Quando i professionisti dell’informazione inseguono la narrazione dominante rischiano di assomigliare a degli sciacalli. Pompei: una povera ragazza, Grazia Severino, viene trovata in fin di vita e muore subito dopo il trasporto in ospedale. Si scatena immediatamente la frenesia morbosa dei media: assassinata, torturata, stuprata… deve per forza essere un femminicidio. Speculazione tanto vergognosa quanto frettolosa sul cadavere ancora caldo, gli Sherlock Holmes da operetta hanno già la soluzione in tasca: è morta una ragazza quindi è femminicidio. A cosa servono le indagini, i rilievi, le testimonianze dei genitori, l’autopsia? I media hanno capito tutto, bisogna solo trovare il mostro perché è certo che un mostro deve esserci.
Il fidanzato? Uno spasimante respinto? Il padre? Uno studente universitario? Un amico d’infanzia? Un maniaco occasionale? Uno stupratore seriale? Comunque deve essere un uomo che ha sottoposto la povera Grazia a terribili torture prima di violentarla e quindi ucciderla a coltellate. Scrive ilfattovesuviano.it: «(…) la ragazza aveva le caviglie spezzate nel tentativo di sfuggire al suo aggressore, o la conseguenza di torture e segregazione (…) aveva ferite all’addome e alle braccia, con le quali probabilmente ha tentato di ripararsi dalla furia (…) ora è caccia all’aggressore (…)». È solo uno degli articoli che, nella fretta di cercare il mostro da gettare in pasto ai lettori, hanno preso una serie di cantonate colossali. Ilfattovesuviano.it non è l’unica e neanche la peggiore tra le fonti che hanno pestato il merdone: dozzine di grandi e piccole testate si sono accanite sul filone morboso “violentata e uccisa”, c’è persino chi ha scritto che la vittima fosse una ragazzina di 14 anni e chi ha corredato la notizia con un video sui femminicidi rilevati dall’ISTAT (con tutte le gigantesche contraddizioni da noi ampiamente segnalate). Si diceva degli sciacalli…
Sciacalli scatenati, ma non è vero niente.
In effetti è un coro di ululati: accoltellata, assassinata, uccisa, stuprata, violentata. La violenza sessuale compare in tutti gli articoli, c’è anche chi riferisce i particolari dai quali se ne ricava la certezza: liquido seminale e abrasioni nelle parti intime. La prova regina, se prima dell’accoltellamento c’è stata anche una violenza sessuale è ovvio che l’assassino non possa che essere un uomo. Elementare, Watson. Peccato che non sia vero niente. La povera Grazia Severino si è tolta la vita, divenuta per lei un peso troppo grande da sopportare. In serata lastampa.it e altri quotidiani online scrivono che Grazia non aveva mai accettato il suo corpo, tanto da privarsi del cibo fino a diventare anoressica. Un disagio psichico che aveva gettato nella disperazione i genitori poiché la ragazza era in cura da anni da uno psichiatra ma rifiutava di assumere farmaci.
Non è vero che sia stata accoltellata da un mostro: le lesioni sull’addome se le è inferte la stessa Grazia con delle forbici acquistate poco prima di ferirsi e gettarsi dal quarto piano, quindi sono frutto di un prolungato atto di autolesionismo. Non è vero che le fratture alle caviglie dipendano dalle torture subite, sono l’esito della caduta nel vuoto. Non è vero che le ferite sulle braccia testimonino un tentativo della vittima di difendersi dall’aggressore, non c’è stata alcuna aggressione. Non è vero neanche che sia stata violentata, lo esclude il medico legale nominato dalla Procura di Torre Annunziata. Insomma, con estremo rammarico dei solerti allarmisti e sciacalli della prima ora, non c’è un assassino da braccare, non c’è un femminicidio, non c’è una storia morbosa da raccontare. È solo una vicenda tristissima per la povera Grazia che non c’è più, per i genitori che la piangono, per noi tutti che – pur senza conoscerla – apprendiamo la perdita di una giovane e preziosissima vita.
Sono calate le reazioni “a caldo”.
A distanza di poche ore alcune testate devono aver realizzato la figuraccia e hanno provveduto a far sparire gli articoli allarmistici sulla “brutale aggressione”: i link figurano ancora nei Google Alert del mattino ma le pagine risultano non più disponibili. Va rilevata una sostanziale inversione di tendenza: fino allo scorso anno a twittare febbrilmente “femminicidio, femminicidio” lanciandosi su qualsiasi notizia di decessi femminili erano certe persone che ora, prudentemente, tacciono. Delitti con moventi economici, zie fatte uccidere dalle nipoti, madri uccise da figlie e figlie uccise da madri hanno registrato accorate dichiarazioni di parlamentari che sentivano l’irrefrenabile bisogno di alimentare l’emergenza femminicidio prima ancora di sapere cosa fosse realmente accaduto. È morta una donna quindi deve esserci una colpa da addossare a un uomo, meglio se all’intero genere maschile. E partiva il solito repertorio: emergenza sociale, servono fondi, servono più centri antiviolenza, servono leggi più severe e tutto il resto.
Ne abbiamo scritto più volte, chiedendoci se le accalorate sostenitrici del femminicidio ad ogni costo si sarebbero scusate per aver sparato proclami immotivati, cosa che ovviamente non hanno mai fatto. Non vogliamo quindi autoassegnarci la colpa (o il merito?) di tale retromarcia, probabilmente le figuracce rimediate in giro per il web sono state notate anche dall’entourage delle parlamentari barricadere alle quali qualcuno ha consigliato maggior prudenza prima di esporsi. Magari, per dire, conviene aspettare l’esito delle inchieste. Resta il fatto che sono drasticamente calate le dichiarazioni a caldo delle rappresentanti istituzionali, mentre non si arresta la smania truculenta dei media sciacalli assetati di sangue. E dei social.
Il modo di dare la colpa ad un uomo il web lo trova sempre.
Altro fenomeno rilevato più volte è infatti la criminalizzazione del maschile che imperversa in rete a prescindere dalla realtà dei fatti. Accade sempre. Ricordiamo che dopo la scomparsa di Viviana Parisi e del figlio Gioele fioccavano sui social sospetti e accuse esplicite al marito. Investigatori e criminologi da tastiera erano certi che Daniele Mondello avesse trucidato moglie e figlio, l’unico dubbio era dove li avesse sepolti. Una corrente leggermente più soft era invece sicura che madre e figlio si fossero allontanati per fuggire dal padre-padrone violento e prevaricatore. Un’unica certezza incrollabile circolava online: se Viviana non si trova la colpa è di Daniele che è un assassino o, nella migliore delle ipotesi, un oppressore maschilista.
Accade ogni volta che una donna compie un reato grave, dall’accoltellamento del fidanzato all’avvelenamento del marito, dallo sfregio del convivente all’infanticidio: chissà cosa le avrà fatto lui per spingerla a tanto. Temo quindi che anche in questa occasione, invece di far calare un rispettoso silenzio sulla vicenda, la rete verrà inquinata dalla spasmodica ricerca delle colpe maschili. Ok, la ragazza non è stata violentata né assassinata, ma ci sarà un uomo da incolpare, no? Un fidanzato che non l’ha saputa capire, un fratello che non l’ha saputa sostenere, un padre che non l’ha saputa aiutare, uno psichiatra che non l’ha saputa curare. Comunque il modo di dare la colpa ad un uomo il popolo del web lo trova sempre.