di Santiago Gascó Altaba. Il Presidente della Camera Mara Carfagna, durante l’espulsione dell’on. Sgarbi dal Parlamento avvenuta a luglio di questo anno, afferma testuale: “in quest’aula il rispetto reciproco penso che sia dovuto, non dico soprattutto quando si tratta di una donna […] però ascoltare in quest’aula degli insulti e delle offese ripetute nei confronti di una donna credo che sia inaccettabile”. Nell’immaginario della Sig.ra Carfagna il concetto di persone non esiste, l’umanità scompare a favore di due gruppi sessuali, uno di loro d’élite: le donne. Purtroppo questo modo di concepire il mondo è molto diffuso e predomina nella società, facilmente si possono trovare delle conferme. Valgano come semplice esempio due libri dei titoli molto espliciti: “Le Donne Hanno Sempre Ragione” di Clare Conville, Liz Hoggard, Sarah Lovett, Edizioni Piemme, e “Le madri non sbagliano mai” di Giovanni Bollea, Edizioni Feltrinelli.
Le donne sono “più”. Più competenti (nella gestione aziendale o politica), più pacifiche (nei comitati internazionali per la pace), più ecologiche (contro l’inquinamento), più efficienti (al lavoro), più brillanti (nelle relazioni sociali), più edificanti (nell’educazione dei figli), più sincere (nelle denunce della violenza)… Ecco le parole di Christine Lagarde durante la sua candidatura a presiedere il Fondo monetario internazionale (FMI) nel 2011: “Se sarò eletta porterò con me tutta la mia competenza come avvocato, ministro, manager e come donna”. Non credo di aver mai conosciuto nessuno che tra i motivi principali per promuovere la propria assunzione durante un colloquio di lavoro si sia vantato di una sua caratteristica fisica, cioè del fatto di essere uomo, o bianco, o nero, o biondo. Malgrado ciò, Christine Lagarde è stata eletta. In conformità con quest’essenza femminile di “più” (dove, per forza, gli uomini sono “meno”), deve derivare per la donna una condizione sociale di più tutele, più protezione, più rispetto, più sostegno. In fondo, come diceva la scrittrice Susan Sontag, “tutti devono essere liberati, ma la donna di più”.
Oggi la cronaca internazionale offre un esempio molto eloquente di questa asimmetria.
È evidente che c’è qualcosa di profondamente sbagliato in questo modo di ragionare. La prova del nove, messa in atto molto spesso dai critici del femminismo, è tanto elementare quanto efficace: consiste nel sostituire il sesso per la razza/etnia e analizzare il contenuto sotto questa nuova ottica. Quest’operazione, la sostituzione nei pensieri, testi, libri e dottrine femministe dei termini “donna” per “ariano” e “uomo” per “ebreo”, fa inviperire e manda in tilt le femministe. La tragedia della Shoah e le numerose tensioni razziali avvenute durante la seconda metà del XX secolo hanno reso la società molto sensibile all’ora di individuare discriminazioni e ingiustizie subite per motivi razziali o etnici. Ogniqualvolta il concetto di Umanità viene spezzato a favore di certi gruppi razziali (ariani/ebrei, bianchi/neri,…), si accendono tutti gli allarmi, cosa che raramente avviene per motivi sessuali (uomo/donna), malgrado si tratti della stessa violazione del concetto di “umanità” e delle stesse discriminazioni e ingiustizie subite.
Oggi la cronaca internazionale offre un esempio molto eloquente di questa asimmetria. Le vittime della protesta contro la violenza della polizia negli Stati Uniti sono accomunate da due caratteristiche: essere neri (non sempre, in realtà ci sarebbero anche dei bianchi e dei latini) ed essere uomini (sempre, indipendentemente se sono bianchi, latini o neri). I giocatori del NBA (tutti uomini, anche i bianchi), che hanno deciso di boicottare i playoff, protestano contro la discriminazione subita in quanto “neri” o in quanto “uomini”? Come sappiamo, la causa delle proteste è la discriminazione subita in quanto “neri”, malgrado la condizione di “uomo” rispecchi molto più esattamente i dati che motivano la protesta.
“…nello stesso anno in cui la Commissione di Vigilanza dell’ONU denunciava il sistema giudiziario e la pena di morte negli Stati Uniti per discriminazione razziale (i bianchi erano “solo” il 47,1% nel braccio della morte, i neri e altri il 52,9%, percentuali che non corrispondevano al loro peso nella società), il fatto che gli uomini fossero il 98,7% e le donne il 1,3% non suscitò alcun sospetto di discriminazione sessuale da parte della stessa Commissione di Vigilanza dell’ONU. E nemmeno meritò alcun commento, a vergogna futura di questa Commissione e dell’ONU, il fatto che i minori nel braccio della morte (73, si presuppone che tutti o quasi tutti maschi) fossero di più di tutte le donne complessivamente (47)! Nessun commento.” (La grande menzogna del femminismo, pp. 633-634)
È lecito associare e confrontare nazismo e femminismo? È lecito associare il concetto di “razza” a quello di “sesso”? Naturalmente sì. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani non fa alcuna distinzione visto che stabilisce all’art. 2: “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti […] senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di sesso, …”. Le femministe rifiutano ogni paragone, gridano allo scandalo, denunciano una reductio ad Hitlerum, tattica mirante a squalificare e demonizzare un interlocutore accusandolo di banalizzare la questione in modo emotivo richiamandosi ad Adolf Hitler o al Partito Nazista, in un esercizio semplicistico che riconduce un’azione di sterminio e di creazione di campi di sterminio a un incolpevole femminismo. In realtà il nazismo ha altri punti somiglianti dal lato ideologico al femminismo. Innanzitutto, la distruzione del concetto di “umanità”.
Secondo le femministe, il femminismo sarebbe la consapevolezza che la donna è un essere umano (Marie Shear). Per quanto assurdo possa sembrare, sarebbe proprio il contrario: il femminismo è la negazione che l’essere umano sia unicamente un essere umano. Il femminismo stabilisce che l’essere umano è innanzitutto uomo e donna. Prima di qualsiasi “condizione umana” esistono la “condizione della donna” (vittima) e la “condizione dell’uomo” (carnefice). I ruoli di vittima/carnefice sono prefissati, assegnati assiomaticamente, dogma assoluto primario da cui scaturisce tutta la dottrina femminista, un aspetto fondamentale per la comprensione della dottrina femminista, già trattato altrove.
La necessità di autoproclamarsi “più” sorge dalle proprie carenze.
Ogni qual volta si renda necessario tutelare la “condizione della donna”, anche a scapito della condizione dell’uomo, la “condizione umana” smette di esistere per la società come intesa dal femminismo. Non esiste dunque all’interno del femminismo la “condizione umana”, come non esisteva all’interno del nazismo. Dove per le femministe esiste solo la “condizione della donna” meritevole di tutela, per i nazisti esisteva solo la “condizione degli ariani”. Per entrambe le ideologie la “condizione dell’uomo” e la “condizione degli ebrei” destano preoccupazione solo in quanto funzionali al benessere dei gruppi precedentemente citati. Così come il nazismo consisteva nella sottrazione della condizione di essere umano e dei suoi diritti agli ebrei a vantaggio degli ariani, parimenti il femminismo consiste nella sottrazione all’uomo della sua condizione di essere umano e quindi, se necessario, dei suoi diritti (dei figli, della casa, dei soldi, della parità, della presunzione di innocenza, della dignità) a vantaggio della donna.
Il vittimismo è un altro punto somigliante. Il concetto di superiorità nasce da un continuato lamento vittimista, tanto nel nazismo quanto nel femminismo. Come si poteva percepire superiore un popolo che aveva appena perso una guerra mondiale? Il Mein Kampf è la denuncia della vittima, alla quale è stata impedita di sprigionare la propria potenza, la propria creatività, la propria cultura, per colpa della cospirazione ebraica, causa della perdita della guerra e del declino del popolo germanico. Parimenti le femministe denunciano la mancanza di primati, invenzioni, premi Nobel, personaggi illustri, per colpa della cospirazione patriarcale. Il loro proclamarsi “più” nasce dalla percezione di sentirsi ingiustamente o essere sempre state trattate da “meno”. La necessità di autoproclamarsi “più” sorge dunque dalle proprie carenze, immaginarie o reali. Infatti, non c’è nulla di più razzista o sessista del fatto di autoaggiudicarsi la condizione di vittima, senza sentire la necessità di doverlo provare, per la sola appartenenza a una determinata razza o sesso. Per quanto riguarda il femminismo, non è solo sessista, è assolutamente falso, come ho dimostrato nel mio saggio “La grande menzogna del femminismo”.
La falsa bandiera della “parità”.
Così come il nazismo era una “lobby degli ariani”, il femminismo è una “lobby delle donne” che non fa altro che chiedere misure legislative, economiche, sociali a favore delle donne. È evidente a chiunque che in un mondo abitato dall’Umanità e contraddistinto dai diritti universali, ogni volta che vengono assegnati misure e diritti specifici ad un gruppo, senza bisogno di menzione esplicita, vengono esclusi (discriminati) gli altri. In uno spazio “finito”, lo “spazio vitale” aggiudicato agli ariani significava l’espulsione degli altri popoli, anche se non erano stati nemmeno menzionati. In una Umanità divisa in due gruppi, uomini e donne, se “solo” le donne devono essere sostenute economicamente, credute quando denunciano o tutelate dalla violenza, quale gruppo, mai menzionato, dovrà finanziare economicamente, non essere creduto ed essere destinatario delle misure repressive per tutelare le donne dalla violenza?
Il risultato dell’assegnazione di diritti esclusivi femminili è la distruzione del concetto di “umanità” e la violazione sistematica dei diritti umani. Per poterlo fare il femminismo si rappresenta come detentore di valori moralmente superiori e necessari. Sotto la falsa bandiera della “parità”, crea un narrazione storica e attuale, un’immensa bugia che presenta le donne come un gruppo oppresso che deve essere “liberato”. Così facendo, il femminismo s’adopera non solo a “liberare” le donne ma, anche e soprattutto, a invisibilizzare e censurare qualsiasi positività maschile, qualsiasi sua sofferenza, qualsiasi vittima del femminismo, qualsiasi prova che smentisca la propria narrazione. Motivo per cui, ad esempio, il femminismo non parla mai dei morti sul lavoro, in stragrande maggioranza uomini.
Un’ideologia pericolosa, falsa e criminale.
Una volta arrivato al potere, il femminismo continua a comportarsi come una “lobby delle donne”, continua a parlare delle donne, a occuparsi delle donne, a fare rivendicazioni in favore delle donne, dimostrazione, semmai ce ne fosse bisogno, del fatto che il femminismo non si è mai occupato di “liberare” chicchessia né di lottare per il bene comune che racchiude il concetto di “umanità”. Nel 1979 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò la “Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (CEDAW)”. In un mondo dove l’umanità non esiste, ma soltanto uomini e donne, al giorno d’oggi, dopo 40 anni di dominio femminista nel mondo, non esiste ancora una Convenzione simile a tutela dell’uomo. Molti altri esempi di normative e trattati internazionali simili possono essere menzionati, ma questo è il più significativo perché riguarda “ogni forma di discriminazione”. Per il mondo e per il femminismo gli uomini possono continuare a subire discriminazioni.
Da tutto questo deriva il termine “nazifemminismo”, che non mi è mai piaciuto, non l’ho mai adoperato e non credo sia necessario. Ciò non toglie che, a conti fatti, la dottrina femminista contiene in sé il seme della discriminazione e della bugia. La forma mentis di una femminista, per ciò che si è detto, è la stessa di un nazista. In questa forma mentis non esiste il concetto di umanità, ma l’appartenenza a un gruppo elitario autoproclamato vittima e dunque meritevole (ontologicamente superiore) di tutele, ergo privilegi. E questa forma mentis discriminatoria è condivisa da tutte le femministe, moderate e radicali, compresa la Sig.ra Carfagna. Pertanto, da questo punto di vista, non esiste un femminismo buono e uno radicale, né la necessita di definire “nazifemminismo” ciò che è semplicemente femminismo, un’ideologia pericolosa, falsa e criminale.