Nell’ennesima “notte degli Oscar” genuflessa al politicamente corretto, soltanto un fatto ha guadagnato le prime pagine: lo sganassone che Will Smith ha appioppato a Chris Rock. C’è chi dice che fosse preparato per suscitare clamore, e non stupirebbe visto che i due sono attori e che l’evento riguarda il cinema; ma c’è anche chi assicura che sia stato tutto reale e spontaneo. I fatti: Jada Pinkett, moglie di Will Smith, soffre di una grave forma di alopecia. In sostanza è pressoché calva. Durante la sua session comica, Chris Rock ha colto l’occasione per salutarla chiamandola “G.I.”, l’acronimo con cui negli USA vengono identificati i soldati. I quali, com’è noto, devono tenere la zazzera a zero durante il servizio. La battuta non è piaciuta a Will Smith, che si è alzato e ha mollato un grosso ceffone al comico, intimandogli poi con rabbia: «tieni il nome di mia moglie fuori dalla tua cazzo di bocca». Il gesto di Smith ha scatenato un’infinità di discussioni sui media: ha fatto bene, ha fatto male, si è comportato da vero uomo che difende la propria donna, no anzi (tesi femminista) ha dato una prova ulteriore della maschilità tossica che si sa esprimere soltanto con la violenza, e via così discettando sul nulla.
O meglio: discettando soltanto su una parte della vicenda, quella finale, quella dello schiaffo, del gesto, dell’atto conclusivo e più evidente. È il metodo ipersemplificato con cui si analizzano gli eventi oggi: isolare un fatto dal suo intero contesto per poi sputare sentenze polarizzate su di esso, con alcuni che alzano la paletta “è cosa buona” e altri che alzano la paletta “è cosa cattiva”. L’esempio di questo modo idiota di valutare la realtà è presto fatto: il conflitto in Ucraina oggi è ridotto a “x ha invaso y, dunque bisogna stare o con x o con y”. Così si manifestano l’allergia alla complessità del reale da un lato e dall’altro la strategia di dividere l’opinione pubblica per meglio governarla. Tuttavia la realtà resta complessa e articolata, fatta di dettagli e sfumature. E se si è abbastanza attenti e intellettualmente onesti da guardare tutto quello che è accaduto alla notte degli Oscar, si avrà allora un quadro molto più completo della situazione e sarà possibile inquadrare il gesto di Will Smith nella giusta prospettiva. Allora riguardate con attenzione l’intera clip, dall’inizio alla fine, senza perdere nemmeno un fotogramma.
L’azione di un cavaliere bianco.
Cosa abbiamo dunque? Chris Rock fa la sua battuta, le telecamere vanno sulla coppia Will Smith-Jada Pinkett e lì si vede chiaramente che lui si sta scompisciando dalle risate, mentre lei si adonta e non poco. Le camere staccano poi su Rock, non vediamo più la coppia, vediamo solo che dopo qualche secondo Will Smith entra nell’inquadratura e colpisce il comico. La chiave di tutto sta proprio in ciò che non vediamo, ma che possiamo facilmente intuire: Will Smith, che stava ridendo, si volta verso la moglie, la vede ferita e arrabbiata, allora smette subito di ridere e passa all’azione. Ha fatto bene o ha fatto male? Ha fatto malissimo. Ha fatto ciò che un “vero uomo” non dovrebbe fare mai: si è fatto determinare dagli umori della propria donna. Diverso sarebbe stato se, allo scoccare della battuta, lo stesso Smith avesse reagito istintivamente, spontaneamente, arrabbiandosi senza nemmeno constatare la reazione della moglie. Così com’è accaduto, invece, è evidente che a determinare le scelte di Smith è stata la faccia offesa della moglie. E quando un uomo rinuncia a se stesso e si fa determinare da una donna, l’esito è sempre un mezzo disastro. Il risultato infatti è stato un gesto forte e sbagliato sotto diversi profili, una “piccola guerra” tra due uomini. Un classico.
Non solo: è stato un gesto fuori contesto. Chris Rock stava facendo ciò che tutti i comici sono tradizionalmente chiamati a fare in quelle occasioni: battute politicamente scorrettissime, non di rado indirizzate ai presenti. Ai Golden Globe di qualche anno fa, Ricky Gervais praticamente diede dei pedofili a tutti i presenti (memorabile la reazione di Tom Hanks, con il viso strizzato come un limone). Che avrebbero dovuto fare, alzarsi e massacrare di botte il comico? È un po’ come se Sergio Japino avesse preso a mazzate Benigni quando tentò in diretta TV di avvitare la testa tra le gambe della Carrà. Quello è un tipo preciso e codificato di comicità, che va accettata per come è, eccessiva, parossistica, a meno di non fare l’errore madornale di censurarla per legge o respingerla, appunto, con la violenza. Se dunque avesse voluto comportarsi da “vero uomo”, il Will Smith che si sbudellava dalle risate avrebbe dovuto, visto il volto offeso della moglie, protendersi verso di lei e dirle: «baby, non te la prendere, oggi è la tua pelata, domani saranno le mie orecchie a sventola, dopodomani la pinguedine di qualcun altro o magari la bocca storta di Chris Rock… è così che funziona, fattela una risata ogni tanto». Non è andata così, purtroppo. Smith, vedendo il volto corrucciato della moglie, ha vestito i panni del cavaliere bianco, del quaquaraquà, dell’uomo-soia che tanto piace all’occidente degradato, ovvero del soggetto maschio contrito da un senso di colpa (per aver riso sulle prime) in base al quale rinuncia a ciò che è e accetta di farsi determinare da altri, in questo caso dalla propria donna.
La forza di un patto.
Agendo in questo modo, Smith è diventato una doppia occasione d’oro per le femministe: per un verso ha incarnato il pupazzo perfettamente manipolabile, un modello d’uomo che con tanto impegno è stato costruito negli ultimi decenni, per l’altro ha agito in modo da dare l’occasione per un’ennesima condanna della “violenza congenita” all’essere di sesso maschile. Ma a ben vedere il quadro è ancora più fosco, l’errore di Smith è ancora più grande. Occorre infatti immaginare quali percorsi cognitivi si sono attivati nello scambio di sguardi marito-moglie, in quella parte non visibile della clip video. Il volto risentito di Jade ha sicuramente comunicato esplicitamente a Will: «se non ti alzi e non lavi l’onta, non ti stupire se poi ti tradisco». Sì perché, qualcuno lo ricorderà, la bella Jade non molto tempo fa ha pensato bene non solo di tradire il marito con un ragazzo di 21 anni più giovane, un rapper amico del figlio della coppia, ma anche di svelargli il tradimento in diretta TV, davanti a milioni di persone. Non fu nemmeno la volontà di rendere “cornuto e mazziato” il marito, ma una vera e propria procedura sadica atta ad appallottolare la dignità di un uomo e ad affogarla in un mare di eterna umiliazione. Da quel momento la carriera di Will Smith non sarà ricordata per qualche memorabile interpretazione o qualche grande successo, bensì dal suo volto rigato dalle peggiori lacrime, quelle dell’umiliazione e dell’impotenza, di fronte a milioni di persone.
Will Smith avrebbe insomma avuto più di una ragione per restarsene seduto e continuare a ridere, come d’istinto gli era venuto da fare. Un “vero uomo” fa ciò che ha fatto lui solo se ne sente l’impulso autonomo e istintivo e solo a difesa di una donna che non abbia rotto ciò che gli antichi romani chiamavano il “foedus”, che è poi il punto di forza di ogni vera e sincera relazione basata sull’amore. Solo a queste condizioni alzarsi e agire, anche con violenza, avrebbe avuto un senso, pure nel contesto comico spinto del momento. Sentendone l’istinto genuino, ispirato dalla forza consapevole del “foedus”, il gesto violento avrebbe avuto un significato “alto”, di difesa non semplicemente della propria moglie, ma di un principio, di un valore talmente forte da diventare un limite invalicabile. Quel valore però, come detto, non c’era, sporcato com’era stato dal precedente comportamento inqualificabile di Jade e per la non spontaneità dell’azione di Smith. Si badi però: quanto si è detto non è apologia della maschilità, per quanto lo possa sembrare. Vale infatti anche a parti invertite. Una “vera donna”, capace di sentire dentro di sé il valore profondo dell’unione con il marito, reagirebbe spontaneamente a parole o atti che umilino il proprio uomo. Anzi capita di frequente perché, vivaddio, le “vere donne” (ossia le non-femministe) restano la maggioranza. A dimostrazione che la forza di un patto basato sull’amore è uguale per tutti, prescinde dal genere. Come l’istinto alla violenza, d’altra parte.