Il merito è tutto del giornalista americano Matt Walsh, direttore del Daily Wire, autore di un recente documentario assolutamente da vedere intitolato “What is a woman?” (Cos’è una donna?). Da sempre schierato su una posizione fortemente critica dell’ideologia queer, dunque nemico numero uno in USA per tutte le organizzazioni LGBT, Walsh ha di recente esposto alla denuncia pubblica la clinica Vanderbilt di Nashville. Con una serie di tweet ha dato conto di alcune investigazioni e ricerche che hanno portato a scoperchiare una realtà sconcertante. La clinica Vanderbilt si converte alle transizioni di genere nel 2018. Una delle sue promotrici, la Dr.ssa Shayne Taylor, in un video ammette candidamente di aver convinto l’amministrazione locale dell’opportunità facendo presente che si sarebbe trattato di una vera e propria macchina da soldi (“big money maker”), soprattutto perché le operazioni chirurgiche avrebbero implicato numerosi interventi di mantenimento successivi.
Non proprio un afflato etico alla base della conversione operativa della clinica dunque. E i suoi dirigenti ne erano pienamente consapevoli, tanto da temere che non tutto lo staff avrebbe accettato di buon grado la nuova attività. Non a caso, nello stesso convegno dove era intervenuta la Taylor, un’altra dirigente della clinica, la Dr.ssa Ellen Clayton, aveva lanciato un avvertimento chiaro a tutti i colleghi che eventualmente avessero voluto optare per un’obiezione di coscienza rispetto alle attività che la clinica prevedeva di intraprendere: «chiunque si tirasse indietro dovrà subire delle conseguenze». Più esplicito di così… Ma per essere proprio sicuri che nessuno sgarrasse, la clinica ha poi optato per il reclutamento di alcuni attivisti LGBT, incaricati internamente di vigilare sulla corretta applicazione dei protocolli previsti. Commissari politici arcobaleno in corsia, sostanzialmente, chiamati eufemisticamente “Trans Buddies”, gli amichetti trans.
Fin qui potrebbe anche essere tutto normale, considerando che siamo negli Stati Uniti, dove l’agenda radicale woke declinata nei termini dell’ideologia queer ha la sua patria d’elezione. Se non che Walsh ha scoperto che i “Trans Buddies” servivano anche da “primo sportello” per i bambini che ritenessero di avere qualche problema di identificazione di genere. Erano dunque gli attivisti trans a inviarli in gran numero alle prassi mediche garantite dalla clinica, che sulle prime ha negato, rimuovendo dal suo sito la pagina in cui se ne parlava. Operazione inutile, visto che Walsh aveva ampiamente screensciottato il tutto. Non solo: nel lavoro di ripulitura, la Vanderbilt si è dimenticata di eliminare un video (qui di seguito), che Walsh ha salvato e ripubblicato, insieme a un secondo che spiegano cosa la clinica riservasse a quegli stessi bambini.
Le solite cose: farmaci bloccanti della pubertà, castrazione chimica e chirurgica, doppia mastectomia. Ripetiamo: a bambini dai 13 anni in su. Walsh riassume così la vicenda: «la Vanderbilt entra nel gioco della transizione, per sua ammissione, in gran parte perché è un’attività molto lucrativa. Minaccia i medici del suo staff che intendono obiettare e reclutano attivisti trans per sorvegliare sull’applicazione delle direttive. E così oggi castrano, sterilizzano e mutilano i minori e gli adulti, facendo di tutto per nascondere la cosa al pubblico». Sì perché dopo la sequenza di tweet di denuncia di Walsh, la clinica ha subito smesso di farsi pubblicità, arrivando addirittura a chiudere le pagine del proprio sito internet dedicate alla riassegnazione del genere, sulla spinta delle montanti polemiche in tutta l’opinione pubblica americana. «Questa è diventata la sanità americana», conclude tagliente Matt Walsh, incarnando gran parte dell’indignazione popolare.
Il quadro normativo americano su questi temi è frammentato: ogni Stato decide se e come regolamentarlo. Nashville è nel Tennessee, Stato che dal 2021 ha messo al bando i trattamenti di riassegnazione del genere sui giovani, dunque la Vanderbilt è stata a tutti gli effetti colta a violare la legge. Al di là degli aspetti legalitari, tuttavia, ha senso chiedersi, per quegli stati (americani e non) che ammettono la riassegnazione chimica o chirurgica del genere, quale sia il movente profondo che induce a spingere su questo tipo di attività. Qualcuno dirà che è l’ideologia queer, sempre più diffusa e difesa, nonostante le sue insostenibili contraddizioni, in tutto il mondo occidentale. Non va dimenticato però l’impulso iniziale che ha indotto un’intera clinica a violare la legge, ovvero quel “big money maker” che le attività medico-chirurgiche di riassegnazione risultano sempre essere. Un tipo di servizio eticamente controverso sugli adulti, del tutto inaccettabile sui minori, che con buona probabilità avrebbe un’utenza numericamente risibile se non fosse spinta dal lato culturale da una propaganda martellante e non di rado violenta verso gli oppositori. Il suo fine ultimo è appunto fornire a questa industria della mutilazione e del farmaco una quantità di consumatori che altrimenti non avrebbe, con conseguenze di lungo periodo, in termini di disagio, incalcolabilmente devastanti, come testimoniato, tra i molti altri, dal noto caso di Keira Bell.