Solitamente non archiviamo né commentiamo notizie provenienti dall’estero, è già fin troppo lunga e complessa l’analisi del materiale italiano. In questo caso facciamo un’eccezione poiché è vero che il caso parte dalla Francia, ma è anche vero che finisce alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la massima stabilita dalla Corte Europea per i Diritti Umani ci riguarda eccome. I fatti. La moglie rifiuta ogni rapporto sessuale, il marito chiede la separazione con addebito imputando alla mancanza di intimità la crisi del matrimonio. La moglie, divenuta ex, ricorre a Strasburgo ritenendo di avere subito un danno, la Corte le dà ragione. I media riportano: «la CEDU ha condannato la Francia perché i suoi tribunali hanno pronunciato un divorzio per colpa attribuita esclusivamente alla moglie in quanto aveva cessato di avere rapporti sessuali con il marito». La motivazione in sintesi: «la CEDU ha concluso che l’esistenza stessa dei rapporti intimi come obbligo matrimoniale è in contrasto con la libertà sessuale, il diritto all’autonomia corporea e l’obbligo degli Stati di prevenire la violenza domestica e sessuale (…) il consenso al matrimonio non può implicare il consenso a futuri rapporti sessuali. Una tale interpretazione equivarrebbe a negare la natura riprovevole dello stupro coniugale».
Sorprende come l’argomento “sesso” sia visto come qualcosa di invasivo, sporco, peccaminoso, un elemento deplorevole di prevaricazione quando invece è più che accettato, diremmo ardentemente desiderato, da due persone che decidono di trascorrere la vita insieme. Significativo il riferimento del tutto fuorviante allo “stupro coniugale”: dell’elemento violenza non c’è traccia, il marito non pretende di usare la forza per congiungersi con la moglie; rispetta il rifiuto della donna ma chiede (ed ottiene dai tribunali territoriali) che tale rifiuto sia riconosciuto come motivo di cessazione dell’unità di intenti alla base del matrimonio. Invece, in nome di una lettura distorta della libertà personale, la CEDU legge l’addebito come una implicita costrizione che addirittura negherebbe la natura riprovevole dello stupro. Un matrimonio comporta la (volutissima, aggiungeremmo) consumazione di sani ed appaganti atti sessuali tra coniugi, ma se uno dei due decide di rifiutarli l’altro non può e non deve considerare il rifiuto un motivo per divorziare. Sarebbe interessante vedere la posizione dei Giudici di Strasburgo se venissero interrotti unilateralmente altri aspetti dell’unità di intenti alla base del matrimonio.
Le disposizioni del Codice Civile italiano.
Ad esempio, se la casa è di proprietà del marito, questi potrebbe dire: “non è un obbligo ospitarti, da domani paghi l’affitto oppure cambio la serratura e in casa mia non entri più ma non puoi addebitarmi la separazione”. Oppure, se solo lui lavora: “non è un obbligo nutrirti, da domani avremo due frigoriferi diversi ma se il tuo resta vuoto non puoi addebitarmi la separazione”. O ancora: “non è un obbligo parlarti e concordare alcunché, da domani mi chiudo in un silenzio ostinato ma non puoi addebitarmi la separazione. Non è un obbligo comprarti la macchina e mantenerla, da domani ti tolgo le chiavi dell’auto, la vendo e vai a piedi ma non puoi addebitarmi la separazione. Non è un obbligo comunicarti i miei spostamenti o i miei orari, da domani vado dove voglio e torno quando voglio ma non puoi addebitarmi la separazione”. Comportamenti inconcepibili che configurano la crudeltà mentale, assurdità che nessuna persona sana di mente penserebbe di portare in tribunale. In tribunale vale solo il legittimo diritto a non considerare il sesso un obbligo, anche quando il marito non lo considera affatto un obbligo né lo impone con la forza ma sostiene – a ragione, secondo noi – che il matrimonio inevitabilmente ne risenta.
Non conosciamo dettagliatamente il Diritto francese, ma da noi il Codice Civile (art. 143) dice altro. Il Legislatore fin dal 1970 ed anche la Cassazione in tempi più recenti si sono pronunciati in tal senso, stabilendo che con il matrimonio nascono una serie di diritti ed obblighi reciproci tra i coniugi disciplinati dall’art. 143 c.c. e tra questi vi è il dovere di assistenza morale dell’uno verso l’altra. Tra i doveri di assistenza morale rientra proprio quello di avere rapporti sessuali con il coniuge e a conferma che anche il legislatore del 1970 (Legge sul Divorzio n. 898/1970) riteneva che l’amore di una coppia è fatto anche di intimità, di passione, di voglia di vicinanza, di appartenenza e di desiderio sessuale, annoverando tra le cause di scioglimento del vincolo, proprio l’ipotesi della mancata consumazione del rapporto coniugale.
Che c’entra lo “stupro coniugale”?
In questo senso, la mancanza di un’intesa sessuale “serena ed appagante”, come anche il mancato accordo tra i coniugi sui rapporti, sulla tipologia e sulla frequenza degli stessi, legittima, inficiando la comunione materiale e spirituale tra gli interessati, la domanda di separazione, in quanto, ove debitamente comprovato, costituisce elemento che prova la carenza di legami tra i coniugi e l’intollerabilità della convivenza (Cass. n. 8773/2012; n. 17056/2007), potendo anche costituire causa di addebito, laddove sussista una colpa da parte di uno dei due coniugi che preclude all’altro la possibilità di soddisfare i propri bisogni sessuali opponendo un ingiustificato e persistente rifiuto ad intrattenere rapporti e violando così uno degli obblighi di assistenza morale previsti dal matrimonio.
Non solo, per legge il persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge – poiché, provocando oggettivamente frustrazione e disagio e, non di rado, irreversibili danni sul piano dell’equilibrio psicofisico, costituisce gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner – configura e integra violazione dell’inderogabile dovere di assistenza morale sancito dall’articolo 143 cod. civ., che ricomprende tutti gli aspetti di sostegno nei quali si estrinseca il concetto di comunione coniugale e costituisce causa di addebito della separazione (Cass. n. 19112/2012). Tutto questo potrebbe essere messo in discussione dal pronunciamento CEDU. Influirà sulla nostra giurisprudenza, fino al punto di insinuare che “il consenso al matrimonio non può implicare il consenso a futuri rapporti sessuali. Una tale interpretazione equivarrebbe a negare la natura riprovevole dello stupro coniugale”? Si consentirà di dare ancora un altro colpo letale alle normali relazioni tra uomini e donne?