«La pornografia, nella visione femminista, è una forma di sesso forzato, una pratica di politica sessuale, un’istituzione di disuguaglianza di genere. In questa prospettiva, la pornografia non è una fantasia innocua o una falsa rappresentazione corrotta e confusa di una sessualità altrimenti naturale e sana. Assieme allo stupro e alla prostituzione, istituzionalizza la sessualità della supremazia maschile, che fonde l’erotizzazione del dominio e della sottomissione con la costruzione sociale del maschio e della femmina». Questa è l’analisi del pensiero prevalente del femminismo sulla pornografia, parole di Catharine A. MacKinnon in Not A Moral Issue. Come è avvenuto con la prostituzione, all’interno del femminismo si è generata una frattura tra antiporn feminists e pro-porn feminists. All’inizio della seconda ondata femminista, durante la liberazione sessuale, la libera pratica della prostituzione e della pornografia faceva parte delle battaglie da combattere dalle femministe contro la morale sessuofobica della società patriarcale. Nemmeno un decennio più tardi arrivò il contrordine. L’analisi di nuove ideologhe sul sesso, principalmente delle attiviste femministe Catharine A. MacKinnon e Andrea Dworkin, determinarono un cambio radicale nell’approccio del mondo femminista alla pornografia e alla prostituzione. Molto sommariamente, la coercizione sarebbe parte integrante della sessualità maschile, quindi la sessualità non può essere intesa come un qualcosa che uomini e donne condividono in piena uguaglianza, e nemmeno come spazio di comunicazione o di relazioni affettive, ma solo come una forma di sfruttamento. Distinguere tra violenza e sesso (eterosessuale) risulta in tal modo impossibile perché diventano pressoché sinonimi. Questo è diventato il pensiero dominante nell’universo femminista. Da qui la difficoltà odierna a definire il concetto di stupro, la tendenza ad allargare il concetto a qualsiasi rapporto o contatto sessuale, al di là della presenza o meno di violenza fisica, a demonizzare qualsiasi comportamento sessuale maschile e a concedere alla volontà femminile il diritto al ripensamento, anche a posteriori.
In Spagna, alla morte del dittatore Francisco Franco (1975), Juani de Lucía aprì a Barcellona la sala Bagdad, uno dei luoghi di spettacolo erotico più rinomati d’Europa. «Non c’è nessuno che abbia raggiunto i vertici nel settore del porno che non sia passato da qui», si vanta con orgoglio Juani de Lucía, che alcuni ancora la conoscono come “la jefa” (la capo). Una donna. Ricorda, inoltre, segreto di Pulcinella, che nella loro professione le donne guadagnano più degli uomini. Una realtà che è universale e atemporale. Per la realizzazione di Gola profonda, film pornografico del 1972, che ebbe un successo clamoroso inaspettato e cambiò l’industria del porno cinematografico negli Stati Uniti, l’attore nel ruolo di protagonista, Harry Reems, fu pagato 250 dollari, l’attrice protagonista Linda Lovelace, 1.250 dollari. Ma l’asimmetria non finisce qui. Il film subì persecuzione e tentativi di censura. Linda Lovelace divenne un’eroina della libertà. «Non credo nella censura», disse in un’intervista al culmine della sua popolarità. «È qualcosa che ti toglie la libertà e i diritti individuali, la capacità di decidere da solo. Hitler era a favore della censura e guarda cosa è successo». «Non credo che questi film debbano essere regolamentati». Misteriosamente a finire in carcere per la realizzazione del film fu Harry Reems, il protagonista maschio. Arrestato dagli agenti del FBI nel 1974, con l’accusa di cospirazione nel distribuire materiale osceno, fu incarcerato nell’aprile del 1976 insieme ad altri undici individui coinvolti nella realizzazione del film. La sua incarcerazione fu revocata in appello nell’aprile 1977. La difesa di Reems affermò che lui era il primo attore statunitense ad essere perseguito dal governo federale soltanto per essere apparso in un film. La condanna fu revocata quando il presidente Carter arrivò al potere. In poche parole, tra i due, lei fu quella che guadagnò di più e rischiò di meno.
Il difficile lavoro di assumersi le responsabilità.
Grazie al successo di Gola profonda, Linda Lovelace divenne la prima pornostar. Ma la sua vita subì una curiosa piroetta, da pornostar divenne femminista a favore della proibizione del porno. Nel 1980 pubblicò una sua autobiografia dove raccontava di essere stata costretta dal suo compagno sentimentale a iniziare la carriera tra violenze fisiche e minacce. Femministe come Gloria Steinem e Susan Brownmiller ne presero la palla al balzo, sostennero la sua causa a favore della proibizione del porno, l’accompagnarono nei programmi TV e parlarono in suo nome in molte occasioni. «Ogni volta che qualcuno vede questo film, sta vedendo come mi stuprano», dichiarò Linda alla Commissione sulla pornografia del procuratore generale degli Stati Uniti nel 1986. Tuttavia, ciò non impedì a Linda Lovelace di partecipare nel 2000 a un reportage fotografico erotico per una rivista che apriva la copertina con questo titolo: “Sono ancora una femminista e odio ancora il porno, ma…” L’ex pornostar, che all’epoca aveva 51 anni, giustificò il lavoro per questioni economiche: «È tempo di guadagnare per tutta la sofferenza che mi ha procurato questo nome . Lo faccio per i miei figli e nipoti». In breve, come direbbe Groucho Marx, “questi sono i miei principi; se non ti piacciono ne ho degli altri”.
Una parabola biografica molto simile, ma in senso contrario, a quella vissuta da un’altra icona della storia del femminismo, Norma Mc Corvey, persona che sottostava al nome di “Roe” nel famoso processo “Roe vs. Wade” che diede luogo negli USA nel 1973 all’introduzione legale dell’aborto. Norma, in un primo momento fervente pro-abortista, divenne successivamente un’importante attivista antiabortista. Come Lovelace, anche Norma denunciò di essere stata manipolata, questa volta però dalle femministe che l’avevano finanziata e accompagnata lungo tutto il processo. Ora, tenuto conto delle biografie di queste due donne, così rilevanti nella storia del femminismo della seconda ondata, io non vorrei fare di tutta l’erba un fascio, ma sembrerebbe che le donne abbiano un serio problema al momento di assumersi la responsabilità per delle decisioni spinose prese in passato e tendano ad auto-assolversi e ad incolpare qualcun altro delle proprie scelte sbagliate, atteggiamento che, per una coincidenza fortuita del destino, è proprio l’essenza anche della teoria femminista: vittimizzazione e colpevolizzazione.
Tiranneggiare il piacere maschile.
«Perché così tante donne si spogliano per una causa?». Contro l’invasione dell’Ucraina, per sostenere la lotta contro il cancro, per sostenere l’adozione dei cani, contro l’uso della pelliccia, per rivendicare le proprie curve, per rivendicare la menopausa… oggi spogliarsi pubblicamente è uno strumento di lotta, e nel 95% delle volte sono le donne a farlo (anche donne famose). Pure le femministe (basta pensare alle attiviste Femen). Negli anni ’70 e ’80 ci si spogliava per rivendicare se stesse, scelta rivoluzionaria di libertà. Oggi ci si spoglia spesso per una buona causa, un sacrificio per un bene superiore. Ma queste donne, come sono viste dagli uomini? La nudità femminile eccita il desiderio maschile – che non dovrebbe eccitare, non è questo lo scopo –, e contribuisce a perpetuare l’idea del corpo femminile come oggetto. Secondo la storica Mary Beard, i nudi femminili delle opere d’arte che si possono ammirare nei musei sono «un alibi per soddisfare il desiderio maschile». Lo sguardo e il desiderio maschile sul nudo di una donna rendono il suo corpo un bene di consumo, un oggetto. La pornografia attuale non è altro che l’evoluzione storica della nudità femminile. Per le proibizioniste femministe il problema non è il sesso e il presunto rapporto sessuale asimmetrico, ma la soddisfazione che gli uomini traggono dalla visione di queste immagini. Queste femministe esigono la proibizione del porno etero (uomo-donna) per i rischi di emulazione e lo svilimento delle donne da parte degli uomini, ma esigono pure la proibizione di qualsiasi tipo di porno, anche dove lo svilimento e il rischio di emulazione da parte degli uomini è impossibile, come nel porno lesbico o nelle immagini di donne nude senza presenza maschile. Che problema può creare a queste donne il fatto che gli uomini traggano soddisfazione dalla visione di un rapporto lesbico? Loro non sopportano che gli uomini possano trarre soddisfazione liberamente da delle immagini senza il loro permesso, e vogliono costringerli a guardare e a fantasticare secondo la loro volontà. «Perché così tante donne si spogliano?». Perché alle donne piace essere ammirate dagli uomini e agli uomini piace ammirare le donne. Le femministe proibizioniste vogliono stabilire per legge quando gli uomini possono e non possono ammirarle.
Arrivati a questo punto, si fa fatica a capire se la donna che esibisce la propria nudità sulla copertina della rivista sia da celebrare come strumento di lotta e come conquista della libertà femminile di fare del proprio corpo quello che le pare e piace, o se sia da condannare come espressione della cultura della donna-oggetto e sfruttamento del corpo femminile. Secondo una nota leggenda inglese del XI secolo, una nobildonna, Lady Godiva, cavalcò nuda per le vie di Coventry, coperta soltanto dai suoi lunghi capelli, per ottenere la soppressione di un tributo imposto da suo marito ai propri sudditi. Prima della cavalcata fu pubblicato un proclama dove si raccomandava a tutte le persone di mantenere chiuse porte e finestre. Soltanto una persona nella città, un sarto conosciuto come Peeping Tom, disobbedì al proclama. Tom fece un foro in una persiana per poter vedere il passaggio di Godiva e rimase cieco. Alla fine, le tasse onerose furono abolite. Durante secoli il cristianesimo ha coperto il corpo della donna perché offendeva la morale, e lo sguardo maschile veniva punito, rimanendo persino ciechi. Oggi il femminismo ha deciso che lo stesso corpo e lo stesso sguardo offendono la dignità e l’immagine della donna. La nudità femminile resta perseguitata, ieri per alcuni motivi, oggi per altri. Insomma, “tutto cambia perché nulla cambi”.