Concetta Maruocco, 53 anni, viene uccisa dall’ex marito Franco Panariello, 55 anni. Le dichiarazioni dell’omicida: “non sopportavo le sue accuse infamanti e ingiuste”. Secondo le notizie trapelate sembra che Concetta si fosse rivolta al centro antiviolenza Artemisia di Fabriano ed avesse denunciato l’ex marito per violenze spalmate su oltre 20 anni, come sempre accade in caso di denunce seguite da un centro antiviolenza. Accuse fondate o meno non si saprà mai, la colpevolezza o l’innocenza dell’accusato non potranno più essere dimostrate in tribunale poiché l’accusatrice è deceduta e il processo per maltrattamenti non si farà. L’altissima percentuale, oltre il 90%, di accuse che si dimostrano prive di fondatezza non esclude che questo caso rientrasse nella percentuale minoritaria di accuse fondate, ma non esclude nemmeno il contrario. Resta il fatto che l’omicida parla espressamente di accuse infamanti ed ingiuste per le quali, prima ancora di verificarne la fondatezza in un processo, doveva subire una limitazione della libertà personale.
Per quanto possano essere ingiuste le accuse, ciò non toglie che sia gravissimo lavare le ingiustizie col sangue quindi, vere o false che siano, nulla può giustificare l’azione omicida. Massima condanna per il gesto criminale. Ciò detto, va però rilevato che l’episodio suscita alcune riflessioni . Noi la leggiamo così: 1) le accuse, qualora fossero gonfiate strumentalmente o addirittura inventate del tutto, invece di proteggere la sedicente vittima possono esporla a rischi maggiori. 2) I rischi maggiori dipendono dalla personalità di chi viene ingiustamente accusato: c’è chi cade in depressione e si chiude in sé stesso, chi va in terapia per anni, chi mantiene la calma e spende una montagna di soldi per dimostrare in tribunale la propria innocenza; ma c’è pure chi entra nella logica perversa “mi hai voluto rovinare senza che io ti abbia mai fatto alcuna violenza, allora adesso la violenza te la faccio davvero. Mi hai accusato senza motivo, ora il motivo te lo do io”.
Annichilire gli uomini.
4) questo caso dimostra che l’inasprimento delle misure cautelari non serve a niente, Panariello aveva sia il divieto di avvicinamento che il braccialetto elettronico. Anche se avesse avuto gli arresti domiciliari nulla esclude che sarebbe potuto evadere per uccidere la ex, come è già successo in altri casi. 5) L’unica misura che potrebbe tutelare le false accusatrici è la detenzione in carcere in attesa di giudizio per ogni uomo accusato da una donna dei reati previsti dal Codice Rosso: dalla violenza sessuale alle percosse, dagli atti persecutori ai maltrattamenti, dallo sfregio con l’acido al revenge porn. Il che vorrebbe dire costruire un centinaio di nuove case circondariali ed assumere un esercito di agenti carcerari perché gli innocenti falsamente accusati sono decine di migliaia ogni anno. 6) il carcere immediato per tutti è una soluzione che potrebbe risultare soddisfacente per le femministe più feroci, ma è irrealizzabile: lo Stato dovrebbe pagare un pozzo di miliardi per ingiusta detenzione a tutte le decine di migliaia di uomini che ogni anno vengono archiviati, prosciolti o assolti da accuse che si rivelano prive di fondatezza.
7) In caso di processi che durano anni, cioè quasi tutti (il che comporta la perdita dei figli, della casa, del lavoro ma soprattutto della dignità) nulla esclude che alla fine dell’iter giudiziario il tizio riconosciuto innocente non si accontenti di “scusi tanto, ci siamo sbagliati” e decida di vendicarsi sulle persone che, a tutti gli effetti, gli hanno rovinato la vita in modo irreversibile. Non solo la donna che lo ha accusato ma anche tutta la filiera di soggetti che a vario titolo hanno contribuito a rovinargli l’esistenza. Si rischia veramente un bagno di sangue. 8) ulteriore soluzione – se soluzione la si può definire – potrebbe essere l’abolizione dell’iter giudiziario: lei accusa e lui va in carcere a vita senza processo. L’accusato non esce mai più di galera, solo così la falsa accusatrice e i suoi sodali avrebbero la garanzia di non subire alcuna ritorsione. È una finestra di Overton che pian piano scivola verso il fine al quale tende il femminismo suprematista: annichilire gli uomini, tutti, senza distinzione. Terrorizzarli per renderli rassegnati esecutori di ogni capriccio femminile, altrimenti parte una falsa accusa e la vita finisce.
Frasi che spariscono dagli articoli.
Da notare che questo l’articolo è stato scritto, fino alla riga precedente, venerdì 13 ottobre, quando più o meno tutte le fonti riportavano virgolettate, nel titolo o nel corpo dell’articolo, le parole riferite dall’omicida ai Carabinieri che lo hanno arrestato ed al PM Paolo Gubinelli che ne ha raccolto la deposizione: «non sopportavo le sue accuse infamanti ed ingiuste». Frase dalla quale prendono vita le riflessioni del nostro articolo. Ripetiamolo ancora, per fugare ogni dubbio: anche qualora le accuse fossero state gonfiate ad arte o inventate di sana pianta, la reazione criminale a coltellate non è mai giustificabile. Nel weekend, tuttavia, la frase sulle accuse infamanti ed ingiuste è sparita dai radar, tutte le cronache riportano le dichiarazioni del centro antiviolenza Artemisia, del Sindaco, dell’avvocato di Panariello e gli estratti delle frasi che questi pubblicava sui social. Le dichiarazioni dell’assassino cambiano, vengono edulcorate, ora si parla di “chiarimenti sulla separazione” che però era avvenuta da oltre sei mesi; i chiarimenti, semmai, riguardavano l’udienza del mese scorso nella quale è stato accusato?
Poi fioccano le critiche sull’inefficacia del braccialetto elettronico che non funziona o funziona in ritardo e sulle chiavi con le quali l’assassino sarebbe entrato in casa della vittima. Ulteriore elemento che solleva più di qualche dubbio sulla fondatezza delle accuse: 20 anni di terrore per un clima di violenza indicibile, poi la donna finalmente trova il coraggio di denunciare il suo aguzzino che viene allontanato dall’abitazione familiare e va a vivere altrove, ma dopo mesi di separazione (Concetta si era rivolta al centro antiviolenza Artemisia a marzo) ancora non aveva cambiato la serratura. È la prima misura che una persona realmente vittima di violenza e genuinamente terrorizzata dovrebbe adottare per proteggersi dalla persona che ha appena denunciato: impedire all’orco di entrare liberamente in casa. Poi se spacca un vetro o sfonda la porta entra ugualmente, ma almeno gli va tolta la possibilità di entrare di soppiatto a suo piacimento. Vedremo cos’altro appureranno gli inquirenti. Resta il fatto che si assiste ad una chiara volontà collettiva di far sparire il riferimento ad “accuse infamanti ed ingiuste”, elemento che potrebbe sollevare dei dubbi sulla fondatezza delle accuse stesse.