di Rita Cascia. In questi giorni sembra che finalmente qualcuno si sia risvegliato dalla calura agostana e che stia prendendo coscienza di quello che sta accadendo. Forse. Il 18 di agosto appare un tweet di Skytg24 che impietrisce anche quelle persone che fino a oggi hanno accettato supinamente qualsiasi cosa provenisse dai media. Per pubblicizzare la Mostra internazionale d’arte cinematografica a Venezia, in cui si sbandierava già da un po’ il più alto numero di registe e giurate della storia della manifestazione, viene pubblicata la fotografia di una bambina di età stimata tra i 6 e gli 8 anni, che in mutandine e canottiera si trova rinchiusa in una voliera attorniata da uccelli. L’immagine non è innocente, molti fanno notare che la presenza dei volatili non è propriamente di classe, ma sorvolando su tutti i commenti osceni che si potrebbero fare, quella bambina pare un incitamento a fare di lei ciò che si vuole. Ciò che uccide di questa immagine apparentemente eterea e candida è il suo sguardo, a metà tra un invito di cui non capisce la natura e la repulsione, ma soprattutto la scritta che l’accompagna, tanto contraddittoria quanto allusiva: “Il Festival è donna”.
Il web impazzisce e da ogni dove se ne chiede la rimozione, che prontamente avviene. Ovunque ci si chiede come sia potuta accadere una cosa del genere, solo dal mondo femminista non si erge nemmeno una voce, non un fiato per il fatto che il corpo di una bambina sia stato usato in un modo e con un messaggio così improprio. Tutto tace, la bocca è ben sigillata perché il programma va portato avanti giorno dopo giorno, abituando gli spettatori a sradicare la propria morale e ad instillarne una nuova, come tante povere rane messe a bollire poco a poco. Parlare di “programma” è troppo? Si rischia di finire tra i “negazionisti” o “complottisti”? Ebbene, poco dopo la vicenda di SkyTG24, Netflix pubblica in anteprima la locandina del film “Cuties”, realizzato da una regista franco-senegalese, vincitore di un premio al Sundance film festival e disponibile nel loro catalogo da settembre. Non ci si lasci ingannare da un passaporto del genere: la locandina mostra quattro ragazzine preadolescenti in pose volutamente erotiche. La descrizione che accompagna la locandina di recita: “Amy, 11 anni, rimane affascinata da una troupe di ballo twerking. Sperando di unirsi a loro, inizia a esplorare la sua femminilità, sfidando le tradizioni della sua famiglia”.
Lo sdoganamento delle varie parafilie sta avanzando.
Il twerking, per chi non lo sapesse, significa: “ballare una musica famosa in un modo sessualmente provocante, che coinvolga i movimenti di spinta del bacino in una posizione accovacciata”, ovvero, a parole più esplicite, mimando un rapporto sessuale. Insomma in questa storia non c’è nulla d’innocente. Anche questa volta l’indignazione popolare fa ritirare la locandina e per far rimuovere il film dal catalogo di Netflix parte una petizione cui finora hanno aderito circa 80.000 persone. Non si tratta di casi isolati: Amazon Prime ha inserito nel suo catalogo “I, pedophile” (Io, pedofilo) un supposto documentario presentato così: “Per molto tempo i pedofili sono stati gli individui maggiormente demonizzati all’interno della società. Nuove ricerche mostrano che comprendere le loro condizioni, e affrontarle, sono i primi passi da fare per ridurre i casi di abuso sessuale di un minore. Questo documentario non ha intenzione di denigrare o condannare i pedofili”.
Una domanda sorge a questo punto: se i casi sopra citati sono tutti palesemente da ricondurre a quella patologia ben chiara e definita che è la pedofilia, come mai le femministe e gli ambienti arcobaleno non si sono precipitati nel coro dei cittadini indignati? Semplice: perché stanno lavorando da tempo per rendere questa perversione sessuale un orientamento accettato e condiviso da tutti. A partire dagli anni quaranta del ‘900 le teorie femministe iniziano a divenire sempre più estremizzate, tanto da parlare di aborti di massa, smantellamento della famiglia indicandola come nocivo perpetuarsi della cultura patriarcale e lo sdoganamento di ogni relazione sessuale, compresa la pedofilia. Questa agenda si sta compiendo a passi estremamente veloci. Se per far accettare l’omosessualità come comportamento sessuale normale ci sono voluti una cinquantina di anni circa, lo sdoganamento delle varie altre cosiddette parafilie previste nella tentacolare teoria del gender (o “teoria queer”), stanno avanzando assai più velocemente del previsto, grazie anche supporto di attori, influencer e di coloro che gravitano attorno al mondo dell’intrattenimento.
L’Agenda 2030 corre più velocemente di quanto non si pensi.
La cosa che più dovrebbe allarmare è che sia proprio l’effimero e pervasivo mondo del cinema che tenta, premendo il pedale dell’acceleratore, di normalizzare questa malattia psichiatrica. Dopo l’arresto di Ghislaine Maxwell, compagna e complice di Epstein, l’oligarchia hollywoodiana sta provando a porre anticipatamente un argine e sminuire le rivelazioni che la signora darà nel tentativo di difendersi in un eventuale processo (sempre che non patteggi) sui gusti e le preferenze di tutti loro, attori, registi e produttori. L’ansia che il mondo intero li veda come pervertiti depravati aumenta di giorno in giorno e da qui il desiderio che depravazione e perversione siano considerate orientamenti sessuali completamente validi. Non ci siamo lontani, evidentemente. L’apertura della finestra di Overton è quasi completamente attuata.
E perché lo si può affermare? In questi giorni si trova in edicola un giornale per famiglie che in copertina ha messo la figlia tredicenne dell’ex-calciatore della Roma Francesco Totti. La foto la ritrae in un succinto costume da bagno con il fondoschiena in bella mostra e solo pochi pixel alterati a livello degli occhi per ‘nasconderne’ il viso. Questo non è giornalismo e nemmeno pettegolezzo, perché il sedere è in bella mostra e si afferma che la ragazzina è “bella come la mamma”, quindi la si paragona a una donna già sessualmente matura e desiderabile, così palesemente violando la “Carta deontologica di Treviso”, che tutela i minori nella loro esposizione sui media. Totti e Blasi hanno elevato le loro proteste contro Gente, ma tardivamente e con un mero post su Instagram: un po’ pochino per non far pensare che fossero d’accordo, come spesso capita con i rotocalchi di gossip. Ben più credibile sarebbe stato un bell’esposto al Garante per la Privacy e all’Ordine dei Giornalisti. Per altro il direttore di “Gente” è in realtà una direttrice (ah, l’oggettificazione delle donne! Ah, il management al femminile!). In ogni caso è chiaro che stiamo assistendo ad atti manipolatori che assaltano le persone ad ogni livello: se da una parte ci si scandalizza dall’altra si parla della ‘bellezza’ di una preadolescente. Tutto è costruito affinché il confine diventi indistinto e non si riesca più a fare distinzione. Si tratta di un atto manipolatorio nei confronti delle masse per sradicare il comune senso del pudore e spargere a piene mani l’educazione queer e il connesso pansessualismo. Si faccia attenzione, l’Agenda 2030 corre più velocemente di quando non si pensi, sia in Europa che nel resto del mondo.