L’iniziativa argentina di abolire dal loro codice penale il reato di “femminicidio”, improvvidamente inseritovi anni fa, ha scatenato molte discussioni in Italia, ovviamente politicizzandosi e dunque volgarizzandosi. Cioè si è passati immediatamente da una valutazione puramente giuridica, quella argentina basata sul principio di uguaglianza sancito dalla loro (come dalla nostra) Costituzione, a una valutazione puramente ideologica. In quest’ottica non poteva mancare una presa di posizione della Sen. Valeria Valente, ex presidente della Commissione Parlamentare sul Femminicidio. Sul sito dei senatori del Partito Democratico (sì, hanno pure un sito…), di recente ha pubblicato un intervento emblematico di come una questione di diritto possa essere squalificata in una questione di semplice e cieca ideologia.
«Il punto dirimente», scrive la Senatrice (corsivi nostri d’ora in poi), «è riconoscere (o meno) la violenza contro le donne e il loro assassinio come un fatto sociale caratterizzato da una specifica dinamica riconducibile alla cultura patriarcale, alla sperequazione di potere tra i sessi, alle relazioni fondate sul possesso e sul controllo maschile del corpo e della vita delle donne». Valente ha pienamente ragione in questo, in particolare nei due termini che abbiamo evidenziato. Il punto è proprio quello di essere in grado di riconoscere i fenomeni sociali. Non ci lanceremo qui, per motivi di spazio, a descrivere come, secondo i padri della sociologia moderna, si riconosca un fenomeno sociale. I requisiti sono molti e servono tutti a permettere appunto il riconoscimento dell’esistenza di qualcosa che si manifesta nella società. Ora la domanda è: Valente, che pone (a ragione) la questione come dirimente, presenta prove, fatti o argomenti per soddisfare almeno uno di quei requisiti?
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Naturalmente no. Se lo facesse, allora ci si potrebbe mettere a un tavolo ad analizzare i dati in modo oggettivo. Ma, come detto, qui si tratta di ideologia e dunque non c’è bisogno di dimostrare l’esistenza dei fenomeni, basta asserire con sicumera che esistano e il gioco è fatto. «Nella quasi totalità dei casi», scrive la Senatrice, «gli uomini uccidono le donne proprio per il loro essere donne, ovvero attrici sociali – nella cultura patriarcale in cui ancora viviamo – per definizione sottomesse al potere maschile, tanto nella sfera privata quanto in quella pubblica». Asserzioni, affermazioni, dichiarazioni standalone buttate lì, nient’altro. E quando non bastano si aggiunge il rafforzativo “per definizione”. Come se si trattasse di qualcosa di evidente a tutti. Una tecnica comunicativo-persuasiva abbastanza banale, tipica dei politici, come a dire: “lo vedete anche voi, no?”. Ebbene no. Noi non vediamo nulla di tutto ciò e nemmeno la maggioranza degli italiani lo vede, fatte salve alcune sparute minoranze fanatizzate che, per quanto rumorose, restano minoranze. In un paese a stragrande maggioranza (giustamente) antifascista, resta più evidente la necessità che venga rispettato l’Art.3 della Costituzione, quello sull’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Quell’uguaglianza che altrove nel suo intervento la Senatrice definisce “argomento furbo ma fuorviante” (!!!).
«Se è vero che non tutti gli omicidi di donne sono femminicidi», dice poi, facendo eco a noi de LaFionda.com ma anche al Prefetto Francesco Messina, «questi, commessi per questa ragione (donne uccise in-quanto-donne, ndA), lo sono». Se così anche fosse, però, si tratterebbe di un fenomeno che accade dalle 30 alle 40 volte all’anno. Un po’ pochino per farne un “fenomeno sociale” o ancor più per introdurre un nuovo reato nel Codice Penale, ma tant’è per ideologia si può dire questo ed altro. Compreso che «in un momento come l`attuale, in cui siamo alle prese con un imponente nuovo attacco ai diritti femminili, spesso condotto persino in nome di una presunta ricerca di parità, […] credo che sia giunto il tempo di introdurre anche in Italia il reato di femminicidio». Ma, chiederemmo, in cosa si sostanzia questo imponente attacco ai diritti femminili? Qualcuno ha proposto di togliere il voto passivo o attivo alle donne? Di licenziarle tutte e metterle ai fornelli? Di abolire la legge su aborto e divorzio? Di che realtà parallela sta parlando, la Senatrice? Non lo spiega, di nuovo semplicemente afferma, asserisce, come se si trattasse di qualcosa di scontato, che però scontato non è perché non esiste, come dimostra la drammatica assenza di prove a sostegno, in generale e ancor più nell’intervento della Valente.
L’ex Prefetto Francesco Messina, video del 2023.
A dar fastidio alla Senatrice sono probabilmente le resistenze che la società italiana sta facendo, sotto molte forme, alla trasformazione del clima sociale già saturo di conflitti tra sessi in una specie di clone dell’incubo spagnolo. A irritarla sono i tanti giovani e giovanissimi content creator (diversi dei quali di sesso femminile) che ogni giorno fanno a pezzi con video o articoli le discriminazioni e le ingiustizie che un’applicazione nel mondo reale della vendetta virtuale femminista comporta, in questo sostenuti dalla vecchia guardia antifemminista. A farla parlare di imponente attacco sono i manifesti di Napoli che si azzardano a dire che forse, ogni tanto, anche gli uomini soffrono le violenze femminili. Per non parlare di indagini scientifiche come quella recentemente aperte dal centro antiviolenza Ankyra di Milano, finalizzata appunto a misurare quanti uomini in Italia sono vittime della violenza femminile. Quando queste cose accadono, ideologhe cieche come la Valente strillano: «così si vuole sminuire la violenza contro le donne». Ovviamente è falso, si vuole solo misurare un altro fenomeno, se non che il solo accenno all’esistenza di altre violenze manda ai matti persone così che, a dispetto della realtà osservabile da tutti, vogliono affermare una sorta di monopolio del vittimismo e finiscono per intrappolarsi nella loro stessa retorica.
Una retorica che ha uno scopo sempre presente. Dopo aver ammesso che le modifiche finora fatte al Codice Penale sono già sufficienti per difendere le donne (il riferimento è probabilmente all’orrendo e incostituzionale “Codice Rosso”) e che l’introduzione del reato di femminicidio sarebbe solo un ultimo perfezionamento, la Senatrice non manca infatti di sottolineare come sarebbe molto meglio ora utilizzare «strumenti più adeguati: la prevenzione, la diffusione di una cultura del rispetto della differenza sessuale, e la relativa formazione e specializzazione degli operatori che sono chiamati ad applicare quelle norme». Frase che noi non possiamo fare a meno di leggere come l’immancabile “più soldi ai centri antiviolenza” e “lasciate che femministe e attivisti LGBTQ+ invadano le scuole e indottrinino i vostri figli”. Il che, per noi, è un no-no tassativo, in ogni caso. Ancor più in risposta a un politico che propone di inserire un reato che lei stessa in TV, lo ricordiamo, ammise di non saper definire (vedi video di seguito).
Sen. Valeria Valente, intervistata in TV.