Alla fine, come da previsioni, Amber Heard è stata condannata per aver diffamato l’ex marito Johnny Depp. I fatti sono stranoti, non c’è bisogno di dilungarsi nel ricostruire una vicenda che si è trascinata per molti anni, dopo la separazione dei due. I fatti salienti sono che la donna ha denunciato di essere stata oggetto di violenza domestica da parte di Depp durante la loro relazione. Una denuncia tassativamente solo mediatica, finita sui grandi giornali e sui social ma mai in un tribunale, nella migliore delle tradizioni #MeToo. Le accuse hanno minato profondamente la carriera dell’attore, da quel momento pressoché escluso da Hollywood e dai grandi format. La nomea di abusante, ad esempio, gli ha bruciato una redditizia scrittura per un sequel de “I pirati dei Caraibi” e un ruolo nella saga “Animali fantastici”. Il tutto mentre la ex si godeva i 7 milioni di dollari del divorzio, invece di darli in beneficienza come aveva promesso, e cercava di costruirsi un’improbabile carriera di attrice, prima in quanto moglie di Johhny Depp, poi in quanto sua vittima di violenza domestica. Depp ha provato a difendersi dall’ondata diffamatoria denunciando il tabloid inglese “The Sun”, che lo aveva definito “wife beater” (picchiatore di mogli), ma gli inqualificabili giudici inglesi gli avevano dato torto. Di diverso avviso la giuria del tribunale di Fairfax, in Virginia: l’accusa mediatica mossa dalla Heard era falsa, Depp è stato diffamato dalla donna, che dovrà versargli 15 milioni di dollari di risarcimento. Una sentenza che, parole di Depp affidate al suo profilo Instagram, gli «restituiscono la vita».
Può sembrare semplice commentare questa sentenza per chi come noi da anni rende conto e argomenta come quella delle false accuse femminili contro gli uomini sia una prassi maligna e dilagante, sublimatasi per un certo periodo in un fenomeno di moda con tanto di hashtag. A tutti gli effetti, ciò che c’era da dire l’abbiamo detto ripetutamente e con molte prove a sostegno, rimanendo sostanzialmente del tutto inascoltati. Al di là dell’esultanza per l’esito del processo e per la sospirata riabilitazione di un uomo, incidentalmente anche grande attore, rischiamo di essere noiosamente ripetitivi. La sentenza di Fairfax, infatti, certifica una volta di più il fatto che se il sistema consente ad A di mettere B in grossi guai, di poterlo fare gratuitamente e anzi magari guadagnandoci pure, senza necessità di prove e testimoni, in barba al principio del giusto processo, ebbene il numero di coloro che ne approfitteranno sarà sempre elevatissimo. Questo accade ad ogni latitudine. Negli USA, società superficiale basata su denaro e comunicazione, diventa una moda e un fenomeno mediatico, mentre in paesi culturalmente più strutturati diventa un silente e dilagante stillicidio di processi e persecuzioni giudiziarie attivate da un singolo genere a carico di innocenti dell’altro genere, per qualsivoglia motivo. Gelosia, rivalsa, motivi economici, reputazione, semplice vendetta: le casistiche che innescano la falsa accusa sono infinite, come registriamo regolarmente. E il sistema non fa nulla per contenere il fenomeno. Anzi è precisamente costruito per favorirlo.
Una nebbia di finzione e menzogna.
È noto: nella cultura diffusa così come nelle leggi degli ultimi 10/15 anni, l’uomo è abusante e violento per natura e antonomasia, così come la donna ne è vittima. Ecco allora che attorno a questo postulato si costruiscono convenzioni internazionali, leggi nazionali, prassi giurisprudenziali e disegni di legge che hanno il comune denominatore dell’unidirezionalità. Cioè, senza esplicitarlo per non incorrere in problemi di incostituzionalità, sono orientate a sostenere il genere presunto vittima e a reprimere l’altro, pregiudizialmente considerato colpevole. Essere uomini in occidente, e l’Italia non fa eccezione, è considerato come essere mafiosi o terroristi, cioè parte di un’associazione a delinquere maligna e colpevole a prescindere. Plasmato su queste premesse ideologiche, il sistema mette a disposizione delle donne (e finanzia) un’infinita rete di servizi e facilitazioni affinché possano efficacemente combattere questo cancro della “mafia maschile”. L’esito è che chi può se ne approfitta. Amber Heard l’ha fatto in grande, essendo grande suo marito, salvo schiantarsi infine contro il muro della giuria di Fairfax, ma più in piccolo è possibile rilevare una vera e propria moltitudine di tentativi come il suo. Soltanto in Italia le denunce per “violenza” in tutte le sue accezioni, presentate da donne contro uomini, si aggirano attorno alle 70 mila. La metà di esse viene archiviata per inconsistenza e di quelle che restano soltanto 3.000 circa in media esitano in condanna. Concedendo generosamente un bonus di 5.000 uomini colpevoli che l’hanno fatta franca, significa che in Italia ogni anno ci sono 62.000 Johnny Depp costretti alla sbarra, a svenarsi per spese legali, ad allontanarsi dai figli ma, esattamente come Depp, perfettamente innocenti. Eppure, a sentire la narrazione dominante, l’Italia è un paese misogino popolato da orchi assetati di sangue femminile.
Nella vicenda esemplare dell’attore americano in realtà c’è molto di più del semplice fenomeno delle false accuse, ovvero la negazione dell’immagine maschile come vittima. Per anni, e ancora nel tribunale di Fairfax, è risuonata la frase molto opportunamente registrata da Depp e pronunciata dalla Heard durante un loro litigio: «Di’ al mondo Johnny, dillo al mondo. Io, Johnny Depp, un uomo bianco, sono vittima di violenza domestica, e vedi chi ti crede, vedi quante persone stanno dalla tua parte». In questa tanto arrogante quanto miope frase della donna c’è tutto. Per “tutto” intendiamo la deriva culturale degli ultimi 15/20 anni relativa alle relazioni di genere, ovvero il postulato vittimista di cui abbiamo parlato poc’anzi, ma anche la sua implicazione inversa: se soltanto le donne sono vittime di violenza da parte degli uomini, allora gli uomini non possono mai essere vittime di violenza da parte delle donne. La vicenda Heard/Depp ha dimostrato che non è così, come più in piccolo noi dimostriamo quotidianamente con le nostre raccolte dati. Ma soprattutto ha dimostrato che uno degli assunti del postulato ideologico dominante relativamente alle relazioni tra sessi è che non ci può e non ci deve essere alcuna attenzione né empatia per la sofferenza maschile, in generale e ancor più se provocata da una donna. È forse possibile empatizzare con un mafioso o un terrorista? No. Si tratta, nella concezione manichea e ipersemplificata, di un nemico, del Male, di qualcosa di disumanizzato. Dunque non si dà che un uomo possa essere vittima di violenza da parte di una donna, anche a dispetto dei dati di una realtà che viene negata sfumandola in una nebbia comunicativa impregnata di menzogna e finzione.
La fine di un’epoca.
C’è un fatto curioso aggiuntivo. In concomitanza con la sentenza di condanna contro Amber Heard, in Italia è stato pubblicato un vero e proprio filotto di notizie di assoluzioni di uomini falsamente accusati. Il loro proscioglimento non finirà sui tabloid o in tendenza sui social, sebbene siano la testimonianza di quanti Johnny Depp ci siano al mondo (e in Italia). Due casi in particolare ci sembrano emblematici a sufficienza da poter essere affiancati alla vicenda dell’attore americano. Nel primo si ha una donna colta a tradire il marito che, per salvare la propria reputazione, denuncia falsamente l’amante per stupro. I sostenitori della vittimizzazione femminile all’argomento delle false accuse sono soliti rispondere: «le false accuse non esistono, le donne che accusano non mentono mai, che ragione avrebbero per farlo?». Il caso in questione è una delle tante possibili risposte: la reputazione pubblica di donna irreprensibile, per mantenere la quale non ci si fa remore a devastare la vita di un innocente. Il sistema consente di farlo, perché non approfittarne? Stavolta però il sistema ha fatto cilecca e nel caso in questione non solo l’accusato viene assolto, ma l’accusatrice, fatto straordinario se non miracoloso, viene condannata per calunnia a dieci mesi di reclusione (contro i dieci anni rischiati dal falsamente accusato). Nel secondo fatto di cronaca si dà notizia dell’assoluzione di due giovani accusati da una quindicenne per stupro di gruppo. Il fatto risale al 2015 e sarebbe avvenuto durante l’annuale adunata degli Alpini, quell’anno tenutasi all’Aquila. Proprio quell’adunata che le femministe rappresentanti del transumanesimo disumano ancora quest’anno hanno chiesto di abolire a fronte di innumerevoli denunce di violenze sui social, cui non è seguita alcuna denuncia in Procura. Ovviamente.
Fenomeni del genere, lo ripetiamo ancora una volta, sono dilaganti e sistematici. Le cifre sono da mandare a memoria: solo in Italia 70 mila denunce ogni anno e 3 mila condanne. Altrove, ad esempio in Spagna, le proporzioni sono ancora più spaventose, con però una quota di condannati molto più alta, grazie all’attivismo inquisitorio di personaggi politici totalmente fuori controllo come Irene Montero. E non sorprende che in Italia attendano approvazione proposte di legge costruite apposta per aumentare il numero delle condanne, proprio sul modello spagnolo. L’auspicio è che l’ossessione ideologica e il bisogno di compiacere e alimentare le innumerevoli clientele che prosperano attorno a queste tematiche, una realtà che da tempo abbiamo battezzato Antiviolenza S.p.A., finiscano schiacciate dai dati della realtà e che, tra gli altri, anche quell’immenso impero della menzogna finisca per sbriciolarsi sotto il peso della sua inconsistenza e delle diffuse ingiustizie e sofferenze che crea. La sentenza di Fairfax, per la sua risonanza, per la celebrità dei suoi protagonisti, ma anche per l’evidente vuoto delle reazioni della parte soccombente («ha vinto lui perché è un uomo potente, si rinnova la prassi della colpevolizzazione della donna vittima di violenza», ha avuto la faccia di commentare la Heard dopo la sentenza), potrebbe essere la pietra tombale su questo processo di degrado umano che da troppo tempo avvelena le potenzialità relazionali di uomini e donne. Insieme ad altri fattori di più ampia portata, la vittoria di Johnny Depp potrebbe segnare un’epoca. L’epoca della fine di una delle molte componenti tossiche della grande menzogna occidentale.