Settimana scorsa, il 16 settembre, è stata approvata dal Parlamento Europeo, con 427 voti favorevoli, 119 contrari e 140 astensioni, un’iniziativa legislativa sulla “violenza di genere” (scaricabile da qui con le nostre evidenziature). Nessuna illusione: non si intende qualunque genere, ma soltanto quello femminile. Nel preambolo il testo sembra lasciare spazio alla parità quando associa quell’espressione alla “violenza domestica”, sulla falsariga della Convenzione di Istanbul, ma nell’articolato vero e proprio l’inganno viene svelato a chiare lettere, testuali dal primo articolo: «l’eliminazione della violenza maschile contro le donne e le ragazze è una condizione preliminare per la realizzazione della parità effettiva tra donne e uomini». Basterebbe questo per far saltare sulla sedia qualunque sincero democratico e ogni persona di buon senso. Il Parlamento UE ha certificato in un proprio testo di legge una mera falsità: l’unilateralità della violenza. O meglio: la maggiore specialità e specificità della violenza maschile contro le donne rispetto ad ogni altra. Più avanti nel testo la legge amplia l’elenco delle specialità, adottando una visione “intersettoriale” (parola usata più volte al posto del tipicamente femminista “intersezionale”) con cui attribuisce specialità e specificità anche alle violenze contro vari altri tipi di minoranze (razziale, religiosa, derivata da orientamento sessuale, da disabilità, eccetera). A conti fatti, a restare fuori dalla tutela è un soggetto solo: il maschio bianco eterosessuale. Serve un colpevole, ed è lui. Però, ed è questo il punto di svolta, non accade più solo negli slogan di qualche accolita di invasate, negli articoli e nelle pagine dei social media o dei media mainstream. Stavolta si tratta di una legge del Parlamento Europeo, ed è tutta un’altra storia.
Il testo di legge consta di 22 pagine, che non possiamo illustrare e commentare qui punto per punto. Troppo ci sarebbe da dire. Invitiamo tutti a leggerlo con attenzione, limitandoci qui a evidenziare solo alcuni punti. I più gravi. Il primo è che questa norma intende equiparare la violenza maschile contro le donne ad altri “eurocrimini”, cioè quelle tipologie di reati su cui l’Unione Europea avoca competenza, sottraendola agli stati membri. Ecco allora che il “femminicidio” (con tutta la sua carica di indeterminatezza), le molestie sul lavoro, i maltrattamenti in famiglia e fenomeni simili verranno considerati alla stregua del terrorismo, della tratta degli schiavi, della mafia e del riciclaggio. Come questi ultimi, la violenza maschile contro le donne, dice la legge europea appena approvata, è una violazione dei diritti umani. Gli altri tipi di violenze no, quella maschile contro le donne (e gli omosessuali) invece ha l’esclusiva. Si dirà: è una norma illogica e palesemente discriminatoria. Vero, ma il Parlamento Europeo ha una risposta a questo: la violenza maschile contro le donne si manifesta, in tutte le sue forme, «in modo sproporzionato» (art.F) in tutta Europa e tanto basta per sancire la discriminazione “positiva”. L’abbiamo detto spesso: è falso che ci sia una “sproporzione” e, quand’anche ci fosse, è un’aberrazione etica escludere alcuni fenomeni perché minoritari. È come affermare che, essendo numericamente meno, i disabili (o gli immigrati, o i malati psichiatrici, eccetera) e la loro realtà possano tranquillamente essere trascurati. Una follia anche solo pensarlo. Eppure questo fa il Parlamento Europeo: sancisce la discriminazione “positiva” contro il mondo maschile perché le sue violenze contro il mondo femminile si presume che siano preponderanti rispetto allo stesso fenomeno a parti invertite.
“Tribunali speciali” e “programmi di trattamento” per gli uomini accusati di violenza.
Dietro a questo ragionamento c’è un paradigma ideologico che abbiamo ben spiegato nel recente podcast sugli omicidi e femminicidi: è il gioco infame del “chi uccide/fa violenza a chi”. Una distorsione analitica congegnata apposta per mettere all’indice un soggetto specifico, sempre lui: l’uomo bianco eterosessuale, colpevole di tutte le «disuguaglianze di potere tra uomini e donne» (art.I) e degli «stereotipi di genere nelle strutture eteropatriarcali» (art.K). Sissignori, è così, non fate tanto d’occhi: sono frasi direttamente citate non da un volantino di “Non Una di Meno”, ma dalla legge del Parlamento Europeo di cui stiamo parlando. Sollecitiamo ancora la vostra incredulità citando l’articolo L. della legge, dove si dice che la violenza maschile contro le donne (e gli omosessuali) «è motivata da un desiderio di punire coloro che sono considerati trasgressori delle norme sociali delle gerarchie di genere, dell’espressione di genere e dei sistemi binari di genere», e che essa «intende istituire, applicare o perpetuare le disuguaglianze di genere e rafforzare le norme e gli stereotipi di genere». Quelli che accadono, dunque, non sono singoli casi criminali determinati da cause contingenti, risultato di fattori di contesto o individuali mutevoli: è un atteggiamento generalizzato istintivo del maschio bianco eterosessuale, che realizza nella quotidianità una sorta di persecuzione violenta più o meno conscia contro donne e omosessuali. Sono tematiche da gretta propaganda femminista intersezionale, note a tutti, ma, lo ripetiamo, stavolta è diverso: fanno parte degli articoli di una legge approvata dal Parlamento Europeo, per di più (e anche questo è sconcertante) a larga maggioranza. La norma non si ferma però a queste constatazioni, ovviamente. Va oltre, molto oltre, allargandosi su campi che spiegano molto del presente e annunciano pressoché tutto del futuro.
La violenza maschile contro le donne, dice la normativa, avviene spesso sotto gli occhi dei figli. Dunque gli stati membri devono elaborare leggi sull’affidamento post separazione «elaborate in modo da non attribuire i diritti di affidamento ai colpevoli di violenze nei confronti del proprio partner» (art.N). In realtà è già così un po’ ovunque, Italia compresa, ma il legislatore europeo ha altro in mente: l’affido dev’essere negato non a chi è riconosciuto responsabile dopo un giusto processo, ma già a chi viene accusato. Non a caso la parola “colpevole”, usata solo una volta inizialmente, diventa “autore” nelle ripetizioni successive. Vi sovviene qualcosa? Già, gli “emendamenti Valente“: è esattamente ciò che si sta realizzando in Italia per mano del femminismo politico, probabilmente già da tempo informato che questa legge europea sarebbe stata approvata e che avrebbe incluso tutto ciò che è stato preparato in anni di test e tentativi. Per esempio l’indottrinamento nell’istruzione, laddove la norma europea impone «corsi di autodifesa femminista» nelle scuole (art.20), ma anche un indottrinamento capillare degli istituti di statistica e soprattutto degli operatori di giustizia. Perché occorre che le denunce aumentino, ma soprattutto perché, detto a chiare lettere, «i tassi di condanna dei responsabili di violenze contro le donne […] sono a livelli inaccettabilmente bassi» (art.Z). Già, lo sappiamo bene noi che registriamo le statistiche di merito, notando quanto numerose siano le archiviazioni e le assoluzioni con formula piena, frutto probabile di false accuse. Ebbene, per l’Unione Europea occorre formare gli operatori di giustizia a credere sempre alla parola delle donne, in modo da aumentare le condanne. E per essere certi che questo accada, la legge chiede che vengano istituiti «tribunali specializzati» (art.55) nel condannare la violenza maschile contro le donne. Come già accade in Spagna da quasi vent’anni. Ma soprattutto come accadeva nell’Italia fascista e nella Russia sovietica durante il terrore staliniano, gli ultimi due scenari dell’era moderna dove si era sentito parlare di “tribunali speciali”, prima di questa legge europea. In coerenza con quei regimi, la legge europea stabilisce anche l’obbligo di «programmi di trattamento per i colpevoli di violenza di genere» (art.56). Largo alla fantasia di ogni Stato nel decidere in cosa consisteranno quei “programmi di trattamento”.
Il vero conto alla rovescia è cominciato.
C’è anche altro nella legge europea: c’è l’adesione cieca alla folle teoria del patriarcato (art.7); c’è che è sempre stupro in assenza di consenso esplicito e continuo da parte della donna (art.40); c’è l’incitamento a chiudere organi d’opinione che contestino la specificità della violenza maschile contro le donne e il teorema del patriarcato e a perseguirne legalmente i responsabili (artt.14⇒16, art.63 et al.); c’è l’obbligo a sostenere e finanziare i centri antiviolenza (art.17); ci sono le politiche snowflake (art.23) e la genderbread person (art. 27 et al.); ci sono le forzature statistiche (art.26 e un po’ ovunque nell’articolato); c’è il gender paygap (art.8); insomma c’è tutto. La norma europea è un compendio di tutti i piccoli o grandi tentativi di imporre un regime dittatoriale di stampo antimaschile compiuti negli ultimi dieci anni circa, denunciati da noi e da tante altre pagine insieme e prima di noi. È la realizzazione di un percorso che viene da lontano, dalle conferenze ONU del Cairo e di Pechino e delle altre che ne sono seguite, tutte non a caso citate in premessa alla legge, con la menzione ossessiva della Convenzione di Istanbul e, in un testo di legge precedente, addirittura la condanna con richiesta di sanzione verso «i governi eletti» degli stati dell’Unione che non l’hanno ancora ratificata (Bulgaria, Cechia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Slovacchia) o peggio ancora che ne sono usciti (Polonia e Turchia). La legge europea di cui parliamo è anche l’esito di un percorso segnato da statistiche manipolate o dalla lettura distorta di statistiche che smentirebbero alla radice la necessità di una norma del genere, come quelle elaborate nel 2014 e poi nel 2021 dalla Fundamental Rights Agency dell’Unione Europea. Insomma, tutto quello di cui parliamo e che denunciamo da anni, signore e signori, è qui, ora, in questa norma del Parlamento Europeo che, essendo stata approvata a maggioranza qualificata, diventa vincolante per la Commissione Europea, che ora dovrà elaborare una direttiva (come si dice all’art.62) che dia esecuzione al tutto. Le direttive europee, sappiatelo, sono di grado superiore anche alle costituzioni nazionali e immediatamente applicabili in ogni Stato membro.
Cosa significa tutto questo? Non siamo mai stati catastrofisti su queste pagine, quindi potete crederci se diciamo che è a tutti gli effetti l’inizio della fine. Il regime dittatoriale di cui abbiamo denunciato i segnali lungo tutto questo tempo si trova, coagulato, dentro questa norma europea, che è destinata in breve a diventare un corpus di leggi in tutti gli stati membri, Italia inclusa. E in Italia c’è un esercito di politicanti che freme per poterle dare attuazione, tanto da agire in anticipo: non si abbia dubbi, ad esempio, sul fatto che gli “emendamenti Valente” passeranno. E sarà inutile strillare sulla loro incostituzionalità: resteranno, per quanto incostituzionali, fin tanto che l’Italia non acquisirà (e lo farà di corsa) la direttiva che la Commissione Europea emanerà sulla “violenza di genere”, come richiesto dalla legge europea che stiamo commentando, dopo di che saranno perfettamente legali. Il femminismo politico su questo si è solo portato un po’ avanti, come fa da dieci anni. Si resta in ogni caso increduli del fatto che il Parlamento Europeo possa aver approvato a così grande maggioranza un testo così aberrante, ma questo è un segnale chiaro di due aspetti sempre troppo sottovalutati: la narrazione inquinante del femminismo è entrata nelle fibre più profonde di tutti, legislatori compresi. Se chiedeste conto delle assurdità incluse nella legge a un parlamentare europeo o a una persona qualunque per strada, vi direbbero entrambi con convinzione che si tratta di disposizioni sacrosante. Poi, certo, ci sono quelli che lo dicono per interesse ma, come sosteniamo da tempo, la questione dei vantaggi o dei soldi è secondaria. L’obiettivo è il cambiamento del paradigma umano e l’instaurazione di un sistema dove la discriminazione è sancita per legge, dove le follie disumane del neoumanesimo sono pilastri indiscutibili, e dove i diritti che consideriamo più ovvi vengono compressi fino a esplodere. Non si scherza più, signore e signori. Non è più la boutade insensata di una Michela Murgia o di una Selvaggia Lucarelli, da smontare e criticare con un semplice articolo, né una leggina tra le tante da contestare con un mailbombing: qui si parla di una norma vincolante calata dal punto più alto possibile. Si parla di un insieme di disposizioni con cui, finalmente, il regime progettato da anni passa all’incasso e si mostra a viso aperto. Che fare, ora, di fronte a ciò? Niente. Ormai è troppo tardi. Noi abbiamo fatto e faremo, finché ci sarà consentito, ciò che era giusto fare: denunciare con fatti, numeri e argomenti. Abbiamo probabilmente raggiunto il massimo dell’audience ragionante possibile, ed è una minoranza risibile che, da sola e disorganizzata com’è, non può fare nulla, specie nel disordine creato dal covid e dintorni. La maggioranza che ancora non ha capito, capirà (forse) quando questa follia legislativa entrerà in vigore, tra non molto e avrà effetti direttamente sulla sua pelle. A quel punto, porteremo con noi il triste vanto di poter affermare: «noi vi avevamo avvisati». Magra consolazione. Chi ha figli, specie se maschi, li spedisca in fretta altrove. Fuori dall’UE e dall’area di influenza occidentale. E lo faccia in fretta. Questo è l’unico ulteriore consiglio che possiamo dare, ora che è cominciato il vero conto alla rovescia.