di Santiago Gascó Altaba. Non servono presentazioni per Oriana Fallaci, almeno in Italia. Scrittrice, giornalista, attivista, anticonformista… e femminista? Naturalmente. “Oriana Fallaci, simbolo del femminismo internazionale per le sue scelte di vita e per le sue battaglie”. In questo e nel prossimo intervento voglio parlare di lei. È vero che a volte ha espresso critiche molto forti al movimento femminista, principalmente a quello più radicale. Ne “La rabbia e l’orgoglio” scrive a proposito delle femministe: “Com’è che non organizzate mai una abbaiatina dinanzi all’ambasciata dell’Afghanistan o dell’Arabia Saudita o di qualche altro paese musulmano?”. A proposito delle femministe americane degli anni ’70, nel libro postumo “Se nascerai donna” scrive: “Non parlano mai d’amore, queste donne. Parlano sempre di odio. Ma l’odio non è forse la prima manifestazione della violenza, cioè il crimine che esse identificano col sesso maschile? Il fatto è che il movimento di liberazione femminile è un movimento squisitamente americano, e molte delle sue verità si riferiscono alla società americana”.
Ho già spiegato, e non mi stancherò di ripeterlo, che soltanto una precisa definizione del termine femminismo ci permette di capire il fenomeno e di stabilire chi sono i suoi adepti. Non è il fatto di essere pro o contro l’ideologia di genere, di destra o di sinistra, fascista o comunista, moderato o radicale, pro-aborto o pro-life, a favore della prostituzione o abolizionista, pro velo o contro il velo, a favore della pena di morte o meno, puritano o nudista, religioso o ateo, uomo o donna, che rendono una persona femminista o non femminista. Il femminismo è trasversale, e la posizione presa in queste, e in tante altre controversie, non esime la persona a dichiararsi legittimamente “femminista”. È vero che esiste nell’attuale femminismo una presa di posizione prevalente su molti di questi argomenti, ma un giudizio contrario, minoritario, non esclude dalla categorizzazione del marchio “femminista”. Pur minoritarie, le femministe della differenza sono nettamente contrarie all’ideologia di genere, tutte le femministe della prima ondata erano antiabortiste, e ci sono state persino femministe contrarie al diritto di voto delle donne (Emma Goldman fu la più illustre tra di loro). Quindi, al contrario di quel che continuamente si sente, non è vero che esistono diversi femminismi, come non esistono diversi cristianesimi o diversi nazismi. Ogni ideologia e/o religione possiede uno o diversi (pochi) dogmi condivisi da tutti (tutti!), e l’adesione a questi dogmi (a tutti!) è ciò che rende il soggetto seguace di questa o di quella ideologia/religione. Nel caso del cristianesimo, la credenza in un Messia denominato Cristo, crocifisso, morto e risorto per la salvezza del mondo, rende il cristiano distinto e unico. Nel caso del femminismo, la convinzione che sia esistita ed esista un’oppressione storica e attuale delle donne per mano degli uomini attraverso un sistema denominato Patriarcato, oppressione tanto materiale quanto simbolica (eterno femminino).
Le contraddizioni della tesi femminista.
Quel che invece esiste sono molti “tipi di cristianesimo” (ortodosso, calvinista, cattolico, luterano, anglicano,…). Parimenti esiste un solo femminismo, ma molti “tipi di femminismo”. Finché questi “tipi” diversi aderiscono ai dogmi fondamentali, la loro categorizzazione rimane chiara, indipendentemente dalle loro posizioni su tutti gli altri argomenti, siano questi preesistenti alla propria ideologia/religione, ad esempio l’aborto, o siano una costola originata e nata all’interno della stessa ideologia/religione, senza la quale non avrebbe senso nemmeno la sua esistenza. Ad esempio nel cristianesimo il dogma dell’Immacolata Concezione, o nel femminismo l’ideologia di genere. Da cristiano, una posizione favorevole o contraria al dogma dell’immacolata concezione non rende l’individuo più o meno cristiano, come da femminista, una posizione favorevole o contraria all’ideologia di genere non rende l’individuo più o meno femminista. Evidentemente per un non-cristiano è assurdo credere al dogma dell’Immacolata Concezione, come per un non-femminista è assurdo concordare sull’ideologia di genere. Dunque, tornando a Oriana Fallaci, è femminista? Ecco cosa scrive in “Che cosa vogliono le donne”, ne “L’Europeo”, 1971: “negare che la società in cui viviamo sia una società inventata dagli uomini, imposta dagli uomini, dominata dagli uomini, sarebbe cretino”. A chi rimangono ancora dei dubbi, consiglio la lettura del libro più femminista di Oriana Fallaci, “Lettera ad un bambino mai nato”, destinato ad essere una pietra miliare nella formazione delle coscienze di milioni di donne in Italia, pubblicato nel 1975. “Il nostro è un mondo fabbricato dagli uomini per gli uomini, la loro dittatura è così antica”, scrive la Fallaci. Nel libro postumo “Se nascerai donna”, si possono leggere pensieri come questi: “ma in un rapporto tra oppresso e oppressore non bisogna minimizzare la complicità dell’oppresso. Chi non si batte ha torto. Sempre. E le donne non si sono mai battute sul serio. Anzi, si sono molto adeguate al predominio maschile. Perché in molti casi era comodo, in altri piacevole. Ci sono volute migliaia e migliaia di anni perché le donne si scuotessero dal loro torpore e dalla loro viltà”. E ancora: “…a fare la guerra sono sempre gli uomini. Mai le donne. Perché gli uomini, e non le donne, l’hanno inventata. Nelle altre specie animali, dove non esiste il dominio del maschio sopra la femmina, la guerra non avviene. Gli altri animali non si uccidono in gruppi organizzati e per sottomettere collettività intere. Si uccidono individualmente e al solo scopo di procurarsi il cibo”. Ce ne sarebbe anche di più, ma penso possa bastare. “Dittatura”, “oppressione”, “dominazione secolare”… Sì, Oriana Fallaci è femminista.
Vale la pena porre attenzione poi a queste parole scritte dalla Fallaci durante un’intervista alla femminista Kate Millett a New York negli anni ’70, e riportate nel libro “Se nascerai donna”: “…direi che invece d’una intervista facemmo un dibattito: una specie di litigio sui punti deboli del femminismo. Fumio Yoshimura vi partecipava a momenti, e la scena era il soggiorno-cucina della loro casa a New York. Una casa vecchia, squallida, priva di riscaldamento e di comodità, nel cuore della strada più tragica del mondo, la Bowery. Dove gli ubriaconi, gli sconfitti, i disperati si aggirano in cerca di un soldino o della morte nel freddo. E, neanche a farlo apposta, sono sempre uomini. Tra essi non vedi quasi mai una donna”. Dunque, da una parte nella “strada più tragica del mondo”, dove si muore nel freddo, tra gli ubriaconi, gli sconfitti, i disperati, non si vedono donne: “sono sempre uomini”. Ergo i disperati nel posto più tragico del mondo sono uomini. Dall’altra però il mondo è una “dittatura maschile” che opprime le donne, un’oppressione “fabbricata dagli uomini per gli uomini”. Cioè, secondo Oriana Fallaci tanto i privilegiati quanto i più disperati sono gli uomini. Qualche contraddizione? Non è la prima né l’unica femminista che trascrive una situazione maschile di sofferenza senza che ciò le impedisca di dichiarare “privilegiati e oppressori” questi uomini disperati, mentre loro stesse si autodichiarano oppresse, navigando così senza alcun pudore nel mare delle proprie contraddizioni. Ne “L’eunuco femmina”, 1970, Germaine Greer racconta, anzi deride gli uomini che dopo il divorzio finiscono in carcere spogliati di tutto perché non riescono a pagare gli alimenti, e in “Le donne e la pazzia”, 1972, Phyllis Chesler scredita gli uomini che nelle conferenze si lamentano della propria condizione e denunciano di essere anche loro vittime quanto le donne (in La grande menzogna del femminismo, pp. 692, 718, 814, 825). Questi scritti non peccano soltanto di contraddittorietà rispetto alla tesi femminista della universale oppressione delle donne e del privilegio maschile. Più importante, manifestano un’assoluta sorprendente e tragica indifferenza e/o disprezzo per la discriminazione e/o la sofferenza maschile.
Nessuna empatia per la sofferenza maschile.
Ho già scritto quanto mi risulta sbalorditivo il libro “Il secondo sesso”, 1949, di Simone de Beauvoir, l’accusa più formidabile e strutturata contro l’universo maschile scritta durante e subito dopo il sistematico sterminio di giovani ragazzi, segnati da un tragico e inevitabile destino sessista durante la Seconda Guerra Mondiale. Oltre 800 pagine di accuse di una donna che aveva vissuto due guerre mondiali tranquillamente a casa, senza aver mai dovuto avvicinarsi minimamente alla linea del fronte. Al suo posto andavano coloro che lei accusava. Neanche una parola di ringraziamento, neanche una parola di conforto. Se al posto degli uomini, Betty Friedan, e con lei tutte le sue “sorelle” femministe di NOW, fosse stata costretta ad andare in guerra in Corea o nel Vietnam, al ritorno, magari su una sedia a rotelle, avrebbe scritto “Mistica della femminilità”? Avrebbe scritto che si era “annoiata” in Corea o nel Vietnam? Avrebbe confrontato il disagio psicologico di una casalinga con il disagio psicologico di un recluso di un campo di concentramento nazista? I capolavori e i libri storici femministi sarebbero stati scritti se le femministe fossero state costrette a subire le sofferenze maschili?
Qualche giorno fa, navigando in rete ho scoperto, con piacere, un mio vecchio articolo pubblicato su Stalker sarai tu, “Perché il femminismo ha trionfato?”, riportato integro su un altro sito. Tra le altre cose, l’articolo parla anche della sofferenza maschile, della tragedia dei padri che, dopo una separazione conflittuale, si suicidano. Un utente con il nickname Taddi, tra gli altri, commenta: “Non saprei dirlo meglio quindi la parola a Santiago Gascó Altaba…”. Subito appare un controcommento: “Sinceramente mi dispiace che tu non riesca a dirlo meglio, perché peggio è impossibile. Ho faticato ad arrivare alla fine dell’editoriale e MAI su debaser mi era capitato di leggere simili stronzate. Spero solo tu sia un provocatore e ti diverti a scrivere bestialità del genere, perché non trovo altro motivo. Mi meraviglio che qualcuno nei commenti sopra ti prenda sul serio. Per il resto non tento neanche di farti ragionare, occorre conoscere i propri limiti…”. Non è chiaro se questo controcommento sia di una donna o di un uomo. Sicuramente è di un/una femminista. Parlare di padri separati suicidi sono “stronzate”, “bestialità”. Nessuna empatia per la sofferenza maschile. Dileggio. La stessa empatia che mostrano Oriana Fallaci, Germaine Greer, Phyllis Chesler, Simone de Beauvoir, Betty Friedan. La stessa empatia che mostravano i nazisti ariani per la sofferenza degli ebrei. Nessuna.