che possa sposarsi in seguito, che era di sua proprietà al momento del matrimonio così come le relative rendite e profitti, non sarà soggetta alla disposizione del marito, né dovrà rispondere per i suoi debiti, e continuerà a essere la sua proprietà, unica e separata, come se fosse una donna nubile. 2) La proprietà reale e personale, così come le rendite e i relativi profitti, di qualsiasi donna ora sposata non sarà soggetta alla disposizione del marito; ma sarà la sua proprietà, unica e separata, come se fosse una donna nubile, salvo nella misura in cui questa possa essere responsabile di debiti del marito precedentemente contratti. 3) Sarà lecito ad ogni donna sposata ricevere, mediante donazione, concessione o legato, da persona diversa dal marito, e detenere a suo esclusivo e separato uso, come se fosse una donna nubile, beni reali e personali, e le rendite, emissioni e profitti degli stessi, e tutto ciò non sarà soggetto alla disposizione del marito, né sarà responsabile dei suoi debiti. 4) Tutti i contratti stipulati tra persone in previsione del matrimonio rimarranno in pieno vigore dopo la celebrazione di tale matrimonio. Approvato il 7 aprile 1848». Ecco il testo del Married Woman’s Property Act, legislazione sul diritto di proprietà delle donne sposate, emanato dallo Stato di New York nel 1848. La legge stabilisce una tutela effettiva della proprietà delle donne sposate.
Il Married Woman’s Property Act dello Stato di New York non fu il primo emanato negli Stati Uniti. Nel 1839 lo Stato del Mississippi diede inizio alla promulgazione di questo tipo di legislazione. Il Married Women’s Property Act del Mississippi consentiva alle donne sposate di possedere proprietà. Qualsiasi tentativo da parte del marito di riscuotere debiti non poteva raggiungere la proprietà che solo lei possedeva. La donna sposata aveva il diritto di rifiutarsi di vendere la proprietà, ma non poteva gestirla né venderla senza il consenso del marito. Anche i genitori che donavano proprietà a una figlia al momento del matrimonio godevano della protezione fornita dalla legge dalla cattiva gestione degli affari di famiglia da parte del genero. Tra i beni tutelati dalla legge che una donna sposata poteva possedere e proteggere dai creditori del marito erano inclusi gli schiavi (è da notare la flagrante contraddizione che comportano le società schiaviste per la teoria femminista, lo schiavismo rappresenterebbe un sistema patriarcale atipico dove alcune donne, «schiave» secondo la narrazione femminista, possono decidere sulla libertà, la vita e la morte di alcuni uomini, «privilegiati» secondo la stessa narrazione). Lo Stato di Maryland promulgò una legislazione simile nel 1843 e l’Arkansas nel 1846.
Femministe poco aggiornate?
Il Texas approvò la sua legge nel 1840. La legislazione consentiva a una donna sposata di stipulare determinati contratti, redigere un testamento e chiedere il divorzio. Non solo poteva porre il veto alla vendita della sua proprietà, ma poteva porre il veto alla vendita della fattoria di famiglia anche se non ne era la proprietaria. In teoria i legislatori volevano proteggere la moglie e i figli dai mariti irresponsabili – stesso concetto che, ribaltato, dovrebbe valere quindi per il divieto alle donne sposate di vendere la loro proprietà senza il consenso del marito, cioè per proteggersi da mogli irresponsabili. A conti fatti, le donne sposate texane avevano lo stesso potere sui mariti che i mariti in altri stati avevano sulle mogli. Tra gli stati del Midwest che promulgarono questo tipo di legislazione c’era il Michigan nel 1844, che copriva la proprietà ottenuta da una donna prima o durante il suo matrimonio. Statuti simili furono approvati durante i due anni successivi in Ohio, Indiana e Iowa. Nel 1845, fu il turno dello Stato di Pennsylvania. Sempre nel 1845, lo Stato di New York concesse alla donna sposata il diritto di possedere e di trattenere tutti i guadagni che derivassero da «un brevetto per la propria invenzione», «come se fosse una donna nubile». Nel 1848 fu allargata la protezione su tutta la proprietà, legislazione summenzionata.
Eppure la Dichiarazione di Seneca Falls, malgrado queste legislazioni, nel 1848 proclama: «Lui le ha sottratto ogni diritto di proprietà, persino sui salari che essa guadagna». Evidentemente questa lagnanza è assolutamente falsa se riferita alle donne nubili e alle vedove. Circa lungo tutta la Storia dell’umanità, e pressoché ovunque, le donne nubili (e le vedove) hanno goduto di queste prerogative. Tanto è vero che i testi legislativi sopraccitati non fanno altro che richiamarsi alla figura della donna nubile per spiegare i diritti che stanno acquisendo le donne sposate. Il testo della Dichiarazione di Seneca Falls non è chiaro, non specifica a quali donne sia riferita la lagnanza, se a tutte – nubili, sposate, vedove e di qualsiasi altro stato sociale –, come la maggior parte delle lagnanze, o alle sole donne sposate. Concediamo per un momento che questa lagnanza riguardi soltanto le donne sposate, in quanto la lagnanza è elencata dopo alcune altre che menzionano esplicitamente le donne sposate, ma anche in questo caso si tratta di un’asserzione completamente falsa. Negli Stati Uniti la prima legislazione che tutela le donne in questo senso è stata emanata nel Mississippi nel 1839, cioè 9 anni prima della Dichiarazione. Successivamente saranno emanate tante altre lungo tutta la geografia del paese.
Bugie anche sul voto.
La questione non è di poco conto, assume un’importanza decisiva al momento di valutare l’attendibilità o meno della Dichiarazione, cioè della narrazione che viene raccontata, perché questa lagnanza dimostra inappellabilmente che gli autori stanno raccontando balle, stanno mentendo deliberatamente e con piena coscienza. Prendiamo in esame un’altra lagnanza: «Lui non le ha mai permesso di esercitare il suo inalienabile diritto al voto». Senza alcun contesto né temporale né geografico, la lagnanza risulta di nuovo assolutamente falsa. Qui la parola chiave è «mai». Nel Medioevo le donne potevano votare nelle assemblee cittadine e in quelle dei comuni rurali. In Francia nel Medioevo le donne partecipavano alle riunioni più importanti per l’elezione dei deputati agli Stati Generali. Per secoli in Inghilterra le donne hanno seduto in parlamento e più tardi, sotto gli Stuart, le donne dell’aristocrazia detenevano il diritto di scegliere i candidati al parlamento. Per assurdo le donne inglesi, che erano escluse dal diritto di voto nel proprio paese, sceglievano come azioniste della compagnia “East India Company”, che fino al 1857 governò l’India, un continente con milioni di persone, i membri della direzione della compagnia.
Nel Seicento nei Paesi Bassi, nella regione di Frisia, le donne proprietarie terrieri potevano votare, e lo stesso avvenne durante l’Epoca della libertà (1718-1172) in Svezia. Senza andare lontano, in Lombardia, che era sotto dominazione austriaca, le donne benestanti e amministratrici dei loro beni potevano esprimere una loro preferenza elettorale a livello locale, e nel Granducato di Toscana (dal 1569 al 1859) e in Veneto le donne partecipavano alle elezioni di politica locale, anche se non potevano essere elette, al contrario di quello che succedeva in Lombardia. Per quanto riguarda la situazione degli Stati Uniti, culla della Dichiarazione di Seneca Falls, quando l’America era una colonia della Gran Bretagna, le donne potevano votare, in modo limitato, solo in quanto proprietarie. Ottenuta l’indipendenza, nel 1790 lo Stato di New Jersey, primo e unico stato, ratifica il voto femminile, addirittura esplicitamente nella propria Costituzione, dove include le parole “he or she” (lui o lei), misura in vigore fino alla modifica del 1807. Lungo la Storia le donne sì hanno potuto esercitare il diritto di voto, limitatamente, e contestualizzato al luogo e all’epoca storica (tra l’altro, come è successo per gli uomini). Dunque la lagnanza generica, «mai», è falsa. Sarebbe come sostenere genericamente che le donne non abbiano mai governato perché è esistita la Legge salica, malgrado nella Storia esistano molte sovrane che sì l’hanno fatto, cioè senza contestualizzare l’epoca e/o il luogo.
Emozioni al posto dei fatti.
Volendo essere molto generosi, potremmo ipotizzare che queste donne, che così denunciano la «condizione universale delle donne» per quanto riguarda il voto femminile, ma anche per quanto riguarda l’istruzione secondaria o l’indipendenza delle donne, analizzati nell’intervento precedente, fossero delle ignoranti. Potremmo ipotizzare – che è molto ipotizzabile! – che non conoscono nemmeno la storia né la situazione reale del loro paese, gli Stati Uniti, e che quindi queste lagnanze, anche se false, sono state espresse in buona fede. Ma per quanto riguarda l’argomento sul diritto di proprietà e sul guadagno delle donne sposate, la questione è diversa. Sappiamo che queste donne erano istruite e politicamente impegnate. Loro si muovevano in ambienti politici e sollevavano istanze politiche, come è la stessa Dichiarazione. È impossibile che loro non fossero a conoscenza delle legislazioni che venivano emanate e tutelavano la proprietà delle donne sposate nei diversi stati degli Stati Uniti. Persino nello stesso Stato dove ha luogo la Convenzione di Seneca Falls! Il Married Woman’s Property Act dello Stato di New York fu approvato il 7 aprile 1848, la Convenzione di Seneca Falls, nello stesso Stato di New York, ebbe luogo il 19/20 luglio 1848, tre mesi dopo. Queste donne dovevano per forza sapere di mentire! In questo caso è impossibile concedere il beneficio del dubbio. È impossibile che queste donne non fossero informate dei cambiementi normativi che erano avvenuti nel proprio stato. Per dimostrare al mondo quanto le donne fossero vittime, «schiave», per colpa degli uomini, queste donne hanno preferito esagerare, o semplicemente mentire.
Il seme dell’esagerazione e della bugia ha messo radici con successo nel movimento femminista. Vengono pubblicizzati di continuo dati assurdi: il 70% dei poveri sono donne, le donne guadagnano il 20% in meno per lo stesso lavoro, la violenza maschile è la prima causa di morte delle donne, 1 ogni 4/5 studentesse nelle università americane è stata stuprata o ha subito una violenza sessuale, e così via. Da quando il femminismo italico ha deciso di pubblicare le liste di vittime di “femminicidio”, non ci è stato un anno che tra queste vittime non saltino fuori molti casi che nulla hanno a che fare con questa violenza, persino donne uccise da altre donne, uomini uccise da donne… Bugie che richiedono uno snervante lavoro di ricerca e di smentita realizzato con fatica da questo e da altri siti che si occupano della questione maschile. Il femminismo preferisce smuovere la società con l’emozione dell’esagerazione e della bugia che convincerla razionalmente con la realtà. Un modus operandi insito già nell’ideologia femminista dalla prima ora. Le autrici della Dichiarazione di Seneca Falls, femministe della prima ondata, hanno mentito deliberatamente, incuranti delle conseguenze. Oggi queste bugiarde, queste imbroglione, queste abbindolatrici, queste truffatrici, queste ingannatrici, queste balliste, queste mentitrici, queste ciarlatane, queste femministe illustri della prima ondata, godono del rispetto e del riconoscimento degli storici e delle istituzioni, e a loro onore si alzano statue e si aprono musei.