A Latina, qualche giorno fa, si è pensato bene di far sfilare l’ennesimo gaypride dell’era queer, dunque non più una festa magari sopra le righe, ma comunque un’esibizione di gioia, allegria e normalità, bensì una vera e propria parata politica, un veicolo ideologico autoritario e plumbeo. Per esprimere la propria contrarietà a quel tipo di agenda politica, un imprenditore, Alessandro De Simoni, ha ritenuto opportuno esercitare il proprio diritto di espressione costituzionalmente garantito, esponendo dal suo balcone il laconico e tradizionalissimo slogan: “W la fica”. Un po’ greve, d’accordo, esistevano sicuramente modi più sottili ed eleganti per esprimere le proprie idee, tuttavia niente che costituisca un reato. Anzi c’era da attendersi che la sezione lesbica del gaypride plaudesse allo striscione. Invece no. Poco dopo averlo esposto, in casa di De Simoni arrivano i Carabinieri chiedendo di rimuoverlo. L’uomo esegue, sebbene non ci fosse nulla di illegale nella sua condotta, salvo poi trovarsi sbertucciato via radio niente meno che da Monica Cirinnà. Ai microfoni di Radio Cusano Campus la paladina dei diritti LGBT ha dichiarato: «Io penso che il rispetto delle opinioni e delle idee degli altri sia comunque primario, bene hanno fatto i carabinieri a segnalare a questa persona che nel giorno in cui l’orgoglio omosessuale sfila finalmente nelle strade di Latina, sia bene rispettare anche queste persone. Poi ognuno si qualifica per gli atti che fa. Scrivere questo significa avere una visione culturale preistorica». In questa dichiarazione c’è tutta la meraviglia del non-pensiero della Cirinnà: parla del rispetto delle idee altrui mentre plaude alla censura operata sulle idee di chi ha esposto lo striscione, ma soprattutto ritiene preistorico inneggiare alla formidabile bellezza della fica, ovvero per sineddoche della donna in generale, in un’ottica eterosessuale.
Ma c’è di più: nel prendere atto, con disdetta, che De Simoni non è incorso in alcun reato, la Cirinnà svela tutta l’origine totalitaria e stalinista del proprio non-pensiero, auspicando pene “rieducative” per chi commette gesti come quello dell’imprenditore: «Cosa farei al signore che ha messo il cartello? Se esistessero come negli Stati Uniti delle vere pene rieducative gli farei fare un bel corso presso una delle nostre case rifugio per le donne vittime di violenza e quello basterebbe a fargli capire non solo la sua volgarità ma soprattutto il segnale becero che ha dato a chiunque ha letto il cartello». Che attinenza abbiano le case rifugio con le istanze LGBT non è dato sapere, ma è quell’impulso alla “rieducazione” che non passa inosservato. Nemmeno all’autore dello striscione che ha risposto alla Cirinnà sui social, scrivendo ciò che segue: «Sono l’autore dello striscione ”W la Figa” esposto dal mio balcone il giorno in cui nella mia città, Latina, si è tenuto il cosiddetto “Gay Pride” e successivamente rimosso a seguito dell’intervento, garbato e professionale, della locale Questura anche se, stranamente, non mi è stato spiegato quali norme avrei violato. L’ episodio ha avuto una diffusione assolutamente imprevedibile, ma è interessante e al contempo fantastico, constatare come la senatrice Monica Cirinnà, che dovrebbe essere sommersa e oberata da impellenti, complesse e devastanti incombenze, trovi il tempo per commentarlo a livello nazionale. Stupisce che una persona così eclettica nel battersi altruisticamente si scagli in modo antidemocratico, illiberale, intollerante e retrogrado nei confronti di chi rivendica il semplice diritto a testimoniare l’eterosessualità senza aver minimamente mancato di rispetto all’ omosessualità o ad altro».
«Le sue ”garbate“ osservazioni», continua il messaggio di De Simoni, «denunciano la mancanza di qualche buona lettura di storia e di cultura generale di base, altrimenti saprebbe che il “programma di rieducazione” da lei tanto anelato, era praticato da uno dei regimi più feroci di tutti i tempi con a capo un signore di nome Pol Pot alla guida dei Khmer Rossi, che instaurarono in Cambogia, nella metà degli anni 70, uno stato comunista del terrore che praticava in modo istituzionale e sistematico l’assassinio di massa a paragone del quale Hitler sarebbe passato per un dilettante. Con (appena) qualche buona lettura, avrebbe saputo che nei cosiddetti “campi di rieducazione” furono soppressi circa quattro milioni di persone, bambini compresi, mentre a quelli superstiti si insegnava a recidere ogni legame con padre e madre per pervenire, mediante lavaggio del cervello e terrore, a una sorta di “pensiero unico” che non ammetteva il minimo dissenso, pena la morte. Il mio modesto provocatorio dissenso di provincia, se si vuole volgare, non è rivolto ai gay ma alle persone “perbeniste” come lei che, pur proclamando di facciata la libertà di opinione, pretendono tuttavia di stabilire e indicare al popolo cosa sia “politicamente corretto”, quale deve essere, su un qualunque tema sociale, il “pensiero unico” o la cosiddetta cultura “superiore”, quali sono, di contro, le divergenti opinioni da mettere all’indice e censurare».
Conclude poi De Simoni: «Quello che ho scritto sullo striscione – come lei stessa è costretta implicitamente a riconoscere – equivale ad un “W le donne”, ma lei preferisce amplificare e strumentalizzare il solo termine gergale di uso corrente così da caricare di assoluto contenuto negativo e spregevole la mia testimonianza, diretta invece a rivendicare semplicemente il diritto “naturale” a manifestarsi (anche) eterosessuali. Non ho personalmente alcun contenzioso con gli omosessuali, alcuni sono miei amici, ma rivendico il diritto alla parità di trattamento per gli eterosessuali, oggi invece paradossalmente ghettizzati in nome di un ipocrita “protezionismo” a senso unico, tutto sbilanciato a favore di altri orientamenti sessuali. Ma soprattutto rivendico il diritto a non pensarla come lei e di poterlo fare liberamente». Una risposta da incorniciare (poi sintetizzata in un’intervista in modo più laconico ma altrettanto efficace: «al gaypride tirano fuori il birillo e io non posso esporre “viva la fica”») per come impone il valore della libertà individuale su un’idea falsata e politicamente strumentalizzata di inclusività e uguaglianza, veicolata da una persona come la Cirinnà e da soggetti con radici ideologiche profondamente affondate nel sangue di milioni di morti e in violenze senza precedenti. Il post di Alessandro De Simoni di Latina riprende in parte i temi già affrontati a suo modo da Rocco Siffredi, intercettando e dando voce a un senso di saturazione ormai incontenibile verso un vittimismo arrogante che, provenga esso dai queer o dalle femministe, da questo momento in poi non potrà far altro che arretrare se non vuole che le reazioni delle persone libere diventino sempre più marcate e decise.