di Fabio Nestola. Poco c’è da aggiungere agli articoli già pubblicati su “La fionda”, che dovrebbero far fremere di indignazione chiunque si accorga di ricevere del pappone per polli d’allevamento ogni volta che va in edicola convinto di acquistare un giornale. Quando un direttore dice ai propri cronisti cosa devono scrivere e come devono scriverlo, il risultato non può che essere un ibrido: mangime geneticamente modificato quindi finalizzato agli interessi di chi lo somministra, ma non di chi se ne nutre. Nutrirsi di notizie è un lusso sempre meno fruibile, visto che i giornali somministrano cronaca passata al vaglio della censura, allo scopo di creare Opinioni Giornalisticamente Modificate per pilotare la percezione di un fenomeno. Probabilmente diktat analoghi verranno diffusi anche sui temi della pubblica istruzione, immigrazione, sanità… non è possibile sapere tutto. Per ora quello che filtra è il condizionamento operato sulle penne che scrivono di femminicidio.
I fatti: “Il Foglio” accenna ad un diktat articolato in 8 punti che l’ufficio centrale di Repubblica avrebbe mandato a tutti i suoi giornalisti, contenente le modalità con le quali devono essere scritti gli articoli che riguardano i cosiddetti “femminicidi”. È tutto molto chiaro, in modo che possa capirlo anche il più inesperto praticante: diviso in due colonne come quando il capoclasse alle elementari scriveva i nomi dei buoni e dei cattivi, lo schema di “istruzioni” contiene a sinistra, scritte in rosso, le frasi da non dire, le parole da non usare, i concetti da oscurare; la colonna destra invece contiene il semaforo verde per ciò che il boss consente, o meglio, impone. Una tacca sotto il MinCulPop. Lo schema dimentica di citare le sanzioni per chi sgarra, non è dato di sapere se sia previsto il licenziamento o l’olio di ricino.
Non entro nel merito delle forzature scientemente pianificate al fine di manipolare l’informazione, indottrinare i lettori, condizionare l’opinione pubblica e mutilarla della possibilità di formarsi una propria opinione analizzando i fatti nudi e crudi. Che poi sarebbe l’essenza del giornalismo, quando non viene svilito in propaganda ideologica. Preferiamo sottolineare un solo punto, che ci aiuta a comprendere come venga artificialmente gonfiato il numero dei femminicidi. “Anziano uccide la moglie disabile” non si può dire, l’imperativo è dire che l’ha uccisa e basta. Anche quando lui dopo averla uccisa si toglie la vita ed il gesto era concordato, anche quando volevano morire insieme dopo aver trascorso insieme tutta la vita, anche quando lasciano scritto di voler essere cremati insieme, anche quando è il gesto misericordioso per non far più soffrire una malata terminale, anche quando l’anziano spara alla moglie malata terminale in ospedale e poi si spara sul letto con lei, anche quando entrambi gravemente malati scrivono di non voler più essere un peso per i figli.
Da almeno tre anni, analizzando le statistiche dei femminicidi, troviamo un’ampia gamma di delitti che non hanno nulla a che vedere con la prevaricazione di genere. Episodi infilati a forza nel calderone dei femminicidi al solo scopo di creare un allarme sproporzionato rispetto alle reali dimensioni del fenomeno. Il filone degli anziani che uccidono e si uccidono è sempre il più corposo, coppie di 80enni di cui uno o entrambi gravemente malati che desiderano porre fine a sofferenze divenute insopportabili, ma sempre spacciati per delitti dell’oppressione patriarcale, quindi classificati come femminicidi. Ora salta fuori la prova regina, la pistola fumante come dicono gli opinionisti televisivi: la dimostrazione, nero su bianco, che l’attenzione del lettore deve essere dirottata dalla realtà, deve essere distolta dai retroscena drammatici ed angoscianti che fanno percepire la morte come unica soluzione. “L’ha uccisa”, dice l’informazione di regime. E che “l’ha uccisa” sia.