Le réclame natalizie della Coca-Cola sono un tenero appuntamento annuale che in taluni casi ha segnato intere generazioni. “Vorrei cantare insieme a voi / in magica armonia…”: difficile per chi viaggia tra i 40 e i 50 anni non leggere quei due versi canticchiando. Non sempre sono capolavori dal punto di vista della narrazione pubblicitaria, ma hanno il pregio di contribuire a un’atmosfera, talvolta addirittura di esserne parte integrante. Di sicuro da sempre sono uno specchio delle idee più diffuse nella cultura e nella società: al di là dell’impegno di produrre spot piacevoli da guardare e ascoltare, lo scopo è quello di vendere il prodotto rivolgendosi al target più propenso ad acquistarlo, dunque è più che normale che ci sia una quota convenzionale di conformismo. In questo senso le réclame natalizie della Coca-Cola non sono state mai ideologicamente orientate, hanno sempre avuto un che di ecumenico, unificante. Qualunque siano le differenze che ci dividono, ci possiamo trovare tranquillamente a tracannare una bella Coca-Cola fredda tutti insieme vicino all’albero di Natale.
Quale sia l’effetto di pubblicità che invece si piegano a una qualche ideologia lo si è visto più volte nel recente passato, sia in Itala che sullo scenario internazionale. Valfrutta pensò bene di pubblicizzare succhi di frutta sul cui tappo era rappresentata come “famiglia” un gruppo composto solo da mamma e figli. Padre: assente. Fu seppellita di critiche, promise di correre ai ripari, ma fu una promessa da marinaio. Accadde però che la cosa circolò molto, specie tra le associazioni di padri separati, che si guardarono bene da allora in poi, e anche adesso, dall’acquistare un prodotto Valfrutta. Capitò anche alla Feltrinelli che, per la “Festa del papà” pensò bene di esibire nei suoi negozi un cartello promozionale che sminuiva e umiliava i padri. Una sollevazione nazionale obbligò il colosso editoriale a un cambio in corsa, e anche in quel caso chiunque sia stato testimone dell’ennesima iniziativa anti-paterna si guarda bene tuttora di mettere piede in uno store Feltrinelli. Ma il top resta la famosa réclame della Gilette imperniata sul concetto di “maschilità tossica”. Una roba vergognosa, insultante, femminista fin nel midollo (tale si dichiarava in effetti l’ideatrice e regista), cioè non proprio l’ideale per pubblicizzare prodotti tipicamente maschili come i rasoi.
A Natale, ma anche in ogni altra occasione, avremo sempre la nostra scorta di Coca-Cola in casa.
In quel caso la mobilitazione fu internazionale e unitaria di uomini e donne. Queste ultime non riconoscevano (ché non era proprio possibile) nell’immagine deteriore dell’uomo data da Gilette i propri mariti, fidanzati, padri, fratelli, figli. Il boicottaggio diventò dilagante, in tantissimi presero impegno a comprare da quel momento in poi soltanto prodotti della concorrenza (tutti per altro migliori della Gilette) ed è un voto a cui tuttora in moltissimi tengono fede. La corporate ne sentì nettamente il contraccolpo, tentò una specie di marcia indietro, producendosi in una sorta di scuse talmente poco sentite da non convincere nessuno. Per altro pare stia circolando un suo altro nuovo spot di nuovo orientato in senso femminista, che però non abbiamo trovato. Nel caso, evidentemente la lezione non è bastata a Gilette… Resta che il tentativo di cavalcare l’ideologia mainstream antimaschile realizzando uno spot colpevolizzante fu un autogol colossale, che confermò un motto circolante già da tempo e finora mai smentito: “get woke, go broke”. Intraducibile alla lettera in italiano, sta a significare che se produci contenuti “risvegliati”, ossia conformi all’isteria ideologica dilagante (quindi femminista, pro-queer, antirazzista, eccetera), finisci per perderci dal lato economico. Un po’ come i botteghini dei film riadattati a esigenze di politicamente corretto, per intenderci.
Tutto questo risalta in modo ancora più vero quando qualcuno decide di andare controcorrente e di tornare alla rappresentazione normale della realtà. Ci ha pensato il geniale regista neozelandese Taika Waititi, già noto ai cinefili per l’originalissimo e spassoso film “Jojo Rabbit“. È lui a firmare lo spot natalizio 2020 della Coca-Cola, che è un vero capolavoro. Non lo raccontiamo nei dettagli, lasciamo che lo si possa ammirare mettendolo qui sotto. Diremo solo che sono due minuti e mezzo in cui si restituisce la più piena e reale umanità a tutti, ma soprattutto a coloro che più hanno pagato negli ultimi anni il prezzo di una discriminazione e di un disprezzo pressoché planetari: gli uomini e i padri. Lo spot rappresenta l’uomo nelle sue sfaccettature più tipiche ed è una cannonata in piena faccia alla narrazione “woke” che qualche tempo fa Gilette propinò al pubblico mondiale. Waititi mette in scena la bellezza della normalità e dell’eroismo tipicamente maschile quando ha le fattezze di un uomo e padre. Certo alcuni aspetti ne escono spettacolarizzati, ma nemmeno troppo. Asciugate le lacrime di commozione, al termine dello spot, ci si rende conto di aver pianto sia per l’effetto delle immagini, ma anche per il sollievo. Era tanto tanto tanto tempo che non si vedeva qualcosa del genere, una vera inversione spudorata ed energica dalla menzogna alla verità. Non è un caso che la critica parli di capolavoro e che le uniche ad avere la faccia tosta di sollevare critiche sono le femministe o i queer, che colgono l’occasione per mostrare sia il proprio marciume interiore, sia la loro reale dimensione numerica: sul profilo Coca-Cola ufficiale si contano quasi 30 mila like e quasi mille “dislike”. Questa è la proporzione tra l’incubo imposto da anni a tutti e la bellezza della realtà proposta da Waititi con il suo piccolo, meraviglioso spot. Un’operazione che va premiata. Per questo noi de “La Fionda” a Natale, ma anche in ogni altra occasione, avremo sempre la nostra scorta di Coca-Cola in casa. E se vogliamo lanciare un messaggio forte, uguale e contrario a quello mandato a suo tempo a Gilette, è qualcosa che dovremmo fare tutti.