Settimana scorsa al Comune di Prato, in mano a una maggioranza di centro-sinistra, si discuteva del centro antiviolenza “La Nara”, che è a rischio chiusura perché non conforme a quanto stabilito dall’accordo Stato-Regioni del 2022 che disciplina per l’appunto i centri antiviolenza. Secondo la normativa, le organizzazioni che li gestiscono, usualmente associazioni (per poter così maneggiare le risorse economiche pubbliche in piena libertà e senza obbligo di rendicontazione), devono conformarsi al requisito minimo di «perseguire statuariamente in modo esclusivo le attività di prevenzione alla violenza di genere». Cioè non si devono occupare di altro. In altre parole, non gli è consentito arraffare fondi pubblici oltre che dalla grande mangiatoia riservata dallo Stato all’industria dell’antiviolenza. Se non che il centro antiviolenza pratese fa parte di una più ampia organizzazione, la Cooperativa sociale (rossa, ça va sans dire) “Alice” che segue moltissimi altri settori. “La Nara” ne rappresenta sostanzialmente il “dipartimento di fund-grabbing” (acchiappafondi) sul capitolo “violenza contro le donne”. In base alla normativa, dunque, o “La Nara” si rende autonoma dalla cooperativa, oppure deve chiudere. Facendo parte del reticolato di interessi di una grossa cooperativa, un suo distacco non le garantirebbe però la sopravvivenza, a dispetto dei milioni di fondi pubblici per il suo settore e soprattutto a dispetto del “dilagante” numero di donne vittime di violenza che dovrebbe garantirgli un’ampia “clientela”. Insomma il rischio chiusura è concreto.
Si è discusso in Consiglio Comunale a Prato su come evitarlo, forse dimenticando che le leggi vanno rispettate e non si deve cercare di aggirarle. Dell’anomalia si è accorto un consigliere di opposizione, Fabio Piccioli, appartenente a una lista civica, che di professione per altro è avvocato, quindi certe storture legate all’industria dell’antiviolenza le conosce sicuramente molto bene. Infatti durante la discussione ha posto domande assolutamente appropriate: 1) quante delle denunce presentate dalle donne al “La Nara” si sono risolte in assoluzione dei presunti maltrattanti? 2) Quante di queste erano state presentate in fase di separazione? 3) Come e quanto “La Nara” e la sua cooperativa sostengono elettoralmente il PD e dintorni? Domande non solo semplicemente legittime, ma sacrosante: l’eventuale risposta sarebbe la chiave di volta per comprendere tutta la stortura sottesa ai centri antiviolenza, con annesse malversazioni e profluvio di false accuse. La prima domanda infatti colpisce la reale utilità dei centri antiviolenza: se nella maggioranza dei casi le donne che si sono rivolte a “La Nara” non sono state riconosciute come vittime da un tribunale, “La Nara” stessa è inutile e forse anche dannosa, perché sollecita l’attivazione di procedimenti infondati che intasano il sistema giudiziario e oscurano le vere vittime. La seconda domanda è ancora più profonda, perché mette in luce la casistica statisticamente più frequente relativa alle false accuse, che da quando esistono i centri antiviolenza sono ormai sistematiche e maggioritarie nelle vicende di separazione coniugale. Insomma, con due-domande-due, Piccioli colpisce e affonda l’intero sistema.
A Prato va in scena il crollo dell’impero.

La terza domanda è molto più politica e, nella sua essenza, è retorica. Quale sia il background su cui si fondano i centri antiviolenza e i loro padrini è ben noto, nonostante i biechi tentativi della destra di conquistare a sé quel tipo di sostegno. Ed è sufficiente una ricerca superficiale per verificare che è così: tra i nomi che compongono il Consiglio di Amministrazione della Cooperativa Alice, casa madre de “La Nara”, si notano la Presidente Gianna Mura, da tempo schierata per il PD, o la Consigliera Nadia Giani, presenza costante negli eventi del PD locale. Scavando con un po’ più in profondità si troverebbero sicuramente molti più tentacoli nell’intero sistema pratese e toscano ma, ripetiamo, questa non è una novità sorprendente, così come non sorprende la presa di posizione del PD locale stesso, che definisce sfacciatamente «insinuazioni agghiaccianti» quelle del Consigliere Piccioli. È normale che costoro provino un brivido freddo lungo la schiena: si stanno moltiplicando lungo tutto lo Stivale i soggetti che non hanno più paura a parlare e a indicare la schifosa nudità del re. Piccioli è uno di loro, nel momento in cui, fatte le sue domande al fulmicotone, chiosa tranquillamente parlando del patriarcato come di un falso storico. Non molto tempo fa, Piccioli sarebbe finito al centro di una shitstorm universale tale da spingerlo sull’orlo delle dimissioni e forse anche oltre. Stavolta invece non accade.
L’unica cosa che accade sono gli strilli isterici dell’opposizione e dell’industria dell’antiviolenza, che in risposta mostrano tutta la loro intrinseca violenza, pochezza e stupidità ideologica: «l’urgenza primaria de La Nara», fa sapere il PD locale, «è ovviamente proteggere le vittime di un sistema di potere che tramite indifferenza e ignoranza continua a mietere vittime. Sì, parliamo di patriarcato e femminicidio. Abbiamo deciso come Pd Prato di dare nuova visibilità ad alcuni di questi interventi perché, oltre a schierarci fermamente dalla parte delle donne, va ribadito che su temi come quelli del Centro antiviolenza La Nara non esiste alcuni tipo di discussione che tenga». Insomma è così, hanno ragione loro, uffa, ecco, e tutti zitti. Nessuna discussione a guai a fare riferimento ai fatti. Si parlava giusto ieri del fascismo intrinseco al femminismo di un altro avamposto di sinistra, un fascismo delle intenzioni, che alla fine risulta macchiettistico. Le cose si sono spinte troppo oltre, tra “Linee Guida” sovversive promosse nelle procure, DdL violentemente anticostituzionali, “Libri bianchi” che fanno sfigurare il “Mein Kampf”, il femminismo è al parossismo tipico degli imperi che crollano. E crollano anche grazie a persone come Piccioli, che contribuiscono a far sì che si schianti contro il solido muro dei fatti e della realtà.