Una frase pronunciata nel privato delle mura domestiche, a cena, commentando una notizia del tg? Non si può fare. Una frase in diretta tv sulla rete pubblica, offensiva per milioni di padri e pronunciata di fronte a milioni di telespettatori? Certo che si può fare. Cartelloni giganteschi contenenti dati falsi e tendenti a criminalizzare milioni di uomini? Certo che si può fare. Giudici : “signora, lei si è sentita minacciata?”. La querelante: “no”. Giudici : “allora si è sentita almeno intimidita?”. La querelante: “no”. Giudici: “almeno ha percepito un pericolo per sé e per la sua bambina?”. La querelante: “no”. Giudici: “vabbé, comunque avrebbe potuto sentirsi minacciata o intimidita una “vittima media”, quindi è reato”.
Il querelato: “ma quante vittime medie circolano nella cucina di casa mia all’ora di cena?”. Giudici: “che c’entra, noi le condanne possiamo darle sulle ipotesi, sulle sensazioni, sulle possibilità. L’importante è aver deciso di bastonarti, poi il motivo si trova”. Il querelato: “ma tutti abbiamo sentito gente dire che ammazzerebbe zingari di merda, negracci schifosi, ebrei del cazzo, e dirlo in pubblico, al bar, in metropolitana… quelle non sono minacce?”. I Giudici: “cocco, allora non hai capito. Decidiamo noi quali argomenti siano intoccabili e quali no. Aspetta che passi una leggina che abbiamo in mente e vedrai che ti mettiamo le manette pure se mentre ti fai la barba pensi che essere etero non è una malattia”.
Il pregiudizio antimaschile che diventa pilastro giuridico.
Si tratta insomma di un ulteriore passo verso la criminalizzazione soggettiva. Già con l’art. 612 bis è stato introdotto il reato cosiddetto di percezione, vale a dire che il reato è indipendente dalla volontà di offendere del presunto reo ma si configura nella mera percezione della presunta vittima. Se una persona “si sente” perseguitata, lo è. Anche se il persecutore le ha inviato dei fiori, delle poesie, degli sms con i quali chiede perdono. Non sono necessarie le minacce di morte, basta che la vittima si senta infastidita e scatta lo stalking. L’ulteriore passo consiste nella percezione di terzi, nemmeno più della persona direttamente interessata: la frase pronunciata potrebbe astrattamente incidere sulla libertà morale e psichica della parte lesa, anche se la parte lesa in due successivi gradi di giudizio insiste nel dire di non essersi sentita né minacciata né intimidita.
Forse la parte lesa non ha l’esatta percezione della gravità di cosa abbia sentito, allora il fulcro della gravità si sposta su ipotetiche terze persone: “è sufficiente che la minaccia sia potenzialmente idonea a intimidire la vittima media”. Quindi siccome potenzialmente (forse, chissà, hai visto mai…) la casalinga di Vigevano potrebbe sentirsi intimidita, condanniamo il tizio di Trieste che cenava davanti al televisore di casa sua. Ma… c’è un ma, ed è la procedibilità Il reato di minacce è perseguibile a querela di parte, e la casalinga di Vigevano non ha querelato nessuno. Quindi la “vittima media” non è querelante, e la querelante insiste a dire di non sentirsi minacciata. Oltre che sul pregiudizio antimaschile, su quali pilastri giuridici poggia la configurazione del reato di minaccia?